Diritti

Dieci riflessioni sul caso Balocco-Ferragni

Una sanzione da oltre un milione di euro per due società riconducibili alla influencer e più di 400.000 euro per i produttori del pandoro colpevoli di pubblicità ingannevole. Molte cose sarebbero da dire. Partiamo da dieci
Credit: ANSA/ETTORE FERRARI  

Il caso è scoppiato all’improvviso, con la sanzione dell’Autorità garante della concorrenza di oltre un milione di euro a Chiara Ferragni e oltre 400.000 euro all’azienda Balocco. Colpevoli di pubblicità ingannevole, per aver indotto i consumatori a pensare che il sovrapprezzo del Pandoro rappresentasse una donazione per i bambini malati dell’Ospedale Regina Margherita di Torino.

Quando invece Balocco aveva donato già un macchinario per 50.000 euro, mentre la Ferragni non aveva donato nulla, anzi guadagnato un cachet da un milione di euro dall’azienda. Tutto ciò anche se sul cartellino il suo nome era scritto esplicitamente, prima persino di quello di Balocco (“Chiara Ferragni e Balocco sostengono l’ospedale” etc).

La vicenda ha scatenato l’indignazione generale, con un diluvio di critiche sotto i post di Ferragni e del marito Fedez, nonostante la chiusura dei commenti, tutti di tono identico: Ferragni ha lucrato sui bambini malati, lei prendeva un milione mentre Balocco versava 50.000 euro, e poi ironia amara di ogni tipo, “pensati multata”, “pensati ladra” e coì via.

Su quanto accaduto sono tantissime le cose che si potrebbero dire, le sintetizzo in dieci punti:

Non esiste una Ferragni “prima” e “dopo” il caso Pandoro

Chi si scandalizza ora, anche giustamente per carità, aveva buoni motivi per farlo anche prima.

Non solo perché una simile operazione – ci cui però i contorni non sono ancora chiari - era stata portata avanti da Ferragni anche per le Uova di Pasqua (bastava guardare l’etichetta, estremamente ambigua, Ferragni “sostiene i Bambini delle Fate”, senza specificare quanto e cosa, quando l’ho letta in un negozio ho provato disagio perché la non trasparenza era evidente).

Da notare che il post Instagram in cui Ferragni pubblicizza le uova, con tanto di incomprensibile “adv” alla fine, non si trova più in rete. Ma anche il marito Fedez aveva portato avanti un’operazione commerciale sulle uova di Pasqua lo scorso marzo, contestata sempre dalla giornalista Selvaggia Lucarelli.

Il modo in cui il musicista ha risposto alla giornalista, le sue spiegazioni successive all’accusa sono così confuse da far intuire che, anche in quel caso, non si tratta di beneficienza fatta per bene, cioè chiarissima. Come dovrebbe essere quella che ha come obiettivo massimo che ogni singolo consumatore, persino il meno colto, capisca esattamente quanti soldi vengono donati e a chi quando acquista un prodotto verosimilmente di prezzo maggiorato.

Ferragni e Fedez e la questione beneficenza

Ma non c’era da stupirsi molto del caso Balocco, di cui l’unica vera novità è che finalmente l’Antitrust è intervenuta duramente contro operazioni opache che si moltiplicano fra gli influencer.

Purtroppo Ferragni e Fedez sul tema della beneficenza hanno spesso dato il peggio di sé.

Come quando furono attaccati per lo spreco folle di cose da mangiare e lui suggerì, senza sapere di essere ripreso, di dire che sarebbero andate in beneficenza.

Come quando lo stesso Fedez si era messo a girare per Milano regalando soldi a quelli che lui riteneva essere poveri. Oppure altre operazioni in cui il rapper e la moglie hanno dato una cifra iniziale, per poi lanciare una raccolta fondi per la creazione di un reparto Covid del San Raffaele per il quale erano stati insigniti addirittura dell’Ambrogino d’oro.

In questo caso l’ambiguità era soprattutto mediatica, sembrava che i quasi cinque milioni fossero stati donati da loro, visto anche il premio, in realtà, la donazione dei due era di 100.000 euro su quasi cinque milioni, in pratica un cinquantesimo (anche se, ripeto, la cosa non era nascosta).

Persino la donazione del cachet di Sanremo della Ferragni ai centri antiviolenza aveva un sapore amaro. Così plateale, così manifesto, di nuovo per lei è ben poco rispetto all’immenso ritorno mediatico, e dunque economico, del festival.

Probabilmente, una decisione a tavolino, come una scelta non casuale è stata quella dei centri antiviolenza, visto il ruolo “femminista” artificiosamente, a mio avviso, incarnato dalla Ferragni al festival.

Se donare fa parte (essenziale) del marketing

Ma non c’è da stupirsi di quanto accaduto perché il modello “culturale”, per così dire, che i due esprimono ogni giorno è, questo sì, limpidissimo.

Monetizzare la loro stessa vita per fare più vendere prodotti, fare accordi commerciali, e poi ottenere magari ruoli, come la conduzione del festival, che portano ulteriori accordi commerciali, intere serie tv sulla loro vita, conduzioni di reality, e quindi nuove vendite, sponsorizzazioni dei propri prodotti griffati, spesso neanche di qualità, come quelli di Chiara Ferragni.

Un circolo “virtuoso”, per loro, all’interno del quale la beneficienza gioca un ruolo cruciale. Ma la beneficenza non è quella del senso classico del termine. La beneficenza fa parte del marketing, è intrisa di marketing, è un misto di dono e guadagno (in questo caso solo guadagno), che rende moltissimo in termini di visibilità e di arricchimento dell’immagine. E forse proprio per questo, perché in definitiva non si può definire neanche tale, essendo parte della strategia commerciale, che andrebbe fatta bene. Che andava fatta bene, pena il rischio, che ora corre Ferragni, che saltino collaborazioni con aziende e altri tipi di incarichi.

Lo sanno bene tutti gli influencer i quali, ormai quasi tutti, utilizzano la beneficenza in questo modo. Ma forse in maniera più astuta, direi (o meno sciatta?).

La ricchezza esibita. Senza limiti

Poche ore prima che si scatenasse il pandemonio sul pandoro, Fedez aveva ironizzato sul fatto che no, lui il Natale non lo passava a casa (oltre ad attaccare con una certa violenza chi aveva attaccato i suoi figli sul web).

Avendo sposato la Ferragni, aveva almeno, dice, 5000 chalet prenotati. Ciò che colpisce nei post di Fedez è la mancanza di limite, di contenimento, quell’eleganza sobria dei ricchissimi di un tempo.

Qui invece più si è ricchi e più lo si dice, si fanno fare tour virtuali nella propria casa in costruzione, si mostrano foto di vacanze in luoghi assurdi, all’interno del jet privato che, peraltro, come riportato dall’account Jet dei Ricchi, i due avevano detto che non avrebbero più preso per non inquinare.

Tutto è mercificato, insomma, anche l’immercificabile, che dovrebbero essere i bambini, anzitutto, e la beneficienza per i bambini, in secondo luogo.

Se il problema è la stampa italiana

Scandalizzarsi, gridare all’osceno, dire che tutto questo è sbagliato, non solo, che rappresenta un modello tremendo per i nostri figli?

Sì può fare, ma il problema è un altro. E qui entrano in gioco altri attori, oltre i due, oltre gli influencer. La stampa italiana, anzitutto.

In tutti questi anni di osservazione della coppia, ciò che in verità mi ha lasciato sempre sgomenta non è la loro infinita ricerca di guadagno, quei soldi che sembrano loro non bastare mai, ma il fatto che praticamente non ci fosse quasi nessun giornalista a smascherare questo modello devastante di commercializzazione dell’intera esistenza, e della stessa beneficenza.

L’unica è stata, appunto, Selvaggia Lucarelli, che si è scontrata con i due più volte. Ma tutto intorno è stato unicamente un coro unanime a favore dei due, nonostante i loro comportamenti talvolta beceri, pacchiani, certe volte scarsamente morali (almeno dal mio punto di vista).

Niente. Non una riga critica, non una, quelle poche cose che uscivano venivano sistematicamente attaccate dal rapper, che – soffrendo di un narcisismo incontenibile, in senso descrittivo, non è una diagnosi – non sopporta nessun tipo di critica. E d’altronde se nessuno li critica è ovvio che anche piccole critiche risulteranno fuori tono, all’interno di un coro di lodi.

Il conformismo di certe aziende

Il secondo punto debole: le aziende, almeno alcune.

Anche loro prone al modello Ferragni, anche loro talmente succubi da litigarsi l’influencer e spesso doversela dividere, con risultati non chiari.

Chiari invece nel caso Balocco, dove l’azienda era talmente preoccupata dalla possibilità di pubblicità ingannevole da averlo scritto nero su bianco in mail interne, che contestavano anche il cachet assurdo di Ferragni (per essere pure messi al secondo posto, ndr).

Il mondo delle aziende italiano sembra soffrire di un provincialismo grave. Così invece di scegliere testimonial anticonformiste, particolari, con valori forti realmente incarnati nelle loro esistenze, si litiga influencer la cui presenza è talmente inflazionata da risultare insopportabile.

Si dirà: proprio perché ultraconosciuta porta vendite. E però il 20% dei pandori ironicamente (e mi pare, falsamente, a questo punto) “limited edition” sono finiti al macero. C’è da fare una riflessione: le aziende conoscono davvero il loro target o si fanno confondere dagli influencer stessi e da quei milioni di follower che non è chiaro quanto siano disposti a comprare (né quanto siano reali, ndr)?

I valori come (inconsapevole) merce

Dicevo degli influencer con valori incarnati nella propria vita. Perché l’altro aspetto che influencer come Ferragni e Fedez hanno reso moneta commerciale sono proprio i valori. La violenza sulle donne, i diritti LGBT etc. Nessuno nega che loro ci credano, ma il modo in cui li utilizzano è sempre funzionale a che la loro immagine migliori, affinché possano vendere e vendersi ancora meglio. Non dico che lo facciano per forza consapevolmente, no. Ma questo è l’effetto. Non sono gli unici. Ormai questo è il modello diffuso e d’altronde, appunto, se vendi te stesso, anche i valori che fanno parte di te stesso fanno parte del pacchetto.

Le istituzioni succubi

In tutto ciò, ripeto, paradossalmente i due non hanno colpa, o meglio non ce l’hanno solo loro (poi bisognerebbe sapere se lei fosse a conoscenza dell’operazione commerciale così spudorata, oppure se ne occupava solo il marketing, vogliamo sperare per lei che lo sapesse).

Se l’intera società, aziende, stampa, istituzioni, persino istituzioni culturali come i musei ti celebra, perché non dovresti continuare a fare ciò che fai? A vendere la tua esistenza, ciò che indossi, ciò che pensi, a fare beneficienza così se nessuno dice che il re è nudo?

Hater? Forse solo persone consapevoli

In realtà, qualcuno lo dice, ma se ne parla troppo poco.

Sono i cosiddetti hater, che poi non sono tali. Basta andare sotto qualsiasi post della Ferragni questi giorni, ma anche in passato, per capire che la maggior parte delle persone che commentano sono profondamente critiche verso questo modello. Non lo vogliono, non lo vogliono per i propri figli, chiedono un mondo migliore, smascherano i comportamenti impropri, o ritenuti tali, con sarcasmo, ironia.

In quei commenti c’è molta verità, eppure vengono derubricati come odiatori, eppure nessuno li considera. Ma è la gente normale. Che forse pensa diversamente dai ricchi che tra loro si adulano. Diversamente dalla stampa affascinata dai ricchi e dalle istituzione prone ai ricchi.

Alla sbarra? Dovrebbe andarci un sistema

In conclusione, dunque, più che scandalizzarsi di questo singolo episodio, pure molto grave e molto brutto, se dovessimo mettere qualcuno alla sbarra non sarebbero i due influencer, ma l’intero sistema che li tiene in vita. Fatto, appunto, di stampa, aziende, istituzioni.

È come se nessuno potesse criticare davvero chi è ricco, perché la ricchezza ha un valore morale assoluto nella nostra società, esattamente il contrario del passato. E allora si passa sopra anche i valori e i comportamenti sbagliati, pur di sentirsi tutti all’interno della stessa cerchia di ricchi che adulano altri ricchi, per il terrore di venirne espulsi.

Ma chi è fuori dal cerchio magico, per così dire, è molto più lucido. Non ha nulla da perdere. Forse per quello capisce l’inganno. Forse per quello ancora si indigna.

Sono quelle persone, magari, che andando in un supermercato di provincia a cercare l’uovo di pasqua o il pandoro per la figlia hanno visto quello della Ferragni e detto: “Ma perché costa così tanto? E che vuol dire sostegno all’ospedale? Quanto davvero viene dato di quello che compro? Perché devo spendere di più per un pandoro come un altro se non è chiaro perché? Per arricchire lei? Anche no, grazie. La donazione la faccio in altro modo. Come? Donando”.

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