Diritti

Il sindacato della felicità

La Gen Z conosce poco il sindacato e ciò di cui si occupa ma ha ben chiaro come dovrebbero essere le aziende nelle quali lavorare. Ecco perché è il momento che i due mondi si incontrino e traccino un percorso comune, volto a diffondere un nuovo concetto di lavoro
Credit: cottonbro studio 
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27 aprile 2024 Aggiornato alle 06:30

Da dieci anni, inizio il corso di People Management all’Università, spiegando e raccontando un po’ di storia del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Perché penso sia fondamentale per chi vuole lavorare in HR.

Anno dopo anno è cambiato molto l’atteggiamento degli studenti rispetto ai sindacati e alle aziende, con un salto più netto circa cinque anni fa con il passaggio, in aula, dai Millennials (nati tra il 1981 e il 96) alla Gen Z (dopo il 96). I più giovani, infatti, hanno idee molto diverse rispetto al passato.

Il sindacato, questo sconosciuto. All’inizio del corso, sono sempre meno gli studenti che riescono a spiegare di cosa si occupa un sindacato, quali siano i suoi scopi e le sue funzioni.

Il contratto? Lo firmo io! Molti ignorano l’esistenza di un contratto di categoria (inquadramento, regole, livelli e mansioni) e pensano che la contrattazione salariale sia essenzialmente una questione tra il lavoratore e l’azienda.

Carniti! Chi era costui? Pochissimi studenti riescono a evocare nomi, presenti o passati del mondo sindacale, per non parlare delle differenze politiche tra le diverse sigle e categorie.

Eppure, ogni anno, progressivamente cresce di più in loro una visione comune, condivisa e forte di come dovrebbero essere le aziende. Ho ripreso alcune dei loro concetti e spesso ho la sensazione che, pur senza averlo mai studiato, esprimano l’incarnazione e spesso trascendano il pensiero di Adriano Olivetti, che ho riportato in corsivo.

- Senso. I miei studenti vogliono un lavoro che abbia un senso (individuale e sociale), al fine di restituire uno scopo e la soddisfazione per il tempo che si dedica al lavoro, ben oltre il mero compenso. Lavoro e vita personale si intrecciano tra loro ma non diventano un intrigo di tempi, piuttosto la trama e l’ordito di una tela che esprime lo stile di vita delle persone. Più è bella la tela, più saremo compiuti e felici.

«Io voglio che la Olivetti non sia solo una fabbrica, ma un modello, uno stile di vita. Voglio che produca libertà e bellezza perché saranno loro, libertà e bellezza, a dirci come essere felici!»

- Etica. Chi frequenta la Gen Z, concorderà che per loro è una dimensione del lavoro: non cercano un lavoro a tutti i costi, ma un lavoro che possa, in modo etico e inclusivo, incidere positivamente. Aziende che non abbiano solo un fine economico, un misto di profit e no-profit.

«La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia».

- Bellezza. Si aspettano aziende belle! L’estetica è vista come un’imprescindibile testimonianza dell’etica ed espressione di un modo tangibile di essere e di fare. Forma, significato, funzione, che siano di un ufficio o di un prodotto reale/virtuale, diventano centrali.

«Questa fabbrica si è elevata, nell’idea dell’architetto, in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno».

- Comunità. L’azienda deve prendersi cura delle persone che ne fanno parte, aiutandole in tutti i momenti della vita e offrendo un welfare mirato e diversificato di supporto. Non una concessione ma un diritto dei lavoratori. L’azienda che si tramuta in una comunità inclusiva ed etica.

«Tutti i dipendenti hanno diritto di usufruire dei servizi sociali offerti gratuitamente dall’azienda, senza che questo debba essere inteso come una generosa elargizione del datore di lavoro: i servizi sono un dovere che deriva dalla responsabilità sociale dell’azienda».

- Appartenenza. Lavoratori ingaggiati, con una forte appartenenza (ma non una fedeltà eterna), che si esprime con il senso di orgoglio perché all’azienda (e non più allo Stato) è demandato di sostenere la ricerca individuale della felicità degli individui e della società che si costruisce a partire da una alta qualità della vita e da un forte supporto all’autorealizzazione.

«La nostra Comunità dovrà essere concreta, visibile, tangibile».

- Giustizia. Aziende dove trionfa il merito individuale, rispettoso della diversità del talento di ciascuno. Aziende basate sulla giustizia: l’uguaglianza nelle possibilità. La giustizia richiede la partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali aziendali, mentre per sostenere il merito servono due diritti: trasparenza e feedback costante.

«Chi opera secondo giustizia opera bene e apre la strada al progresso».

- Apprendimento. In un clima di forte volatilità delle competenze, è centrale prendersi cura delle carriere e delle prospettive di crescita, tramite sistemi continui di formazione e diffusione della cultura.

«Abbiamo portato le nostre armi segrete: i corsi culturali. In fabbrica si tengono continuamente concerti, mostre, dibattiti. Alla Olivetti lavorano intellettuali, scrittori, artisti, alcuni con ruoli di vertice. La cultura qui ha molto valore».

- Inclusione. Aziende che facciano sentire a casa le persone, che ne abbraccino la diversità e le imperfezioni, senza alcuna forma di discriminazione.

«E voglio anche ricordare come in questa fabbrica, in questi anni, non abbiamo mai chiesto a nessuno a quale fede religiosa credesse, in quale partito militasse o ancora da quale regione d’Italia egli e la sua famiglia provenisse».

Chi di voi non vorrebbe lavorare in aziende come queste? La mia generazione (Gen X), purtroppo lo ha escluso, ritenendolo un sogno irrealizzabile. La generazione dei Millennials ci spera ma non ci prova. La Gen Z ha il coraggio di pretenderlo a costo di “scartare il lavoro”, cosa impensabile per tutte le generazioni precedenti. Inoltre, la Gen Z ha capito che a guidare è il mercato e “votando con il portafoglio” si ottengono risultati più forti che con la mera politica.

E i sindacati? Uno studio della Fondazione Di Vittorio ha certificato la distanza tra giovani e sindacati. Ma io vedo l’opportunità di un incontro sulle istanze della Gen Z, nell’interesse delle aziende e delle altre generazioni. I sindacati possono portare nella contrattazione questi temi (senza lasciarli ai singoli o alle aziende), per attrarre i giovani e diventare artefici di una vera rivoluzione. Aprire una nuova stagione, senza abbandonare i diritti fino a oggi costruiti per includere questi nuovi desideri. Fare della felicità in azienda la propria bandiera, diventare i promotori di un movimento per la felicità.

Il momento è propizio, perché come scriveva Indro Montanelli, “La storia sindacale insegna che l’inquietudine sociale cresce in periodi di prosperità e di relativa facilità nella ricerca d’un lavoro: si attenua fino a spegnersi, invece, quando il posto, in tempo di crisi, diventa prezioso.” Senza avere paura dei numeri esigui che i Gen Z hanno (ancora) nel mondo del lavoro, perché, per dirla con le parole di un grande sindacalista, Pierre Carniti, “non credo che la lotta diventi politica in relazione al numero di lavoratori, lo diventa a seconda dei contenuti” e qui abbiamo alcuni dei contenuti più alti e belli degli ultimi anni, ma con radici forti che arrivano fino al cuore del grande progetto imprenditoriale italiano di Adriano Olivetti: modernissimo perché storico.

Il prossimo Primo Maggio potrebbe essere l’occasione non solo per difendere il lavoro (spesso solo cattivo per un Gen Z) ma per diffondere un nuovo concetto di lavoro: etico, inclusivo e bello.

Pensate sia utopico? Direbbe Adriano Olivetti: «Beh, ecco, se mi posso permettere, spesso il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande.»

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