Diritti

Kenya: pubblicità pericolose per la salute femminile sui social

Meta, Google e YouTube sponsorizzano pratiche igieniche rischiose per le donne (dai metodi contro l’infertilità alle tecniche per prevenire il cancro), in un Paese già vittima della period poverty
Credit: Cliff Booth
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
4 agosto 2023 Aggiornato alle 10:00

Non credere a tutto ciò che si vede dovrebbe essere la prima regola da seguire quando ci si avventura sul web, e ancor di più tra i post dei social network. Le tecniche di chi punta a spacciare per oro ciò che oro non è, però, si sono fatte sempre più sofisticate e a volte non cadere nel tranello è davvero difficile. Se poi le grandi aziende tecnologiche non arginano messaggi ingannevoli ma, anzi, li incoraggiano, la sfida diventa ancora più ardua e i danni potenzialmente altissimi.

Questo tema è stato analizzato nell’inchiesta del collettivo Fumbua, che ha accusato Meta, Google e YouTube di consentire in Kenya la pubblicità di prodotti per la salute femminile fortemente dannosi. Nel grande oceano dell’inganno c’è di tutto, dai metodi contro l’infertilità a quelli che allontanerebbero il cancro.

Su Facebook, a esempio, le donne keniote possono leggere di fantomatiche perle yoni, palline di erbe avvolte in rete da inserire nella vagina per pulire l’utero e proteggere dal cancro cervicale; oppure scoprire nel dettaglio come fare una lavanda vaginale con il vapore, che consiste nel sedersi sopra una ciotola di acqua bollente: un ottimo trattamento per l’endometriosi.

«Ciò che è più allarmante è quanto liberamente siano disponibili questi annunci. Le persone non sono solo in grado di vendere cose pericolose, ma di farlo pubblicamente e persino pagare perché queste pubblicità diventino virali», ha dichiarato Wanjiru Nguhi, a capo della ricerca di Fumbua, che arriva in un momento in cui il controllo delle piattaforme social in Kenya si è fatto più stringente.

Meta nel Paese sta infatti affrontando 3 cause legali per presunte inadeguatezze nei suoi sistemi di moderazione dei contenuti e questo ha portato a una maggiore supervisione da parte degli organismi di monitoraggio dei social media che, tuttavia, alla luce dei fatti, non sembra essere sufficiente.

Il successo dei cosiddetti prodotti vaginal detox si deve alla popolarità data loro da star come Gwyneth Paltrow e Vera Sidika, protagonista di Real Housewives Nairobi, che ne parlano senza tuttavia entrare quasi mai nel merito, né tanto meno distinguere nettamente ciò che è innocuo da ciò che, invece, può rivelarsi nocivo.

«Anche se con la tecnica del vapore si crede di pulire a fondo la propria vagina, in realtà si sta aumentando la sua vulnerabilità - ha sottolineato Jacqueline Chesang, specialista in salute riproduttiva - Le vagine sono autopulenti e contengono batteri sani che scongiurano le infezioni e i rituali di pulizia e vaporizzazione interferiscono con l’equilibrio del loro pH, rendendole più soggette alle infezioni».

Nonostante i medici stiano mettendo in guardia contro l’uso di questi prodotti sponsorizzati sul web, nulla sta cambiando. A vincere a livello comunicativo sono ancora le celebrity che promettono un benessere mai avuto e i prezzi di questi prodotti, che il più delle volte non superano i 1.000 scellini kenioti, circa 5 dollari.

A seguito della pubblicazione della ricerca, Meta ha provato a difendersi, affermando che il contenuto riguardante la disintossicazione vaginale non violasse le sue politiche, nonostante queste prevedono la rimozione di contenuti medici che promuovono cure miracolose dannose o che possano contribuire direttamente al rischio di lesioni gravi o morte. Google e YouTube, che a loro volta promuovono pubblicità a ortodossi rimedi per la salute femminile, hanno invece rifiutato di commentare quanto emerso.

La loro politiche contro la disinformazione sono però molto simili a quelle del colosso di Mark Zuckerberg quindi è probabile che la linea difensiva sia la stessa. Google sostiene di aver bloccato o rimosso 51,2 milioni di annunci a causa di contenuti inappropriati o dannosi nel 2022 e di aver adottato misure estese per contrastare la disinformazione e le affermazioni inaffidabili. Ma, secondo i ricercatori di Fumbua, occorre fare di più, soprattutto in un’area come quella del Kenya, dove le donne si mostrano particolarmente attratte da determinati prodotti e che potrebbe rappresentare il volano per la diffusione di tendenze sanitarie dannose in tutto il continente.

Un effetto domino che sembra essere già iniziato visto che il mercato delle soluzioni miracolose per la salute riproduttiva femminile è in espansione anche in Nigeria e Sud Africa. I ricercatori ritengono che il marketing e gli algoritmi social stiano sfruttando le scarse nozioni delle keniote in merito alla sessualità e all’igiene femminile che le spinge a cercare risposte sul web.

In Kenya, si stima che circa 2 donne su 10 tra i 15 e i 49 anni abbiano subito mutilazioni genitali femminili. Una pratica violenta e disumana che espone ciò che resta delle parti intime al rischio di infezioni e problemi medici di ogni tipo. A questo si aggiunge il fenomeno del period poverty, che fotografa una situazione economica particolarmente dura per le donne e le ragazze, con il 65% di loro che non può permettersi gli assorbenti ma deve ripiegare su metodi alternativi come stracci, coperte, pezzi di materasso, carta velina e cotone idrofilo, tutt’altro che igienici.

Per questi motivi la pubblicità ingannevole diffusa in Kenya, che Meta e gli altri colossi digitali si rifiutano di estromettere dalle loro piattaforme, rischia di fare più danni che altrove.

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