Diritti

Australia: sì al referendum per i diritti degli aborigeni

Il Senato ha approvato la legge che apre la strada a una storica consultazione, per introdurre nella Costituzione la Voice to Parliament: un comitato consultivo relativo alle questioni legate alle Prime Nazioni
Credit: EPA
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
19 giugno 2023 Aggiornato alle 19:00

Con 52 voti a favore e 19 contrari, il Senato australiano ha approvato la legge che apre la strada a uno storico referendum riguardo i diritti degli aborigeni.

Non c’è ancora una data, ma la consultazione dovrebbe tenersi entro l’anno. Gli elettori saranno chiamati a decidere se modificare la Costituzione per includere una Voice to Parliament, un comitato che può consigliare relativamente a questioni che interessano gli aborigeni e le isole dello Stretto di Torres in Australia.

Se il referendum dovesse passare, per la prima volta gli indigeni australiani, che abitano queste terre da oltre 60.000 anni e sono stati uccisi a migliaia quando gli inglesi arrivarono in Australia e presero il controllo della terra secondo il concetto di terra nullius, “che non appartiene a nessuno”, incorporato nella legge australiana e cancellato solo nel 1992, sarebbero riconosciuti nella Costituzione.

Ma non si tratterebbe solo di un riconoscimento simbolico: aborigeni e isolani dello Stretto di Torres vedrebbero riconosciuto anche il diritto (costituzionalmente sancito) di essere consultati dal Governo per le leggi che riguardano le loro comunità, ponendo fine alla secolare esclusione di queste popolazioni dai processi parlamentari.

«I parlamenti approvano le leggi ma sono le persone che fanno la storia - ha detto il primo ministro Anthony Albanese in una conferenza stampa dopo l’approvazione del disegno di legge - Questo è il vostro momento, la vostra possibilità, la vostra opportunità di far parte della storia».

A gettare le basi per la Voice è stata l’ex prima ministra Julia Gillard, che nel 2010 ha istituito un gruppo di esperti per promuovere il riconoscimento degli indigeni australiani nella Costituzione del Paese. Nel 2017 oltre 250 delegati aborigeni e isolani dello Stretto di Torres si sono riuniti a Mutitjulu, all’ombra di Uluru, e hanno firmato la Uluru Statement of the Heart.

Una dichiarazione storica, che non solo descrive in dettaglio la proposta della Voice nella Costituzione ma stabilisce come culmine dell’agenda sia il Makarrata, “l’unione dopo una lotta. Cattura le nostre aspirazioni per un rapporto equo e sincero con il popolo australiano e un futuro migliore per i nostri figli basato sulla giustizia e sull’autodeterminazione”, chiedendo una “Commissione Makarrata per supervisionare un processo di accordo tra i Governi e le Prime Nazioni e raccontare la verità sulla nostra storia”. Scott Morrison, primo ministro a capo di un Governo di destra prima che Albanese vincesse le elezioni in maggio, rifiutò di sostenere la proposta.

Gli aborigeni australiani rappresentano circa il 3% dei quasi 26 milioni di cittadini, eppure sono un quarto della popolazione carceraria del Paese. Molti sono incarcerati per reati minori, secondo i dati ufficiali. Circa un terzo vive al di sotto della soglia di povertà. E le statistiche sono impietose se guardiamo ai tassi di alcolismo, droghe, violenze familiari. Centinaia sono stati sottratti alle loro famiglie per essere cresciuti come “bravi australiani”: sono i bambini e le bambine della Stolen Generation, la “generazione rubata”, allontanati con la forza delle leggi australiane da Governi, chiese ed enti assistenziali dall’inizio del 900 fino agli anni ’70.

Storicamente, l’elettorato australiano si è dimostrato timido nei confronti del cambiamento costituzionale: su 44 proposte avanzate in 19 referendum, solo 8 sono state approvate dal voto popolare. Il referendum di maggior successo è stato però proprio quello riguardante i diritti degli indigeni: nel 1967, infatti, il 90,77% degli australiani ha votato in modo schiacciante a sostegno di un emendamento costituzionale per contare gli indigeni nel censimento e fornire al Governo federale e non solo alle amministrazioni statali il potere di fare leggi per gli indigeni.

«Il 1967 è stato diverso perché non proveniva dal Governo - ha spiegato a Al Jazeera Cheryl Saunders, direttrice fondatrice del Center for Comparative Constitutional Studies presso la Melbourne University Law School - È venuto da un’ondata di pressione da parte degli indigeni che parlavano con i non indigeni e suscitavano l’interesse della gente comune. E c’è un senso in cui questa [la proposta referendaria] è esattamente la stessa».

Secondo il sondaggio del sito Resolve Strategic (pubblicato dalla società di media Nine Entertainment), il 64% degli australiani è a favore di una voce indigena in parlamento.

Leggi anche
Indigeni
di Fabrizio Papitto 3 min lettura
popoli
di Andrea Giuli 3 min lettura