Diritti

Sicurezza sul lavoro, dalla patente a punti alle nuove normative Ue: ecco cosa sta per cambiare

Dopo le morti alla centrale idroelettrica di Bargi nel bolognese e la scoperta di laboratori-dormitori nella filiera produttiva di Armani, è più che mai urgente l’istituzione di regole stringenti per la tutela dei lavoratori
Credit: Josue Isai Ramos Figueroa 
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
16 aprile 2024 Aggiornato alle 07:00

È di alcuni giorni fa la notizia che nei capannoni della Giorgio Armani Operations gli operai cinesi fossero costretti a lavorare in condizioni ben inferiori dei minimi standard considerabili umani. E quella dei lavoratori della centrale idroelettrica di Bargi, sul lago di Suviana in provincia di Bologna, morti a seguito di una fortissima esplosione.

Due vicende diverse ma che hanno confermato come ancora troppo spesso in Italia lavorare, per molte persone, comporti il rischio di morire, finire vittime di infortuni gravissimi o di dover sottostare a regole disumane e pericolose pur di non rimanere senza stipendio.

Che serva un cambio di rotta lo dicono i dati che (seppur in miglioramento) denunciano una situazione non più ignorabile: 1.041 secondo l’Inail le morti sul lavoro nel 2023 (-4,5% rispetto all’anno passato) e 585.356 gli infortuni (-16,1%).

Alla luce di ciò il Governo sta provando ad accelerare i tempi per l’approvazione del pacchetto sicurezza nei luoghi di lavoro, che riprende il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro approvato durante il governo Prodi e redatto dall’allora ministro del Lavoro Cesare Damiano (Pd), indebolito dal quarto Governo Berlusconi e mai attuato.

Diverse le misure all’interno del decreto Pnrr all’esame della commissione Bilancio alla Camera, a partire dalla patente a punti per la sicurezza sul lavoro, obbligatoria da ottobre 2024 per imprese e lavoratori autonomi per lavorare nei cantieri temporanei o mobili. a essere interessate dalla norma saranno in un primo momento solo le imprese edili ma, come specificato dalla ministra del lavoro Maria Elvira Calderone, l’intenzione è di estendere presto lo strumento anche ad altri settori.

La patente sarà rilasciata dall’Ispettorato nazionale del lavoro e il suo funzionamento ricalca quello della patente delle auto. Ogni impresa o lavoratore autonomo avrà inizialmente una dotazione di 30 punti e per ogni infrazione o irregolarità rilevata ne verrà decurtato un numero variabile a seconda della gravità dell’illecito. Per incidenti che procurino una inabilità temporanea a un lavoratore il taglio sarà di 10 punti, 15 se l’inabilità verrà giudicata permanente. In caso di morte del lavoratore, invece, i punti decurtati saranno 20, ai quali si somma la sospensione delle attività.

I punti saranno recuperabili partecipando a corsi di formazione sulla sicurezza, mentre in circostanze di particolare gravità l’Ispettorato nazionale del lavoro potrà anche sospendere la patente fino a un massimo di 12 mesi. Sotto i 15 punti l’impresa non potrà lavorare nei cantieri e riceverà una sanzione amministrativa variabile da 6.000 euro a 12.000 euro. La patente sarà richiesta anche alle aziende extra Ue che lavorano in Italia ma non sarà obbligatoria per chi è in possesso della Soa - Società organismi di attestazione di terzo livello.

Oltre alla patente a punti, nel decreto sono state anche recepite alcune modifiche proposte dal Pd e sollecitate dalle parti sociali, per garantire maggiori tutele e garanzie ai lavoratori impiegati negli appalti e subappalti, ai quali dovrà essere corrisposto un “trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto”.

Nel frattempo alla Giustizia sta per insediarsi una Commissione creata dal ministro Nordio e dalla ministra Calderone che entro un anno dovrà verificare normative e sentenze sugli incidenti di lavoro e formulare nuove proposte di intervento. Proposte più che mai necessarie anche per combattere la piaga del caporalato, dilagante ormai non solo in agricoltura ma anche in altri settori, a cominciare da quello della moda, come testimoniano gli avvenimenti più recenti.

Tre mesi fa la Alviero Martini Spa, che dal 2003 fa capo alla Final di Luisa Angelini, è stata raggiunta da un provvedimento di amministrazione giudiziaria emesso dal Tribunale di Milano perché non avrebbe impedito casi di caporalato lungo la propria filiera di fornitura. A far partire le indagini è stata la morte sul lavoro, nel maggio 2023, di Ruman Abdul, un operaio assunto in nero dalla Crocolux srl (che dal 2018 è appaltatrice di Alviero Martini) gestita da cinesi che costringevano i lavoratori a turni massacranti e senza alcuna tutela in laboratori dormitorio.

L’amministrazione giudiziaria è una misura prevista dalla legge 159/2011 per chi approfitta di condotte illecite altrui, per la quale la società non risulta indagata e anche per questo la vicenda potrebbe concludersi in fretta, almeno stando alla prima relazione degli amministratori giudiziari nominati a metà gennaio, che hanno evidenziato la collaborazione da parte della società e presentato un cronoprogramma che prevede anche lo scioglimento dei contratti con i fornitori della Crocolux srl e potrebbe portare alla revoca della misura già dopo l’estate.

Più recente ed estremamente simile il caso della Giorgio Armani Operations, posta in amministrazione giudiziaria venerdì 5 aprile per sfruttamento del lavoro. Secondo l’inchiesta dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone e dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro, la società del gruppo Armani appaltava la produzione di borse e accessori ad aziende che a loro volta si appoggiavano a opifici che sfruttavano la manodopera cinese, ed esattamente con la Alviero Martini Spa non avrebbe vigilato sulle società alle quali appaltava.

Turni massacranti di più di 14 ore al giorno e letti posizionati direttamente sotto il tavolo da lavoro: questo dietro l’arrivo secondo i tempi concordati, in azienda e poi in boutique, di accessori rivenduti al consumatore con prezzi gonfiatissimi rispetto ai costi di produzione e agli stipendi minimi corrisposti ai lavoratori-schiavi, quasi tutti di origini cinesi o pakistane.

Velocità significa maggiore produzione e, di conseguenza, guadagno. E nel nome di quest’ultimo nulla conta di più, men che meno la sicurezza di chi quei prodotti di lusso (ma realizzati in scantinati) doveva assemblarli. Da quanto emerso dall’indagine, infatti, per ridurre i tempi a molti macchinari erano stati rimossi dispositivi di sicurezza e emergenza, che proteggevano dita e mani degli e delle operaie ma ne rallentavano il lavoro.

La sensazione è che queste non rimarranno a lungo storie isolate e che ben presto altri grandi nomi della moda potrebbero essere interessati da misure simili, perché colpevoli di un modus operandi che punta a massificare i profitti sulla pelle dei lavoratori, che molto spesso a una vita di soprusi e umiliazioni non hanno alternative.

Non solo in Italia ovviamente, e per questo a Bruxelles  è in corso l’iter legislativo della Corporate Sustainability Due Diligence Directive, che prevede che le aziende controllino e rendano conto della tutela dei diritti umani nella loro catena di fornitura sulla base degli Un Guiding principles on Business and Human Rights. Il testo della direttiva è stato approvato dal Parlamento europeo a dicembre 2023, ma successivamente modificato dopo la mancata approvazione da parte del Consiglio. Per questo dovrà essere rivotato a Strasburgo nella plenaria del 22-25 marzo.

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