Economia

Italia: il 25% dei Millennials non avrà figli

In Italia l’inverno demografico non accenna a fermarsi e gli ultimi dati Istat stimano che una donna su quattro nata negli anni ‘80 non diventerà mamma
Credit: Anastasia Bekker  

Tempo di lettura 5 min lettura
3 maggio 2024 Aggiornato alle 16:00

Da ormai molto tempo l’Italia è raggelata da un inverno demografico decisamente persistente. Negli ultimi indicatori demografici relativi al 2023 pubblicati dall’Istituto Nazionale di Statistica, la natalità in perenne discesa fa il paio con i ridotti livelli di mortalità, tanto che si riscontrano mediamente 6 neonati e 11 decessi ogni mille abitanti.

Relativamente al calo demografico, il numero medio di figli per donna continua a ridursi di anno in anno, passando dal già basso 1,24 del 2022 a 1,20 del 2023. Fino a raggiungere i minimi nazionali fra le province sarde, molte delle quali registrano livelli di fecondità inferiori a un figlio per donna. Ne sono un chiaro esempio Cagliari (0,86) Oristano (0,93) Sassari (0,95) e Nuoro (0,99).

Un crollo delle nascite così significativo contribuisce a fotografare uno scenario nazionale piuttosto preoccupante. Lo si percepisce immediatamente dai dati provvisori riguardo i nati residenti in Italia, in tutto 379.000, ossia ben 14.000 nascite in meno rispetto all’anno precedente.

Attualmente, secondo l’Istat, il 45,4% delle donne di età compresa tra 18 e 49 anni è senza figli. Tra queste, il 17,4% delle intervistate afferma che non intende averne in quanto non rientrano fra le proprie intenzioni di vita.

Analizzando tale fenomeno lungo i vari decenni, è possibile ricostruire un percorso in cui l’andamento delle nascite si intreccia con lo scenario storico di riferimento. Dall’archivio di fecondità elaborato dall’Istat, infatti, si può notare come il tasso di fecondità sia stato particolarmente alto tra gli anni 50’ e ’60 del secolo scorso. Periodo conosciuto - non a caso- per il baby boom, ossia un’impennata delle nascite dovuto al miglioramento delle condizioni economiche del “miracolo italiano”, con una crescita economica che ha rapidamente stimolato la formazione di nuove famiglie. Circa il 90% delle donne arriva ad avere almeno un figlio, con un tasso di fecondità totale attorno a 2,44 per quasi venti anni.

La situazione poi si complica a partire dalla metà degli anni ’70, in cui il numero di nascite comincia a scendere fino ad arrivare per la prima volta sotto l’1,5 a partire nel 1984. Da lì in poi, il tasso medio continuerà costantemente a ridursi, raddoppiando la quota di donne senza figli (arrivata al 22% nel 1973) e contestualmente aumentando l’età media femminile di ingresso nel mondo della maternità (quasi 30 anni).

Tanto che risulta già possibile prevedere che una donna su quattro appartenente alla categoria delle millennial (nate tra il 1980 e il 1994), arriverà alla fine della propria vita riproduttiva senza alcun figlio. Complessivamente, dunque, la quota di donne intorno ai 40-50 anni childless potrebbe salire fino al 25%, 3 punti percentuali in più rispetto all’epoca in cui sono nate. Un livello simile di denatalità contribuisce a un circolo vizioso per cui, se negli anni precedenti sono stati messi al mondo meno figli, ci sarà una riduzione delle generazioni che entrano nell’età fertile. Tale ragione strutturale è accompagnata da una sempre più bassa propensione a fare figli, originata da un sistema di welfare e assistenza alla natalità insufficienti, oltre che dall’incertezza economica di un mondo del lavoro tristemente precario, specialmente per i giovani.

Se guardiamo al resto dei paesi europei, la situazione è ben diversa. Si registrano tassi di denatalità decisamente più tiepidi rispetto ai dati italiani, anche grazie a politiche sociali e incentivi posti a sostegno delle nuove famiglie. È il caso della Germania, dove il tasso di fertilità totale è pari a 1.58 (più alto della media europea, di 1.53) e la quota di donne senza figli passa dal 23% all’11% in base al livello di istruzione raggiunto. Merito dell’ingente quantità di fondi- circa il 3% del Pil- che il governo federale destina nei servizi per l’infanzia e che permette, a esempio, di usufruire di asili nido gratis. Analogamente, gli sgravi fiscali messi a punto in Francia per regolarizzare i rapporti contrattuali con colf e babysitter (il Cheque Emploi Service Universel) o i contributi fino a 500 euro erogati per ogni figlio a carico e sotto i vent’anni (l’Allocation Familiaire) hanno permesso al livello di donne senza figli di salire di appena 4 punti percentuali in oltre 40 anni, arrivando al 15% per le millennial.

La preoccupazione legata ai dati italiani si riflette in molteplici fronti, specialmente quello economico. Basti pensare alla riduzione di forza lavoro dovuta al minore numero di giovani nel mercato del lavoro, con gravi implicazioni nella già forte carenza di manodopera specializzata, e di possibili conseguenze negative in termini di crescita economica nazionale. Meno lavoratori significa meno contribuenti da cui il fisco italiano può prelevare le risorse per finanziare i servizi e pagare le pensioni, con un notevole appesantimento delle spese sociali a danno delle casse pubbliche. L’aumento costante dell’aspettativa di vita, cresciuta di 6 mesi in più rispetto al 2022 (83,1 anni) si traduce poi in una maggiore pressione sui sistemi sanitari e previdenziali. Un sovraccarico provocato soprattutto dalla scarsa disponibilità di giovani in età lavorativa e che potrebbe avere come conseguenza un aumento delle imposte, per recuperare le risorse necessarie.

Leggi anche