Diritti

Inghilterra: i ragazzi della Gen Z non amano il femminismo

Secondo il sondaggio Ipsos, un inglese su quattro crede che oggi sia più difficile essere un uomo che una donna, mentre il 37% dei giovani tra i 16 e i 29 anni pensa che i termini “mascolinità tossica” siano parole inutili
Credit: TUDOSE MADALIN
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
7 febbraio 2024 Aggiornato alle 11:00

Andrew Tate è un ex kickboxer, molto noto sui social, dove spara a raffica frasi sessiste e misogine. Alla fine del 2022 è stato arrestato in Romania insieme al fratello e ad alcuni collaboratori, con l’accusa di stupro, tratta di esseri umani e associazione a delinquere. Il gruppo avrebbe adescato giovani donne, instaurando con loro un rapporto di confidenza, per poi costringerle a realizzare contenuti pornografici. Alcune avrebbero anche subito violenze sessuali.

Non proprio un bel soggetto. Eppure per alcuni è un esempio. A dirlo è il sondaggio di Ipsos per il Policy Institute del King’s College di Londra e il Global Institute for Women’s Leadership, condotto in Inghilterra su oltre 3.600 maschi tra i 16 e i 29 anni, dal quale è emerso che un quinto di coloro che hanno sentito parlare di lui ne ha un’opinione positiva.

Anche l’autore di bestseller e accademico canadese Jordan Peterson, portato alla gloria dai conservatori statunitensi, sembra essere molto apprezzato. Conosciuto per le sue tesi sul presunto dominio del politicamente corretto e della cancel culture e in passato sospeso da X a causa di alcuni post transfobici contro Elliot Page, secondo il sondaggio è visto favorevolmente dal 32% degli uomini di età compresa tra 16 e 29 anni, rispetto al 12% delle donne della stessa generazione.

Le sue idee si fondano sulla critica alla cultura progressista che sovvertirebbe gli ordini naturali delle cose, e sull’elogio dei valori tradizionali come la mascolinità spiccata e il rispetto dei ruoli di genere tra uomini e donne. Peterson ovviamente è un grande sostenitore di Tate, che offrirebbe ai suoi 8,7 milioni di follower, un’ “aggressività schietta” come alternativa alla “sconfitta umiliata”.

Insomma, un duo di misogini che si dà virtualmente il cinque e che così facendo attira le simpatie di una nutrita, seppur minoritaria, fetta di maschi della Gen Z.

Nonostante la maggior parte prenda le distanze da queste posizioni, che alcuni ne siano affascinati è un fatto da non sottovalutare, e dimostra come oggi non tutti i giovani sono ancora sufficientemente formati per quanto riguarda la parità di genere. E che soprattutto lo sono molto meno dei ragazzi delle generazioni precedenti.

Dal sondaggio è infatti anche emerso che 1 maschio britannico su 4 crede che al giorno d’oggi sia più difficile essere un uomo che una donna e che secondo il 16%, il femminismo abbia fatto più male che bene. Tra gli over 60 il dato è pari al 13%. Inoltre, il 37% degli uomini di età compresa tra 16 e 29 anni considera “mascolinità tossica” una frase inutile.

«Si tratta di un modello generazionale nuovo e insolito - sottolinea Bobby Duffy, direttore del Policy Institute - Normalmente le generazioni più giovani sono maggiormente a loro agio con le nuove norme che si impongono nella società perché vi sono immersi fin dalla nascita».

Rosie Campbell, direttrice del Global Institute for Women’s Leadership presso King’s, individua nell’assidua frequentazione dei social la causa di questa, apparente, involuzione dei maschi. «Il fatto che questa generazione sia la prima a ricavare la maggior parte delle informazioni dai social media è probabilmente almeno una parte della spiegazione. I giovani uomini sentono molto parlare di emancipazione femminile ma non capiscono, in questa fase della loro vita, le disuguaglianze che sappiamo essere presenti nel mondo in diversi ambiti come il lavoro e la maternità, così si affidano alla rete per colmare le loro lacune», incappando in modelli come Tate.

A rimanerne affascinati sono soprattutto uomini appartenenti a minoranze etniche, con più di un terzo che concorda sul fatto che “solleva punti importanti sulle minacce reali all’identità maschile e ai ruoli di genere” rispetto al 12% tra gli uomini bianchi. Il motivo potrebbe essere che i ragazzi appartenenti a minoranze etniche molto spesso si sentono svantaggiati rispetto agli altri e abbandonati da una politica che nonostante le molte promesse raramente mette in campo azioni concrete volte all’integrazione e alla lotta al razzismo.

L’ex kickboxer, invece, urlando in camera che la melanina che rende la pelle più scura “dà saggezza e intuizione, insieme al coraggio e alla forza fisica” e, dicendo ai ragazzi come diventare veri uomini ed essere influenti, offre loro un modo concreto per cambiare vita. Un’illusione di riscatto che non trovano altrove e che credono arrivi dal profilo di una persona che riconoscono come simile e che individua, anche, nell’emancipazione femminile, la causa delle sfortune di molti uomini.

Secondo Campbell, l’età degli intervistati potrebbe aver inciso notevolmente sulle risposte date e sulle convinzioni alla loro base che «potrebbero cambiare nel tempo, una volta entrati nel mondo del lavoro. Non possiamo però darlo per scontato data l’importanza dei social media nel modo in cui comprendiamo noi stessi».

Insomma, giovani influenzati non è detto che si trasformino automaticamente in adulti maschilisti, ma nemmeno il contrario. Meglio quindi non sottovalutare certe indicazioni, e cercare di indirizzare la Gen Z verso modelli migliori.

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