Ambiente

L’insospettabile metodo di autodifesa delle piante

Secondo uno studio pubblicato su Annual Review of Entemology, la flora non è solo in grado di produrre sostanze chimiche repellenti per scacciare le specie infestanti ma anche di arruolare i loro più acerrimi nemici
Credit: CHUTTERSNAP
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27 giugno 2023 Aggiornato alle 14:00

Nel corso degli anni, per un naturale meccanismo di difesa, le piante hanno imparato a scacciare insetti ed erbivori producendo sostanze chimiche repellenti. Purtroppo, però, molti animali con il tempo si sono evoluti, affinando le capacità di sopravvivenza e finendo per essere attratti da quei composti che avrebbero invece dovuto scoraggiare i loro attacchi.

Punto e a capo, quindi. Ma non è detto che il destino delle piante sia segnato in una lotta perenne per difendersi e che gli insetti e i mammiferi continueranno a rosicchiare fogli e succhiare linfe per sempre.

Infatti, secondo lo studio Tritrophic Interactions Mediated by HerbivoreInduced Plant Volatiles: Mechanisms, Ecological Relevance, and Application Potential, pubblicato su Annual Review of Entomolgy, le piante sono in grado di produrre sempre nuovi effetti tossici - diretti e indiretti - per distruggere i loro nemici.

Tra i primi ad accorgersi di questi meccanismi di difesa è stato l’ecologo chimico Ted Turlings, co-autore dello studio, che dopo aver terminato gli studi nei Paesi Bassi, ha intrapreso un percorso per un dottorato di ricerca negli Usa che gli ha permesso di lavorare presso le strutture del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti e scoprire un’ampia varietà di “trucchi” che permettono alle piante di allontanare insetti ed erbivori.

Secondo Turlings, le piante possono decidere di difendersi colpendo direttamente il “nemico” oppure arruolando nemici dei nemici.

Se ti senti confusə, per ora è normale. Procediamo per gradi: se erbivori o insetti attaccano una pianta, questa prova a difendersi rilasciando sostanze repellenti, composte generalmente da aldeidi e alcoli C6, per scacciarli e sopravvivere. Queste sostanze, purtroppo, hanno perso efficacia contro molti animali, finendo addirittura per essere una gustosa attrattiva. Le piante, però, hanno imparato ad adattarsi a nuove condizioni di difesa, sferrando inediti attacchi indiretti.

In che modo? Producendo sostanze che, a contatto con mucose di specifiche specie, sono in grado di produrre segnali olfattivi per attirare i nemici degli erbivori o degli insetti che la stanno attaccando. Questi, a loro volta, a seconda del segnale lanciato dalla pianta e prodotto dall’interazione con il tipo di insetto, intervengono e divorano i mangiatori di foglie, rilasciano batteri mortali o semplicemente depositano le loro uova e lasciano che siano le larve a completare il lavoro.

Tutte le tecniche di difesa scoperte da Turlings derivano da anni di studi presso l’Università della Florida, dove il suo supervisore dell’epoca gli affidò un’ analisi del comportamento delle vespe che attaccano i bruchi delle piante di mais, per scoprire in che modo riescano a trovarli e attaccarli.

Inizialmente, l’ecologo riteneva che le vespe fossero attratte da segnali olfattivi e visivi emessi proprio dai bruchi, salvo scoprire – dopo lunghe osservazioni e attente ricerche - che i segnali attrattivi venivano emessi proprio dalle piante che cercavano di difendersi dall’attacco dei bruchi rilasciando sostanze repellenti.

Per essere ancora più chiari: i bruchi attaccavano le piante, queste producevano sostanze repellenti che servivano per allontanarli e, involontariamente, attiravano le vespe, nemiche dei bruchi e inconsapevoli “alleate” delle piante.

Si tratta di un meccanismo di difesa indiretto efficace e in grado di funzionare non solo in superficie, ma anche sottoterra: continuando le sue analisi sulle piante di mais, infatti, Turlings si è accorto che, quando vengono attaccate, le radici producono un composto chiamato cariofillene che attrae una serie di minuscoli vermi, i nematodi. Questi, attratti dal cariofillene scavano per trovare le larve di coleottero che stanno attaccando la pianta e vi penetrano, rilasciando batteri in grado di produrre tossine che uccidono immediatamente gli insetti.

Grazie a grandi capacità come quelle dei nematodi, ora l’obiettivo dei ricercatori è quello di produrre dei “pesticidi naturali” sotto forma di gel da iniettare nella pianta o da applicare sulla sua superficie: i primi test, condotti in Ruanda, hanno dimostrato che questo metodo è efficace tanto quanto l’uso di pesticidi chimici, ma molto meno dannoso perché a base naturale, oltre che molto più affidabile a lungo termine.

Infatti, è quasi impossibile che i parassiti riescano a diventare resistenti ai nematodi come fanno con i pesticidi: ci sono così tante varietà di nematodi al mondo che probabilmente ci sarà sempre una specie con una mutazione genetica tale da riuscire a superare la resistenza delle specie infestanti.

Grazie agli studi sui meccanismi di difesa delle piante contro insetti ed erbivori, dunque, si è aperto un nuovo mondo per la scienza e la ricerca, che ora guarda al futuro e descrive robot in grado di rilevare, grazie ai sensori di odori e sostanze repellenti, attacchi alle piante e di irrorare i nematodi adatti per sconfiggere l’infestazione, e una realtà libera da pesticidi chimici che rappresentano una minaccia non solo per le piante, ma anche per la salute umana.

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