Economia

People have the power. Oppure no?

Quanti poteri esistono in azienda? Ben 5, più 2 bonus. Ma oggi la chiave vincente sembra essere il lavoro “orizzontale”, la cooperazione. Sono pronti capi e manager a cambiare strada?
Credit: Hunters Race
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
1 agosto 2023 Aggiornato alle 06:30

Fa caldissimo e torna sul tavolo il tema dello smart working. Lavorare da casa aiuta a non sovraesporsi al calore negli spostamenti da e per l’ufficio e consente di impattare di meno sull’ambiente: ancora una volta, si direbbe la soluzione migliore.

E però, è dal periodo della pandemia che viviamo questa dicotomia. Da un lato, il personale, che apprezza oltremodo l’idea di poter lavorare da casa (o comunque, non dall’ufficio). Dall’altro, i dirigenti, i manager o in genere le figure apicali, alcune delle quali si professano (apertamente o meno) del tutto contrarie a questa modalità di lavoro.

Tra le motivazioni addotte per questo opporsi a un nuovo modo di produrre, radicandosi nelle tradizioni e nel “si è sempre fatto così”, figura il timore che si possa finire con il lavorare di meno.

Quasi tutte le ricerche, tuttavia, dimostrano il contrario. Alcune evidenziano, proprio per il nostro Paese, che il tasso di crescita della produttività del lavoro, che era aumentato con lo smart working, è tornato invece a diminuire dal momento in cui le aziende hanno iniziato a sospendere la possibilità di lavorare da remoto e a richiedere al personale di tornare in presenza.

Ma non sarà che ai manager manca quella sensazione di potere che può dare loro il camminare per i corridoi con passo marziale, voltando la testa qua e là per controllare chi sia seduto alla propria postazione (anche se magari passa il suo tempo sui social)? Non sarà che, ancora una volta, è tutta una questione di potere?

Che poi, definiamolo questo potere all’interno delle aziende. Secondo la letteratura, i tipi di potere in azienda sarebbero 5, più 2.

Si va dal potere legittimo (che è quello che deriva dal titolo) al potere coercitivo (che non ha probabilmente bisogno di definizioni). C’é il potere che motiva con la ricompensa, ma anche quello che si esercita quando le persone sono felici di essere in prossimità di quel certo individuo o perfino di essere come lui o come lei.

C’è il potere legato al valore dell’esperto, che è intrecciato alla conoscenza o alle competenze. E poi, se ne elencano 2 specialissimi. Il primo è il potere informativo: se una persona ha accesso a determinate informazioni che altri non possiedono, detiene un senso di potere sugli altri. Lei è quella “che sa” e sarà ricercata per fornire intuizioni e guida in aree in cui gli altri non hanno conoscenza.

Infine, abbiamo il potere legato alle connessioni. Questo, in Italia, lo conosciamo bene: se qualcuno ha una connessione personale con una persona potente o famosa, avrà la possibilità di agire in maniera diversa rispetto alle altre persone. Anche nelle aziende, il networking è la chiave per stabilire connessioni con decisori e leader che esercitano un’influenza.

Ora, nei sistemi culturalmente più avanzati, le ricerche suggeriscono che il potere inteso alla vecchia maniera rende i leaders meno reattivi rispetto agli stimoli esterni, perché più concentrati su loro stessi. Ridono più forte, ascoltano di meno, ritengono che la propria esperienza personale sia sempre e comunque superiore (o comunque, più degna di attenzione) rispetto a quella altrui.

Eppure, il potere per come l’abbiamo conosciuto sta diventando fuori moda. I team di lavoro che funzionano meglio e si portano a casa le performance migliori sono quelli basati sulla gestione orizzontale delle responsabilità e sulla cooperazione. Anche ai senior executive si chiede sempre di più di essere umili (Musk, mi senti?). E, in fase di colloquio, chi usa troppo “io” al posto di “noi” inizia a essere scartato.

Siamo pronti per un potere nuovo?

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