Bambini

Gen Z ansiosa e depressa? È colpa degli smartphone

L’uso sempre più massiccio di telefoni e social network sta provocando disturbi mentali nelle nuove generazioni. Lo psicologo Jonathan Haidt indaga il tema e suggerisce 4 regole per affrontare il problema
Credit: Becca Tapert
Tempo di lettura 5 min lettura
20 aprile 2024 Aggiornato alle 15:00

C’è un libro, pubblicato da poche settimane, che ha riacceso i riflettori su un tema caldo e ampiamente discusso a cui, però, sembra sempre troppo difficile mettere un punto definitivo: il rapporto tra adolescenti e smartphone.

Vuoi per i cambiamenti sociali o per quelli relazionali insiti nella società di oggi, vuoi per l’evoluzione dei mondi virtuali, che sempre più assomigliano nelle dinamiche e nelle abitudini a quelli reali, parlare dell’approccio delle nuove generazioni al mondo dell’online non è mai abbastanza facile, né scontato.

Ad aprire il vaso di Pandora sul tema, negli ultimi giorni, è stato Jonathan Haidt, uno psicologo sociale molto ammirato che insegna alla Stern School of Business della New York University e che ha trascorso la carriera studiando emozioni, cultura e moralità, dedicandosi allo sviluppo del bambino e alla salute mentale dell’adolescente. Haidt ha recentemente pubblicato The Anxious Generation: How the Great Rewiring of Childhood Is Causing An Epidemic of Mental Illness, un libro nel quale indaga approfonditamente la correlazione tra l’incremento dei casi di disturbi come ansia o depressione nei giovani della generazione Z e l’aumento dell’uso di smartphone e social network.

Il sociologo, tra le pagine del volume racconta quello che è successo alla Gen Z, cioè quella dei ragazzi e delle ragazze nati dopo il 1995 e entrati nella fase della pubertà mentre 4 tendenze tecnologiche convergevano: prima l’arrivo dell’iPhone nel 2007; poi la continua diffusione di internet a banda larga; nel 2009 quella che Hadit definisce “l’ era dei social media iper-viralizzati”, con like, retweet e condivisioni; e infine nel 2010 l’arrivo della fotocamera frontale degli smartphone, che “ha notevolmente ampliato il numero di adolescenti che pubblicano foto e video della propria vita affinché coetanei e sconosciuti non solo possano vederli, ma anche giudicarli”. Un meccanismo che mette alla mercè di tutti la loro autostima in un momento critico dello sviluppo cognitivo e psicologico.

Questa è diventata «la prima generazione nella storia ad attraversare la pubertà con un portale in tasca che li allontanava dalle persone vicine e li porta in un universo alternativo eccitante, avvincente, instabile e inadatto a bambini e adolescenti», racconta il professore.

Paradossalmente complice anche una genitorialità iper protettiva, fatta di madri e padri che hanno spinto verso l’online i figli per proteggerli e allontanarli dai pericoli del mondo reale, privandoli di ciò di cui avevano più bisogno per superare le normali paure e ansie dell’infanzia - come la possibilità di esplorare, testare ed espandere i propri limiti, costruire amicizie strette attraverso avventure condivise e imparare come giudicare i rischi da soli - all’improvviso intere generazioni di giovani adolescenti si sono ritrovate private della socialità e delle relazionalità, con uno schermo tra le mani, in un mondo virtuale in cui passano la maggior parte del tempo libero.

Hanno iniziato, così, a trascorrere molto meno tempo a giocare, parlare, toccare o anche solo stabilire un contatto visivo con amici e familiari e si sono ritirati silenziosamente dai comportamenti sociali, essenziali per lo sviluppo cognitivo umano: le ragazze hanno spostato la loro vita sui social media, mentre i ragazzi si sono rintanati in videogiochi coinvolgenti, Reddit, YouTube e pornografia. Entrambi hanno perso di vista il piacere di stare insieme, sviluppare relazioni e conoscere il mondo reale.

Haidt parla, a tal proposito, di un “Grande Ricablaggio dell’infanzia” di questi ragazzi, che parte dalla fine dell’ “infanzia basata sul gioco” e approda sull’ascesa di un’ “infanzia basata sul telefono”, che sta causando una sorta di epidemia di malattie mentali e disturbi del comportamento: gli appartenenti alla Gen-Z sono giovani sempre più depressi, ansiosi e diffidenti. Non riescono a dormire, né a stringere amicizie o a confrontarsi con la realtà, hanno maggiori pensieri di autolesionismo e possibilità di portare a termine idee di suicidio.

Non è, forse, un caso se i tassi di disturbi mentali tra gli adolescenti sono aumentati drammaticamente in molti paesi occidentali tra il 2010 e il 2015 (gli anni del passaggio dal telefono allo smartphone con connessione a internet e ai social network) e se dal 2010 al 2024 è stato registrato il 145% in più di casi di depressione tra le ragazze e 161% in più tra i ragazzi, mentre sono cresciuti esponenzialmente anche i casi di disturbi mentali legati all’ansia.

Cosa fare per provare a invertire la rotta e frenare l’andamento del pericoloso fenomeno?

Lo psicologo suggerisce 4 regole che, condivise dalla comunità, potrebbero portare in soli 2 anni al miglioramento sostanziale della salute mentale dei giovani: la prima è vietare l’uso degli smartphone prima del liceo, consentendo l’accesso solo a telefoni base senza funzionalità web; la seconda è vietare i social media prima dei 16 anni; la terza riguarda le scuole: tutte, dalle elementari alle superiori, dovrebbero vietare l’utilizzo del telefono, consentendo agli studenti di conservare i propri dispositivi negli armadietti; l’ultima è dare priorità al gioco nel mondo reale senza alcuna supervisione genitoriale, al fine di consentire ai ragazzi di sviluppare autonomia, indipendenza e senso di responsabilità.

«I bambini hanno bisogno di gioco e di indipendenza se vogliono diventare adulti sani, felici e indipendenti», spiega Haidt.

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