Diritti

I moderatori di Facebook guadagnano 1,50 dollari all’ora

Un’inchiesta del settimanale Time ha denunciato le condizioni lavorative dei dipendenti di Sama, l’azienda subappaltata in Africa per controllare post, video e immagini del celebre social network
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
16 febbraio 2022 Aggiornato alle 09:00

Traumi mentali, intimidazioni e una presunta soppressione dei diritti sindacali. È quanto subiscono, secondo un’inchiesta del settimanale statunitense Time, i moderatori di contenuti che lavorano per Facebook da Nairobi, in Africa.

L’articolo intitolato Inside Facebook’s African Sweatshop (letteralmente “all’interno di una fabbrica di sfruttamento di Facebook”), descrive le condizioni dei lavoratori in una delle sedi africane dell’azienda californiana Sama, che verrebbero pagati dall’azienda di Mark Zuckerberg la bellezza di 1,50 dollari all’ora, per guardare e valutare contenuti potenzialmente violenti o degradanti.

Questo è il compito di un moderatore assunto in outsourcing, ovvero appaltato a terzi, per revisionare le segnalazioni di post, immagini, storie e video sospetti segnalate dagli utenti, o quegli avvertimenti dei software di riconoscimento automatico di contenuti vietati dalle policy: queste persone devono decidere, nell’arco di pochi minuti, se rimuoverli, limitarne la visibilità o lasciarli online.

I 200 giovani, tra uomini e donne, incollati ai monitor nella baraccopoli della periferia della capitale kenyota, lavorano per Sama, l’azienda che afferma di voler fornire alle persone che lavorano in luoghi come Nairobi un’occupazione “digitale e dignitosa”. Come riporta Time, per i suoi dirigenti il miglior modo per aiutare i Paesi poveri è “dare lavoro, non aiuto”, e infatti dichiarano di aver contribuito a far uscire da questa condizione più di 50.000 persone nei Paesi in via di sviluppo. Tra i clienti dell’azienda, precedentemente nota come Samasource, oltre a Facebook, figurano Walmart, Google, General Motors e Microsoft.

Nonostante si tratti dell’epicentro delle operazioni di moderazione dei contenuti dell’intera Africa subsahariana, i lavoratori di questi uffici sono tra i meno pagati del mondo dalla piattaforma col quartier generale a Palo Alto. L’inchiesta fa emergere come Facebook, che invia periodicamente i propri dipendenti a Nairobi per monitorare le operazioni di Sama, stia sfruttando le stesse persone da cui dipende per garantire che la sua piattaforma sia sicura in Etiopia e in tutto il continente.

Il settimanale statunitense ha svelato che per tutti questi motivi i censori digitali di Sama stanno lasciando l’azienda in massa a causa della scarsa retribuzione e delle pessime condizioni di lavoro. Sotto la lente del Time, le interviste a più di una dozzina di dipendenti attuali e non, che non hanno voluto rivelare la propria identità, centinaia di pagine di documenti, mail aziendali, buste paga e contratti. «Il lavoro che facciamo è una sorta di tortura mentale», ha detto al Time un dipendente, «A volte sento di voler dare le dimissioni. Ma poi mi chiedo: cosa mangerà il mio bambino?». Molti hanno deciso di continuare, nonostante i traumi, perché non avevano altre opzioni.

L’inchiesta riporta che almeno due moderatori si sono dimessi dopo che gli erano state diagnosticate malattie mentali, tra cui disturbo da stress post-traumatico, ansia e depressione. Sama avrebbe anche represso i tentativi di sciopero dei dipendenti, relativi all’estate del 2019, negando di assicurare condizioni retributive e lavorative migliori e licenziando il leader delle proteste, Daniel Motaung. Accusato di aver intrapreso azioni che avrebbero messo a rischio il rapporto tra l’azienda e Facebook. Come se difendere i propri diritti fosse un crimine.

Foxglove, una Ong con sede a Londra, sta preparando un’azione legale contro Sama in relazione al presunto licenziamento illegittimo. L’azienda, via email, nega lo sciopero, l’azione sindacale e dice di essere orgogliosa dei propri dipendenti: «È un lavoro duro ed è per questo che investiamo molto in formazione, sviluppo personale, programmi di benessere e stipendi competitivi» dicono i dirigenti. Facebook, dal canto suo, ha dichiarato che la spesa per le misure di sicurezza ammonta a più di 5 miliardi di dollari nel 2021, dedicate anche ai 15.000 moderatori sparsi in tutto il mondo: «Ci assumiamo la nostra responsabilità nei confronti delle persone che esaminano i contenuti per Meta e richiediamo ai nostri partner di fornire retribuzioni, vantaggi e supporto leader del settore», dice un portavoce al Time.

Ma le buste paga analizzate parlano chiaro: lo stipendio mensile lordo per i dipendenti stranieri ammonta a 60.000 scellini kenyoti, che corrispondono a circa 528 dollari, cifra che include un bonus mensile per il trasferimento di queste persone da altre parti dell’Africa. Al netto delle tasse, si tratta di 440 dollari al mese, con 2,20 dollari all’ora considerando una settimana lavorativa da 45 ore. Per i dipendenti che non ricevono il bonus, perché sono originari del Kenya, la paga è di 1,46 dollari al netto delle tasse. Già nel 2018, in un’intervista alla Bbc, la fondatrice di Sama aveva spiegato: «Una cosa fondamentale nella nostra linea di lavoro è non pagare salari che distorcerebbero i mercati del lavoro locali».

Nella sua dichiarazione al Time, Sama ha affermato di aver “rivisto” le sue politiche legate alla salute mentale dopo che i dipendenti avevano sollevato preoccupazioni nel 2019 “e apportato ulteriori miglioramenti e fornito ulteriore coaching ai leader dei team”. Secondo i dipendenti, però, la sicurezza rimane tuttora inadeguata. «Quando si tratta del tuo benessere personale», ha detto un lavoratore, «non vieni trattato come un vero essere umano». Come Motaung che è riuscito a rifarsi una vita in un villaggio sulle montagne, ma non ha ancora superato i traumi di Sama: «Quel genere di cose può cambiare quello che sei» dice. «Può distruggere la fibra del tuo essere».