Ambiente

Il Puppy Yoga in Italia è diventato illegale

Lo ha deciso il Ministero della Salute, a seguito delle denunce della Lega Nazionale del Cane e di altre associazioni. E mentre anche un’inchiesta inglese lancia l’allarme sui suoi pericoli, l’esperta Dunia Rahwan ha raccontato a La Svolta i lati oscuri di questa pratica
Credit: Karsten Winegeart 
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4 maggio 2024 Aggiornato alle 15:00

In Italia non si può più praticare Puppy yoga. Lo ha deciso in una nota il Ministero della Salute.

Esultano gli animalisti e gli amanti dello yoga, che da tempo sostengono che questa pratica non c’entri niente con il benessere dei cuccioli ma sia solo un momento da condividere sui social.

La nota parla chiaro: “Configurandosi come intervento dalle finalità ludico-ricreative e di socializzazione volte al miglioramento della qualità di vita e al benessere della persona, e rientrando quindi nell’ambito delle Attività Assistite con Animali, […] la detta pratica prevede che gli animali coinvolti siano soggetti adulti, condizione necessaria per tutelare la loro salute e il loro benessere”.

Al contrario, qualsiasi attività che coinvolge cuccioli, o animali troppo giovani, sarà da considerarsi illegale.

Finisce così la rapida quanto tumultuosa parabola del Puppy yoga in Italia, la pratica arrivata dagli Stati Uniti e rapidamente diffusasi anche in Europa che permette di praticare yoga in un luogo dove vengono liberati dei cuccioli di cane.

Le autorità hanno precisato che la disciplina è da ritenersi un’attività lesiva “per la salute e il benessere degli animali oltre che per la sicurezza dell’utenza” e, per questo motivo, essa deve essere vietata su tutto il territorio delle Regioni.

La decisione del Ministero è arrivata in seguito alla denuncia che la Lega Nazionale del Cane aveva depositato, pochi giorni fa, davanti al Tribunale di Milano, attraverso la quale si chiedeva alla giustizia milanese di fare chiarezza, in tempi brevi, su questo fenomeno. Nato negli Usa nei primi anni 2000 da un’idea dell’attrice Suzi Teitelmann, il Puppy yoga (o “Dog Yoga”/”Doga”, come in origine era chiamato) arriva in Europa nel 2004, lanciato dal celebre pet shop londinese ‘Pet Pavillion’. Da quel momento comincia a diffondersi anche in altri Paesi, raggiungendo il suo picco di popolarità in Francia. Ed è in Francia che, all’indomani delle chiusure degli anni della pandemia il Puppy yoga riprende a guadagnare consensi con ritrovato vigore, trovando terreno particolarmente fertile tra giovani e giovanissimi - e arrivando a diventare una vera e propria moda per la Gen Z.

Definito da più parti come “il fitness trend da non perdere per il 2024”, secondo quanto riportato da molti siti di centri aperti recentemente in diverse città italiane, sarebbe ideale per “ridurre l’ansia favorendo la produzione di endorfine”, nonché in grado di unire “i benefici dello yoga all’amore per i cani e al ritrovato legame tra uomo e natura”.

Ma le cose, evidentemente, non stanno così e a metterlo in dubbio era già stata un’inchiesta inglese volta a svelare il lato oscuro di questa tendenza così instagrammabile. La pratica del Puppy yoga presenterebbe infatti una serie di criticità severe in termini di etica animale e, invece di apportare i promessi “numerosi benefici fisici e mentali per praticanti e cuccioli”, andrebbe piuttosto a compromettere seriamente il benessere degli animali comportando, in alcuni casi, anche diversi rischi per la salute umana.

Questo perché, come riporta l’inchiesta, nella maggior parte delle lezioni sono coinvolti soprattutto animali di pochissime settimane di vita provenienti da allevamenti che sostanzialmente sfruttano i cuccioli come “vetrina” del proprio business, mirando quindi più che al benessere canino, alla ricerca di nuovi potenziali clienti a cui vendere gli animali allevati.

Così, con la scusa di “aiutare i cuccioli a trovare una nuova casa” - come si legge su alcuni dei principali siti di centri di Puppy yoga italiani - gli allevatori sottoporrebbero i cuccioli a sessioni di lavoro dai ritmi incessanti, lunghi viaggi in macchina per raggiungere i centri di volta in volta preposti, e attese di ore in spazi angusti e sporchi. Tutto ciò, in totale assenza di protocolli normativi, e in mancanza di qualsiasi controllo di tipo igienico o sanitario - con i conseguenti rischi per la salute dei praticanti, nonché in palese violazione dei diritti degli animali, secondo quanto sostenuto dagli esperti cinofili della Royal Society for the Prevention of Cruelty e del Kennel Club, dell’Animal Welfare Act.

E in Italia, qual è la situazione? Ne ha parlato a La Svolta Dunia Rahwan, educatrice cinofila e giornalista laureata in scienze biologiche che da anni si occupa di divulgazione scientifica, e che per prima ha portato l’attenzione su questo fenomeno. «Stiamo parlando di un business facile, veloce, ed estremamente agile dal punto di vista della gestione, e chi se ne occupa lo sa. Non si creda infatti che il Puppy yoga sia stato portato in Italia dal lavoro di alcuni isolati ‘benefattori amanti degli animali’ come talvolta si legge online. Al contrario, si trattava e si tratta di un business ben strutturato e pensato appositamente per creare profitti».

Con conseguenze che, in Italia come nel Regno Unito, per i piccoli animali arrivano a essere pesantissime e che possono essere rischiose anche per le persone. «A volte capitava che i cuccioli, esausti per i ritmi del Puppy yoga (ricordiamoci che si parla di animali anche di soli 45 giorni, costretti a 4/6 sessioni di lavoro da un’ora circa l’una), svenissero dal sonno sui tappetini delle stanze in cui viene praticata l’attività, o si addormentino stremati dalla mancanza di riposo. Tra una sessione e l’altra, infatti, in genere vengono rinchiusi in dei trasportini o kennel e stipati in stanze piuttosto piccole. Ricordiamoci che alle classi partecipano fino a 25/30 persone - e ognuna di queste è lì, e ha pagato per, praticare yoga accarezzando cuccioli. Questo vuol dire che, a fine giornata, ognuno può venire strapazzato da un totale di 180 persone. Centottanta umani sconosciuti che vogliono interagire con te. Sono tanti, decisamente troppi, per un cane di quarantacinque giorni».

È importante ricordare che, oltre che per i cani, il Puppy yoga è rischioso anche per gli umani. Molto spesso, infatti, i cuccioli che vengono utilizzati sono troppo piccoli per aver completato la profilassi vaccinale ed eseguito la sverminazione. Di conseguenza, spesso, hanno la giardia (comunissima tra i cuccioli di cane), o parassiti intestinali che, è molto probabile passino ai praticanti, dal momento che capita che i cuccioli defechino sui tappetini dello studio, puliti poi solo con acqua o un pezzo di carta.

E tutto ciò, evidentemente, per meri fini economici. «Si stima che, per ogni cucciolo messo a disposizione, il guadagno sia di circa 10 euro l’ora. Quindi, a conti fatti, per un week-end di attività un allevatore può arrivare a guadagnare fino a 1.800 euro - che si sommano ai proventi delle vendite, reali e potenziali. Sono tanti soldi, se si pensa alla facilità con cui sono ottenuti. Poco importa, poi, se chi ci rimette è il cane».

Grazie al lavoro di Rahwan e delle associazioni animaliste si è arrivati fortunatamente alla nota del Ministero della Salute che vieta il Puppy yoga su tutto il territorio nazionale.

Pratica che, tuttavia, presumibilmente continueremo a vedere impazzare sui social dai profili degli utenti residenti in Paesi che, a oggi, non hanno ancora adeguato la propria normativa: come ricorda Rahwan, infatti, «fondamentalmente il Puppy yoga è un momento di puro egocentrismo da condividere sui social. Anche dando un’occhiata ai siti che lo promuovono, infatti, si capisce subito qual è il motivo del suo successo, e che del benessere animale, a chi lo organizza e a chi lo pratica tutto sommato importa poco. Si tratta di una pratica nata, esclusivamente, per essere ‘postata’ sul web. Per dare a star dei social, e aspiranti tali, la possibilità di condividere un video di yoga con graziosi cagnolini e accaparrarsi una manciata di likes. E il benessere dei cuccioli, evidentemente, non è pervenuto».

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