Diritti

Cercare l’amore su LinkedIn

Il social network dedicato al lavoro sta vivendo un momento di grande fortuna ma a fronte di tanti censori che poco tollerano contenuti non inerenti al business, c’è chi tra i professionisti iscritti cerca l’anima gemella. E anche chi manda messaggi inappropriati
Credit: Igor Omilaev
Tempo di lettura 4 min lettura
4 maggio 2024 Aggiornato alle 06:30

Domani è il 5 maggio. Data indimenticabile, per le generazioni che ancora imparavano le poesie a memoria e indissolubilmente legata alla morte di Napoleone, o per gli amanti dello sport e più precisamente del grandissimo Gino Bartali. Ma il 5 è anche la data di nascita di Carl Marx, Søren Kierkegaard e di LinkedIn.

Mi chiedo, oggi cosa penserebbe Marx del fatto che se dico “socialismo scientifico” più di qualcuno lo assocerebbe alle tecniche per far crescere i propri follower o forse all’uso che fa Chiara Ferragni delle sue pagine social?

Invece probabilmente, Kierkegaard buonanima, oggi grazie a Instagram spiegherebbe decisamente meglio di come ha fatto nel libro Aut-Aut cosa intendeva per vita estetica e come l’uomo cerchi di fare della propria vita un “apparente” capolavoro in cui non esista la monotonia ma solo emozioni straordinarie.

Domani LinkedIn compirà 21 anni, ma sembra ieri che le esperienze del nostro curriculum vitae et studiorum, virtualizzandosi, si trasformavano nella nostra, nuova, identità professionale digitale.

Inizialmente è stato il social un po’ sfigato e secchione della banda. Lontano dalla diffusione e dalla penetrazione di Twitter, Facebook, Instagram o TikTok; ma sta vivendo oggi una seconda giovinezza.

LinkedIn ha una logica tutta sua, chi lo utilizza lo sa. È un social “professionale” dove in teoria bisognerebbe parlare solo di lavoro. Lo sa bene chi ha, per caso o per scelta, pubblicato qualcosa di poco attinente con il lavoro e si è visto subito richiamare da qualche zelante follower che gli ha scritto nei commenti: “Linkedin non è Facebook”, seguito dopo da qualche altro commento dal tono catastrofista: “State rovinando LinkedIn” oppure “Qui si parla di lavoro, se volete parlare d’altro c’è Facebook”.

Trovo molto interessante questo comportamento. Una ricetta culinaria non è da LinkedIn. Come crescono i tuoi figli neppure. Come la pensi su un tema di attualità? Neanche a parlarne.

Su LinkedIn bisognerebbe parlare solo di lavoro in senso stretto. Neanche le chiacchiere che si fanno alla macchinetta del bar sono accette. Se a lavoro valessero le stesse regole per le conversazioni che valgono per LinkedIn sarebbe un inferno decisamente noioso.

Nonostante questa feroce censura stakanovista, LinkedIn continua a crescere, secondo me - essenzialmente - per il fatto di essere un porto franco rispetto all’odio dei social. È difficile scrivere offese e ingiurie su un social se devi identificarti con il tuo vero nome e c’è la tua azienda che ti può leggere facilmente. La forza di LinkedIn è che non ci sono gli account come “Vandalo69”. L’offesa anonima e a viso coperto è di fatto bandita da LinkedIn.

Eppure. Qualche mese fa, ho fatto uno studio su LinkedIn, somministrando a circa 1.000 utenti un questionario che indagava le motivazioni che ci spingono a usarlo.

Non voglio annoiarvi con complesse analisi statistiche ma solo sulle risposte a una domanda, tra le oltre cinquanta, che avevo inserito nel questionario: Usi LinkedIn per trovare relazioni sentimentali?

Su 1076 risposte, 902 hanno risposto “per nulla” e 32 poco, ma ben 137 persone (pari al 12,7% del campione) ha scelto una risposta tra abbastanza (64), molto (49) o del tutto (24).

Quando ho visto questi dati sono rimasto sorpreso. “Che LinkedIn stia diventando una sorta di Tinder?” mi sono chiesto immediatamente e proprio in quei giorni, un’altra ricerca, anche questa volta fatta su 1.000 persone e ripresa dal Corriere della Sera, evidenziava che il 91% del campione riferiva di aver ricevuto avances o messaggi inappropriati su Linkedin.

Essendo il mio campione composto da ambo i generi, ho immediatamente analizzato il dato scomponendolo tra maschi e femmine e scoprendo che quelle 137 persone sono per 2/3 uomini e per 1/3 donne. Non c’è proprio parità ma almeno non è unidirezionale.

Chissà se i censori di LinkedIn, quelli che ti scrivono “Qui non è Facebook”, scriverebbero immediatamente a queste persone “Qui non è Tinder”, ma comunque resta un dato interessante.

Mentre in altri Paesi, soprattutto quelli anglosassoni, si sta facendo un grande sforzo per definire quali siano i comportamenti appropriati e quali invece una vera e propria molestia, in Italia siamo molto indietro. I confini sono ancora troppo sfumati e manca una vera e propria educazione per tutte e tutti su questi temi. Le nuove sensibilità della nostra epoca lo richiedono e forse è giunto il momento di impegnarci, tutte e tutti, su questo aspetto.

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