Ambiente

La vera forma delle piante

Molte di quelle che si trovano nei piccoli appartamenti cittadini si sono abituate a prendere forme diverse da quelle che avrebbero in natura. Più composte, minimal e armoniche. Insomma, irreali
Credit: Brina Blum
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2 settembre 2023 Aggiornato alle 06:30

L’alba è rosa tenue. Il cielo sembra una pesca, via via più matura al salire del sole. I raggi colano morbidi sulle foglie di una Potos, grandi quanto la mia testa. Foglie enormi, tese verso l’alto, abbarbicate lungo il fusto sodo di una palma da cocco. Radici come capelli, che scivolano verso il suolo, foglie come palmi aperti a cogliere la luce del sole.

Nulla a che vedere con la piccola Potos che cerca di bere un po’ di sole nel mio appartamento di Milano. Stretta com’è nel suo vasetto striminzito, sta seguendo il corso di un’intenzione che non le appartiene, quella della “cascata verde”.

La potos cresce verso il cielo, si apre, dilata foglie immense a metri e metri di altezza. A Milano pende verso il suolo, mimando un’estetica poco naturale ma molto pinterest, con foglie piccole e incerte. Una moda che varia.

Negli anni 90 e nei primi 2000 le Potos venivano invasate con un tronco alto circa un metro, attorno al quale potevano attorcigliarsi fino alla potatura. Oggi il trend è diverso, dall’alto verso il basso, un’inversione assurda della natura della pianta.

Mentre l’alba lascia il posto al caldo umido e bruciante del mattino, le piante si nutrono. Sode. C’è pure una strelitzia alta almeno 15 metri che svetta con una simmetria perfetta, che pare la ruota di un pavone verdissima, sorretta da un tronco che avrà tre volte la circonferenza della mia coscia. Nulla a che vedere con il povero esemplare che, sempre nell’appartamento e sempre a Milano, svetta per ben un metro oltre l’altezza della poltrona.

In questo caso, il vaso è pieno di ciuffetti, cime di pianta che servono a darle un’estensione su tutti i lati, che cosa c’entri con la sua natura a ventaglio, ora, non saprei dirlo. So solo che l’estetica delle piante domesticate si piega a circostanze modaiole poco coerenti con le piante stesse.

Dallo Sri Lanka a Milano la vita delle piante segue forme differenti e bisogna scoprire una foresta di fotografie o piante reali per vedere le abissali incongruenze. Devianze d’esistenza che non hanno nulla a che vedere con il caso e tutto con il desiderio di controllare e possedere un pezzetto di natura, ancora meglio se simile a quell’indomabile entità che è la vegetazione selvaggia di giungle e foreste pluviali.

Oggetti puramente decorativi, pezzi d’arredamento che vengono da altrove, da scegliere con cura perché stiano bene nell’ordine della casa.

Queste piante, però, oltre a vivere una vita a metà raccontano una storia. Sono eredi delle prime importate dai Paesi invasi e conquistati tra il 1500 e il 1600, poi adattate, invasate, intrecciate e con il passare del tempo, genericamente incrociate perché fossero adatte alla vita domestica. Le piante sono state estirpate fino alle radici e caricate per compiere lunghi viaggi, affinché potessero portare nei giardini e nei vasi dell’Europa un’impronta di quello che veniva vissuto lontano. Esotismo allo stato puro.

Foglie come fossero gioielli. Souvenir, ma non troppo. Non tanto ricordo, quanto più conquista. La presa di una natura vasta, che si estende a perdita d’occhio, racchiusa in vasi e portata là dove di queste piante non si aveva contezza. Una storia riscritta visto che, salvo gli appassionati di botanica, delle loro reali forme sappiamo ben poco. Conosciamo l’uso che ne era fatto ai tempi delle prime colonizzazioni e lo rinverdiamo con ogni moda vegetale che ci modella casa.

Ora sono allevate e adattate, nascono in vaso. Non avranno la minima sensazione di un terriccio umido e brulicante, appiattito dalla pressione delle zampe di piccoli mammiferi, bucato da chi vi fa tana, ricoperto di foglie morte pronte a decadere e divenire nuovo nutrimento. Quello che conoscono è un limite radicale fisico, un ritmo specifico di abbeveraggio e i contorni di salotti e balconi. Forse qualche mensola.

Le versioni ridotte da appartamento, trailer di quello che avrebbe potuto essere, vivono in una compartimentalizzazione controllata. Le orchidee, a esempio, in natura crescono sui tronchi di altri alberi. E non di rado accanto alle monstera, tra le piante che negli ultimi anni hanno popolato con frequenza maggiore le case ritrovandosi in vasi coperti da elegantissimi cestini ornamentali. E pure le altre compagne con le foglie a forma di lancia o testa di volpe, stanno tutte separate in vasi minimalisti, quando se potessero, si attrorciglierebbero le une alle altre, radici, fusti e foglie in un groviglio familiare che fa casa. Si abbevererebbero dalla stessa terra intrisa d’acqua o sorseggerebbero quella che cola dalle foglie più alte di piante sorelle che si lasciano gonfiare, come taniche d’acqua, per poi distribuirla a chi sta sotto il baldacchino delle cime.

Mi verrebbe solo voglia di tornare a casa e rompere i vasi, lasciare che le radici si mescolino e che le piante facciano un po’ quel che pare a loro. Certo, con una luce filtrata dalle tende e dallo smog, con l’acqua solo quando è giorno di annaffiatura e se non siamo in regime di risparmio idrico, senza insetti e senza uccelli, senza rettili o mammiferi, a strisciare, zampettare, cogliere, osservare, rompere, afferrare e mordicchiare.

Circondate da muri, cemento e suoni di clacson, che voglia mai possono avere, pure le Potos più audaci, di cercare il sole?

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