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Diritti

Giordania: come vengono aiutati i cittadini in difficoltà?

Questo viaggio inizia in un campo per rifugiati a Mafraq, dove manca un servizio sanitario adeguato, e prosegue nella lavanderia Fursati a Petra. 2 realtà differenti, ma con un elemento comune: il supporto delle Ong
di Anna Illing
Tempo di lettura 11 min lettura
26 settembre 2023 Aggiornato alle 18:00

Primo scenario: un campo informale per rifugiati a Mafraq, Governatorato a nord-est della Giordania, una zona abbastanza arida confinante con la Siria.

Secondo scenario: una lavanderia dove lavorano persone con disabilità a Wadi Musa, la città più vicina al sito archeologico di Petra.

Esiste filo rosso che lega questi 2 scenari, per quanto diversi tra loro: la Fondazione Terre des Hommes Italia, organizzazione non governativa, no-profit per la protezione dei bambini.

Un campo informale per rifugiati

Da Amman, dopo un’ora di macchina, si entra a Mafraq; svoltiamo e la prima cosa che si vede è la recinzione intorno alla piantagione di alberi da frutto e le tende. Prendiamo una strada sterrata e, avvicinandoci, iniziamo a intravedere vestiti stesi ad asciugare tra una tenda e l’altra, bambini che sbucano da tutte le parti, latrine in comune.

Ci fermiamo accanto a un gruppo di bambini che viene intrattenuto da una volontaria: tutti hanno meno di 10/11 anni, perché superata quell’età i giovani vanno a lavorare nella piantagione: prima, semplicemente si aspetta.

«Ci sono alcuni settori lavorativi ai quali viene permesso l’accesso ai rifugiati con il rilascio di un permesso di lavoro, tra questi il settore agricolo», spiega una delle persone responsabili del programma. Combinando questa possibilità con la vicinanza geografica tra Mafraq e il sud della Siria, si può capire come si creano questi campi informali per rifugiati.

In totale nel Paese ce ne sono 70, di cui 55 a Mafraq (i rimanenti si trovano ad Amman). Qui i rifugiati lavorano nella piantagioni raccogliendo i frutti dagli alberi, guadagnando un dinaro l’ora, 1,25 euro. I campi a Mafraq sono una realtà isolata, non si entra e non si esce: mancano i mezzi di trasporto per raggiungere un qualsiasi servizio al di fuori del campo e, in ogni caso, partire significa perdere il guadagno della giornata.

E nessuno dall’esterno mette piede all’interno del campo. Camminando in giro, si notano i cavi che conducono l’elettricità e i tubi che forniscono l’acqua. Chi vive nel campo dipende dal proprietario terriero: il mondo fuori è (ancora una volta) assente.

Terre des Hommes ha una missione chiara: fornire un servizio di visite sanitarie di base, in particolare per bambini e donne. Da 5 anni un’unità mobile composta da un pediatra, una ginecologa e un’infermiera fa il giro dei campi per rifugiati a Mafraq, raggiungendo circa 5.400 persone.

I professionisti sanitari si sono organizzati con un database per campo e che viene aggiornato a ogni visita per poter monitorare la situazione di ogni paziente. Il tutto avviene in una tenda, leggermente più grande delle altre. All’interno troviamo chi è seduto in attesa, chi cerca di parlare il prima possibile con il dottore, chi discute con il proprio vicino, oppure bambini che piangono o che corrono. Una sala d’aspetto come altre, se non fosse che funge al contempo anche da ambulatorio.

L’unica luogo che viene separato e tenuto riservato è dietro una tenda interna, se così si può dire: lì si trova il reparto ginecologia dove, tra le altre cose, vengono fatte le visite di controllo per le donne in gravidanza. Essendo una ragazza, ho l’opportunità di avvicinarmi e guardare: il reparto ginecologia include un lettino e una macchina per fare ecografie.

Poi, ci sono scatole di medicine accanto al personale medico e un foglio. Ma non uno qualunque: bensì un documento con nome, data di nascita, legame e foto di ogni membro della famiglia, essenziale per poter richiedere e usufruire di qualsiasi aiuto esterno. Una madre mi mostra il suo foglio: ha 4 figli piccoli. Un’altra mi mostra il suo: ha una sola foto, la sua. Anche se non ho una risposta, mi chiedo se una situazione sia preferibile all’altra, se ciò possa rendere la vita quotidiana meno pesante.

Nell’ottica di continuare a migliorare l’intervento, Terre des Hommes si aspetta di poter distribuire kit di pronto soccorso nei campi, stabilizzare i servizi già presenti e, ancora più importante, avere 2 unità mobili in funzione.

Una lavanderia, un’opportunità

Arrivo alla lavanderia a Petra per l’ora di pranzo. All’ingresso, leggo il nome dato a questo posto così particolare: Fursati, che in arabo vuol dire “la mia opportunità”. Non avrebbero potuto pensare a un nome più azzeccato.

Uno dei volontari della organizzazione locale con cui Terre des Hommes ha messo in piedi questo progetto sta offrendo a tutti il Kunafe, un dolce tipico, per festeggiare il matrimonio del figlio. Mentre mangio, mi raccontano come funziona questo piccolo business.

Nonostante lo spazio a disposizione di per sé sia abbastanza limitato, è molto ben fornito in termini di macchinari (7 in totale); c’è addirittura una macchina che lava a secco, l’unica presente nella zona. Grazie ai vantaggi del lavaggio a secco (per esempio, non usare acqua o rimuovere più facilmente le macchie) Fursati ha acquisito fama a Wadi Musa.

All’interno della lavanderia, in funzione da aprile, lavorano 8 persone per 8 ore giornaliere e 1 giorno libero. Tutte gli altri, sono lì per seguire un training. Il progetto, infatti, si sviluppa su 8 cicli di training, ognuno con un numero ristretto di partecipanti, per supportarli al meglio e assicurare un’esperienza e un’assistenza personalizzate.

Durante il corso imparano a conoscere il funzionamento di una lavanderia, acquisiscono le competenze per poter lavorare in bar, ristoranti ed hotel; inoltre, si parla anche di abilità organizzative e gestionali… L’obiettivo è dare a tutte le persone (con disabilità) che hanno seguito il training l’opportunità di entrare nel mondo del lavoro. Infatti, Terre des Hommes e il partner locale si sono mossi per coinvolgere bar, ristoranti ed hotel della zona e già 11 persone sono state assunte.

Poiché la maggior parte dei partecipanti ha problemi uditivi, e quindi non presenta una disabilità apparentemente visibile, spesso bastano apparecchi uditivi e una conoscenza basilare della lingua dei segni per riuscire a cavarsela. Se Tdh si fa carico di fornire supporti esterni (come, appunto, gli apparecchi ma anche, per esempio, sedie a rotelle e occhiali) l’unico problema resta l’analfabetismo.

Mi viene spiegato che l’urgenza, al momento, è trovare nuovi fondi, perché quelli già allocati termineranno in autunno e perché l’obiettivo futuro è ampliare i potenziali beneficiari, includendo più donne e rifugiati (quasi ogni partecipante del training è giordano).

I macchinari che rendono la lavanderia così gettonata verranno lasciati in proprietà alla comunità locale da Tdh, che li ha comprati e messi a disposizione. Parallelamente, sono in fase di avvio accordi con le autorità del Governatorato affinché i partecipanti possano venire registrati in un’iniziativa di cooperazione tra il ministero del lavoro, il Governatorato stesso e i datori di lavoro, che preveda che il salario delle persone più “vulnerabili” (donne, giovani, persone con disabilità) venga suddiviso tra questi 3 enti, in modo da incoraggiare la loro assunzione.

Terre des Hommes e il mondo del lavoro giordano

Come procedono questi progetti in Giordania? La Svolta ne ha parlato con 4 collaboratori operativi per Terres des Hommes Italia ad Amman.

«La Giordania formalmente viene definita come un Paese a medio reddito, la cui entrata principale arriva dal turismo. Dal momento che tutti gli altri settori sono poco sviluppati e poco valorizzati, dato che la Giordania non è un Paese produttore di beni essenziali, il tasso di disoccupazione è alto. La pandemia da Covid-19 ha avuto un grande impatto sull’economia, anche se l’anno peggiore in termini di tasso di occupazione finora è stato il 2015. Non ho i dati precisi al momento ma guardando al tasso nazionale di donne impiegate nel mondo del lavoro, la Giordania è l’ultimo Paese nella lista, non considerando le regioni in guerra; e il numero di persone che vive sotto la soglia della povertà è impressionante. Un’altra caratteristica è la presenza di un gran numero di rifugiati: non solo siriani, ma anche, per esempio, palestinesi e iracheni, verso i quali lo Stato si è mostrato accogliente. Bisogna fare attenzione a non collegare questo elemento con la povertà e il tasso di disoccupazione del Paese: la Giordania ha ricevuto molti aiuti economici dall’estero per la notevole presenza di rifugiati. E poi nessun giordano accetterebbe di lavorare negli ambiti in cui viene concesso ai rifugiati di operare, come il settore agricolo, con un salario così basso».

Dal 2003, in questo contesto, si muove Terre Des Hommes Italia, «un’organizzazione stabile, con un buon raggio d’azione. Le persone si fidano, sanno quello che facciamo». L’obiettivo principale che guida le azioni di Tdh è proteggere i bambini: dalla salute all’educazione, fino alle opportunità lavorative per la famiglia, passando per la riduzione del lavoro minorile e dei matrimoni precoci. Ogni intervento ha al centro i bambini.

Tra gli altri pilastri dell’associazione ci sono un’approccio individuale per ogni situazione, la costruzione di coesione sociale nell’area in cui opera, una prospettiva a medio-lungo termine e l’inclusività. Per raggiungere questi obiettivi, Terre des Hommes lavora su diversi livelli, che devono essere integrati: quello del bambino, della famiglia, della comunità e quello istituzionale. Il risultato è che l’associazione si occupa di un ampio spettro di programmi: attività di coesione sociale, servizi pediatrici, supporti monetari.

Su quest’ultimo ambito (supporti monetari), si fa riferimento al vulnerable assessment framework dell’Unchr, il ramo delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati, che elenca dei criteri per la distribuzione delle risorse economiche. Tdh è coinvolta nella loro distribuzione, per sopperire alla mancanza di aiuti dedicati alle spese per i beni di base, la salute e la protezione sociale e legale.

La prima categoria è la più articolata, perché è l’unica a non presentare alcuna condizione: la famiglia può decidere come spendere i soldi che riceve. Va tenuto a mente che un intervento non può mai causare danni o problemi; secondo questo principio base dell’assistenza umanitaria, non si può pensare di offrire un supporto monetario a una famiglia sola o a poche altre all’interno dello stesso campo, poiché questo genererebbe tensioni.

Così si aggiunge un criterio di selezione del campo: considerando i fondi a disposizione, si scelgono le zone a cui destinarli in base al numero dei rifugiati presenti. Se i fondi di supporto per i beni di base non sono abbastanza per coprire un intero campo, allora i soldi vengono dirottati da un’altra parte.

Passando all’offerta di servizi medici, e in particolare pediatrici, l’unità mobile che raggiunge le aree isolate e al di fuori da ogni rete di servizio rileva come le malattie da curare sono spesso legate a allergie, malnutrizione e infezioni, ma si registrano anche casi di febbre e problemi respiratori.

Il lavoro di questa unità medica (insieme anche a Tdh) è riuscito a sensibilizzare molto le persone riguardo i temi legati alle gravidanze dilatate nel tempo e i matrimoni minorili. E così i residenti cominciano pian piano a capire quali sono i possibili rischi di una gravidanza (sia per la madre che per il bambino) e abbracciano, quindi, l’idea dei contraccettivi e della pianificazione familiare. È un processo lento che va a toccare corde sensibili culturali, ma i risultati sono visibili.

Infine, le attività di coesione sociale. Nel Paese il tasso di disoccupazione nazionale è del 23%, 40% se si parla di donne e quasi del 50% se si parla di giovani. Nel Governatorato dove di trova la lavanderia Fursati, Ma’an, si aggiunge un 19% di persone con disabilità. Per tutti questi motivi, l’obiettivo degli aiuti umanitari è anche facilitare l’integrazione culturale e sociale. Tdh ha così organizzato 5 open days dedicati.

Ognuno di questi aspetti, però (coesione sociale, aspetto sanitario e supporto monetario) non deve essere considerato come un elemento singolo. Per l’associazione è essenziale la coordinazione, il networking con tutti gli attori, incluse le altre Ong. Su base annuale si tiene una riunione in cui tutte le organizzazioni non governative presenti in Giordania e le Nazioni Unite realizzano un piano di strategia per il Paese con l’obiettivo di valutare i diversi bisogni, selezionare le urgenze e decidere quale risposta comune fornire, considerando le capacità uniche di ogni organizzazione.

L’ultimo step è la presentazione del piano al Governo giordano. Lavorare singolarmente comporta il rischio di duplicare un servizio, di tagliare fuori altri gruppi vulnerabili e di sprecare, invece che di utilizzare al meglio, le già limitate risorse. Non meno importante è la coordinazione e il networking con i beneficiari, visto che al cuore di questo piano c’è la valutazione dei loro bisogni.

Tra i gruppi più fragili sono da nominare le famiglie più numerose (soprattutto se ci sono pochi i membri attivi a livello lavorativo), le persone con disabilità e le persone con un debito attivo. Le difficoltà vengono duplicate se 2 di questi gruppi si intrecciano in una sola persona: donne con disabilità, rifugiati con disabilità, famiglie numerose in debito o famiglie con un reddito basso a conduzione femminile.

L’efficacia degli interventi sta nel successo che si ha nel far funzionare questa rete di attori. Tuttavia, spiegano da Tdh, «I fondi stanno drammaticamente diminuendo, i donatori sono concentrati su altre cose, come la guerra in Ucraina, nonostante ci sia bisogno. Per esempio, uno dei nostri donatori principali, sposterà dal 2024 il suo focus sull’Africa, e alcune voci ci dicono che l’85% dei fondi sarà diretto lì. Ma non è ancora arrivato il momento di lasciare questo Paese, i bisogni ci sono e sono tanti».

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