Diritti

Homeless e immigrazione: l’altro volto di New York

Nell’ultimo anno, 110.000 migranti sono arrivati nella Grande Mela, dove il tasso di povertà dei cittadini afroamericani e ispanici è del 25%. Molti sono costretti a vivere in strada, ma in inverno rischiano l’ipotermia
Credit: FATIH AKTAS/ANADOLU AGENCY
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25 settembre 2023 Aggiornato alle 12:00

«Il problema dell’immigrazione distruggerà la città». Così ha esordito il sindaco di New York, Eric Adams, alcuni giorni fa, durante una conferenza stampa. Lunghe e scomposte le file dei migranti che invadono i marciapiedi, in pieno giorno, di fronte ai centri di raccolta e di identificazione, per essere smistati in rifugi già al collasso.

Nell’ultimo anno sono stati 110.000 i nuovi immigrati entrati nella Grande Mela, soprattutto venezuelani, arrivati in autobus dal Texas. Circa 60.000 vivono nei 200 punti d’accoglienza cittadini; oltre 20.000 fra questi sono minori.

Come Stato santuario (luogo che rifiuta di collaborare e consegnare alle autorità federali i dati di individui giunti irregolarmente), New York è obbligata a ospitare chiunque ne faccia richiesta, ma il budget previsto per l’accoglienza, pari a 107 miliardi di dollari, si sta rapidamente assottigliando (considerando che, per sopperire al loro mantenimento, per i prossimi 3 anni si stimano costi per 13.000 milioni di dollari).

Secondo il New York Times sono circa 100.000 i nuovi aspiranti rifugiati e l’afflusso al momento non accenna a diminuire: nella settimana del 21-27 agosto, secondo i dati esposti da City Hall, sono arrivate in città 2.900 persone.

New York, la più patinata, irriverente fra tutte le città americane, quella che incarna meglio il sogno di riscatto e rivincita di molte generazioni, il biglietto da visita di un’intera Nazione, riproduce fedelmente quanto sta accadendo nella terra a stelle e strisce. Esiste una profonda spaccatura che l’America di oggi sta vivendo: sono lontani i tempi in cui Donald Trump incitava le folle presenti ai suoi comizi elettorali al grido di Make America great again.

A Times Square, il centro pulsante di New York City, dove converge la movida turistica, a due passi da Brodway (dove ogni sera si aprono i sipari di spettacoli teatrali fra i più raffinati del mondo) dormono homeless di ogni età, di ogni etnia, anche se principalmente afroamericani. Il loro tasso di povertà, come quello degli ispanici, si attesta attorno al 25%, ben al di sotto della soglia di sopravvivenza. In un Paese dove vivono oltre un quarto dei miliardari presenti sul Pianeta, ci sono 40 milioni di persone che versano in precarietà, di cui un terzo sono bambini, generando il più alto livello di disuguaglianza sociale nel mondo occidentale.

Mark è sdraiato sulla 5th Avenue, all’incrocio con la 14th Street, una zona in cui solitamente non si sono mai aggirati senzatetto. Ha un cartello con scritto “I’m hungry” quasi a nascondergli il volto che, immerso nei lunghi capelli e nella barba, risulta parzialmente riconoscibile. Alla vista di una banconota diventa loquace; la sua storia è come quella di tanti altri: una crisi coniugale, la perdita del lavoro, dell’assicurazione, di ogni bene materiale e infine della dignità. Proviene da Philadelphia, lavorava nel campo assicurativo e 2 anni fa, quando è arrivato, sperava in una nuova collocazione all’interno della città che non dorme mai e che almeno sulla carta offriva infinite possibilità. Invece da New York è stato fagocitato in una parabola discendente, in cui si è trovato trascinato sempre più in basso, «se non riesci a riprendere in mano velocemente la tua vita e resti indietro nessuno sarà poi disposto a tenderti una mano» racconta a La Svolta.

La ricchezza è ancora un indicatore importate in questa lotta per la sopravvivenza: chi appare sconfitto, ferito, o semplicemente stanco diviene praticamente invisibile. Mark trascorre la notte in suo sacco a pelo ai margini della 5th Avenue: tra le strade, la più ambita, la più illuminata, più pulita, più sicura, ma anche la più controllata. Rappresenta da sempre la Mecca dello shopping di lusso, della ricchezza sfrenata; i residenti, però, sono più intolleranti che altrove, non sono disposti a incontrare mendicanti sotto i loro scintillanti palazzi e i poliziotti, chiamati a intervenire, sono sempre più aggressivi nelle procedure di sgombero.

«In estate si può rimanere all’aperto - continua Mark - ma nei mesi invernali, senza un rifugio, con le rigide temperature che vi sono qua si rischia l’ipotermia. Cerco di rimanere sempre in questa zona, sono vicino a Washington Square, nella piazza vi sono bagni pubblici e alcune associazioni vengono a distribuire cibi da asporto, capi di vestiario e scarpe».

Nel 2020, negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione fra gli afroamericani era doppio rispetto a quello della popolazione bianca: era disoccupato il 22% per la fascia d’eta 16-29 anni, il 14% per i 20-24 anni, l’8% tra i 35-34 anni e, infine, il 5% per la fascia 35-54. Nel 2018 il 60% della popolazione afroamericana guadagnava meno di 50.000 dollari annui, contro il 40% della popolazione bianca nella stessa condizione. In questi ultimi 2 mesi, secondo i dati pubblicati dal Bureau of Labor Statistics, il tasso di disoccupazione dei cittadini neri è sceso a 1,9 punti percentuali.

Nei giorni scorsi la blogger Cherokee Danielle, che vive in Florida, ha scatenato un dibattito sul suo account, dopo aver pubblicato un post divenuto virale in cui chiedeva: “Voglio trasferirmi a New York, suggerimenti?”. La risposta del web è stata unanime “Non farlo”. L’esasperazione che traspare dagli abitanti della City descrive una città sempre più sporca, violenta e cara.

La tendenza osservata negli ultimi anni vede un numero considerevole delle persone che decidono di lasciare Manhattan, soprattutto i più giovani, che non riescono a sopperire al caro affitti, aumentato di oltre il 75% nell’ultimo decennio. La fascia più bassa della middle class, che già aveva già fissato la propria residenza in distretti come Queens e State Island, trovandosi lontana dal centro di gravità urbano, ha trasformato questi luoghi in periferie “esistenziali”, rendendo di fatto la periferia il suo centro.

Lo scorso mese la vicesindaca di New York Sheena Wright ha presentato alla stampa l’ambizioso progetto da 485 milioni di dollari per proteggere la Grande Mela dalla violenza armata. Nel report stilato dall’amministrazione Adams risulta che, nonostante la criminalità abbia complessivamente avuto una flessione, ci sia stata una progressiva intensificazione di sparatorie da parte delle baby gang.

In questo scenario, in cui la sicurezza si lega a diversi fattori (fra cui la disoccupazione, l’emergenza abitativa, i problemi di salute mentale, la sfiducia nelle istituzioni), aumentano anche le proteste. Ogni giorno a Lower Manhattan, dove risiedono i palazzi del potere, è possibile incontrare i manifestanti.

Dagli altoparlanti si alza il grido Rikers closed, mentre un cordone della polizia cerca di contenere i cittadini che da tempo si battono per la chiusura dell’ultima colonia penale Usa, il complesso penitenziario a sole 7 miglia da Central Park, che detiene il record di suicidi e diritti negati. Tra i partecipanti ci sono i parenti di Erick Tavira, morto impiccato lo scorso ottobre, all’interno di una cella. Sentenziano: «troppo spesso la detenzione dentro questa prigione equivale a una condanna a morte».

A distanza di pochi giorni dalla sua scomparsa, la stessa sorte è toccata a Gilberto Garcia, altro detenuto suicidatosi presumibilmente con overdose. Quella della droga a New York, come nel resto della repubblica federale, si sta trasformando in un’altra emergenza nazionale, rivela il World Drug Report 2022, il rapporto sulla droga realizzato dalle Nazioni Unite. Si muore per eroina, ma anche per l’uso non medico di Fentanyl, un farmaco distribuito in tutte le forme: liquido, in polvere e in compresse prescritto come antidolorifico. Ogni 7 minuti una persona in Usa muore per uso di sostanze chimiche: secondo stime preliminari ci sono stati 107.000 morti per overdose nel 2021, rispetto a quasi 92.000 nel 2020.

Tutto questo avviene in un clima di incertezza elettorale: fra poco più di un anno gli americani saranno chiamati a votare per la riconferma o sostituzione del loro presidente. Si preannuncia una campagna dominata da cause legali, giudici, scandali, partiti a pezzi, mentre gli elettori restano in attesa di risposte immediate.

New York sans New York scriveva Philippe Delerm, nel suo discusso libro, in cui raccontava la città in oltre 200 pagine senza averla mai visitata. Forse dovremo fare come lui, che illustra Nyc attraverso le voci di chi ha vistato la metropoli, ma anche attraverso i film, le foto, evitando quindi di recarci lì, preservando il segreto di una città essenziale che non sopporta in nessun modo di essere violata dalla realtà.

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