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Se fama e followers battono la competenza

Molti hanno storto il naso dopo la nomina di Pharrel Williams come direttore creativo di Louis Vuitton uomo. Forse quel posto lo meritava di più un designer?
Credit: instagram.com
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
17 febbraio 2023 Aggiornato alle 14:00

Il nome che non ti aspetti a volte esce dal cilindro e si piazza là dove non avresti mai immaginato. È successo alcuni giorni fa, quando Louis Vuitton ha annunciato la nomina di Pharrel Williams alla direzione creativa della divisione uomo.

Che i tempi per l’investitura del successore di Virgil Abloh, prematuramente scomparso nel 2021, fossero maturi si sapeva ma gli addetti ai lavori erano pronti a scommettere su un nastro nascente della moda, e non certo su uno dei cantanti e produttori musicali più influenti degli ultimi 3 decenni, polverizzatore di record, vincitore di 13 premi Grammy e molto altro.

Eppure è successo, non senza polemica.

L’orbita di Pharrel Williams ha sempre gravitato attorno al fashion system, con la creazione di un suo brand e collaborazioni più o meno riuscite, la prima proprio con Louis Vuitton nel 2004, quando lui era ancora parte del gruppo N.E.R.D. e il marchio era guidato da Marc Jacobs. Poi fu la volta di Gucci, Adidas, Uniqo, e Chanel che lo fece addirittura sfilare in passerella.

Insomma, non si può dire che la scelta sia caduta su una persona completamente a digiuno della materia e nemmeno che la visione eclettica, con la quale ha nel tempo contaminato diverse forme comunicative e artistiche, non possa portare grande beneficio alla casa di moda.

Proprio per questo le critiche più pungenti nelle scorse ore non sono state rivolte nello specifico a Williams, ma alla sedia che andrà a occupare che per questione di merito secondo molti sarebbe dovuta spettare ad altri.

Williams è tra i numeri 1 della musica ma le sue competenze di design si fermano alla passione e a quell’estro creativo che non è detto sappia trasferire dal palco alla passerella. Nessun corso, nessun attestato, nessuna esperienza precedente se non collaborazioni nelle quali sicuramente fu affiancato da designer di professione.

Non è uno stilista ma questo non ha impedito al marchio di proprietà del gruppo LVMH, di offrirgli uno dei lavori più prestigiosi del settore. E chi pensa a una scelta illogica forse non tiene in considerazione alcuni aspetti.

I ricavi di Louis Vuitton hanno superato per la prima volta i 20 miliardi di euro nel 2022. La maggior parte di quel denaro proviene dalla vendita di borse, mentre i vestiti costituiscono solo un frammento delle vendite complessive: non è assurdo pensare che la mossa sia stata voluta proprio per dare al marchio una svolta cool, almeno al settore uomo, il meno sfruttato fino a questo momento.

Williams non è il primo designer a cui manca una formazione di base ma probabilmente è il primo che arriva da star, dopo aver affermato la propria leadership altrove. Una condizione che ha generato stupore planetario e mal di pancia nel mondo della moda. Designer che sognavano quel posto e studenti delle accademie, che desiderano e ambiscono a lavorare per un grande nome della moda, si sono ritrovati compatti nella polemica, alimentata dalla convinzione granitica della mancanza di competenza del cantante di Happy.

La verità, però, è che la moda, come qualunque altro ambito, oggi è più a caccia di like che di vera qualità. Tutto passa attraverso i social e se qualcosa diventa virale è ok, altrimenti no. Non che eccellenza, sartoria e artigianalità non contino. Ma è fondamentale creare qualcosa di cui la gente parli. Ed ecco quindi che star da milioni di followers diventano direttori creativi, esattamente come a tiktoker e influencer vengono affidate conduzioni tv o copertine di riviste, che una volta erano ad appannaggio esclusivo delle modelle.

Tutto è show e lo show è tutto: il gruppo LVMH, forse, ne è convinto più di altri visto che nel 2019 aveva sostenuto Rihanna’s Fenty, progetto chiuso per flop dopo 2 anni; e che poi aveva affidato la direzione creativa maschile a Virgil Abloh, stilista sì ma anche celebrità, amico e socio in affari di volti notissimi, come Kanye West.

Anche in quel caso, molti storsero il naso salvo poi, il giorno della sua scomparsa, alzarsi in piedi ad applaudirlo. Adesso la storia si ripete con ancora più veemenza.

Nessuno sostiene che Williams non possa presentare collezioni all’altezza o addirittura superare le alternative, ma un po’ di amaro in bocca per la sua nomina rimane. La fama raggiunta grazie a un talento coltivato lontano dalle passerelle gli ha permesso di scalare posizioni, piazzandosi davanti a chi, invece, si impegna magari da decenni con ago, filo e bozzetti.

Oggi sembra che nulla di tutto ciò possa competere con milioni di followers che con un like possono far schizzare i ricavi alle stelle. È lo show dicevamo, che cannibalizza tutto. Anche la competenza.

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