Diritti

Australia: abortire non è poi così facile

Nonostante sia legale, molte donne fanno fatica ad accedervi: un’inchiesta del Senato raccomanda modifiche significative al sistema sanitario australiano, che non fornisce questo diritto in modo eguale e diffuso
Credit: EPA/DIEGO FEDELE
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
31 maggio 2023 Aggiornato alle 18:00

L’aborto in Australia è legale in tutti gli Stati che compongono il Paese dal 2019: quell’anno anche il New South Wales, in cui sorge Sidney, ha deciso di depenalizzarlo superando una legge di più di cent’anni prima che rendeva possibile la pratica solo in caso di “serio pericolo” per la donna.

Nonostante sia un diritto riconosciuto in tutto il territorio australiano, però, dal rovesciamento della Roe v. Wade negli Stati Uniti è cresciuta la preoccupazione per la possibilità di accesso all’aborto anche in Australia.

Un’ inchiesta del Senato sull’accesso universale all’assistenza sanitaria riproduttiva realizzata post-Roe ha esaminato l’accesso universale all’assistenza sanitaria riproduttiva in Australia, mostrando che sono ancora numerose le difficoltà legate all’aborto, alla contraccezione e all’assistenza alla maternità. Il documento si intitola “Ending the postcode lottery”, e fa riferimento alla fornitura ineguale di servizi a seconda dell’area geografica o del codice postale.

La commissione di riferimento - con membri laburisti, della coalizione e dei Verdi - invita il governo federale a rendere la procedura più facilmente accessibile, collaborando con gli Stati e i Territori per migliorare la situazione e garantire che i servizi siano forniti a costo zero, a istituire un servizio telefonico nazionale che fornisca informazioni sui servizi per l’aborto e la cura della gravidanza. E raccomanda che “tutti gli ospedali pubblici australiani […] forniscano interruzioni di gravidanza chirurgiche e, in caso contrario, assicurino che le donne possano accedere a cure tempestive ed economiche attraverso altri fornitori locali”. Ma perché è necessario ribadirlo?

La professoressa Danielle Mazza, che detiene la cattedra di medicina generale presso la Monash University di Melborune ed è autrice del volume “Women’s health in general practice” (La salute della donna in medicina generale), spiega su The Conversation che l’aborto è una procedura sicura a cui si sottopone quasi 1 donna australiana su 5 che ha avuto una gravidanza entro i 45 anni.

Come negli Stati Uniti, “ogni Stato e territorio è responsabile della legge sull’aborto e ha regole diverse”, sottolinea il servizio di assistenza governativo gratuito Health direct. Quello farmacologico può avvenire fino alla 9° settimana di gravidanza, quello chirurgico viene eseguito generalmente nel primo trimestre, ma in alcune parti del Paese è previsto fino alla 24° settimana di gravidanza.

Molti ospedali, in particolare quelli al di fuori delle grandi aree metropolitane, attualmente non forniscono alcun aborto, tanto meno quello chirurgico”, spiega Mazza. L’anno scorso ha pubblicato una ricerca che mostra come, tra le 17 strutture che hanno condiviso i loro dati sui servizi di aborto, quasi la metà (47%) non prevedeva servizi pubblici per quello chirurgico e il 35% per quello farmacologico. La maggioranza (64% per l’aborto chirurgico, 67% per l’aborto medico) ha sottolineato che i servizi pubblici dovrebbero essere considerati solo come ultima risorsa.

In alcuni casi, gli ospedali hanno addirittura respinto donne che necessitavano cure nel caso - non comune - di complicazioni dopo un aborto farmacologico (a cui non ci si sottopone in ospedale, ma a casa o in altro luogo sicuro).

Il rapporto del Senato ha rilevato che le donne nelle aree rurali e remote hanno una probabilità 1,4 volte maggiore di sperimentare una gravidanza indesiderata a causa della scarsa possibilità di accedere ai contraccettivi. Se, da una parte, il territorio dell’ACT - Australian Capital Territory - è diventata la prima giurisdizione australiana a offrire ai propri residenti un accesso universale gratuito ai servizi per l’aborto, indipendentemente dal fatto che abbiano una tessera Medicare, in altre zone del Paese la situazione è assai diversa.

La senatrice dei Verdi Larissa Waters, la cui mozione del Senato ha istituito l’inchiesta lo scorso settembre, ha detto che «le persone non dovrebbero spendere centinaia di dollari e viaggiare per centinaia di chilometri per abortire. Metà del lavoro è capire dove puoi andare per ottenere un aborto o un consiglio sulla contraccezione. Una hotline nazionale fornirà un unico tocco alle persone per trovare assistenza sanitaria riproduttiva dove e quando ne hanno bisogno».

Un’altra recente inchiesta ha rilevato che una “carenza critica” di apparecchiature a ultrasuoni e modelli di assistenza obsoleti costringono le pazienti a viaggiare fino a Brisbane, dalla capitale Canberra, a più di 1.000 km di distanza, per eseguire un aborto.

Nonostante i laburisti, alle elezioni del 2019, avessero promesso di fare in modo che gli ospedali pubblici fornissero aborti in cambio del loro finanziamento federale, lo scorso luglio il primo ministro Anthony Albanese ha fatto un passo indietro, affermando che spettava agli Stati decidere quali servizi offrire. Dopo l’inchiesta, il Governo ha promesso che prenderà in considerazione le raccomandazioni.

Secondo la professoressa Mazza, l’aborto è ancora molto stigmatizzato nella società australiana: in primis, “la formazione dei ginecologi o dei medici di base non include informazioni sulla procedura, e c’è una carenza di operatori qualificati, soprattutto per i casi complessi”. Gli ospedali, poi, non si sentono obbligati a fornire questo servizio essenziale, “non c’è stata alcuna pianificazione a livello regionale per garantire la disponibilità di servizi a livello locale” e alcuni operatori sanitari sono anche obiettori di coscienza. Si tratta di una situazione molto simile all’Italia.

Le donne che decidono di sottoporsi a un aborto chirurgico si rivolgono anche a cliniche private, quando l’ospedale pubblico locale non lo fornisce, ma non è facile accedervi per via di orari e strutture ridotti, oltre che per i viaggi lunghissimi che le costringono ad assentarsi dal lavoro, per esempio.

La raccomandazione principale del Senato australiano è di garantire che tutti gli ospedali pubblici forniscano aborti chirurgici o assicurino alle donne questo servizio essenziale attraverso altri fornitori locali. Ma perché questo avvenga, spiega Mazza, “devono esserci delle conseguenze se ciò non avviene. I finanziamenti dovrebbero essere legati alle prestazioni. Per una completa trasparenza, gli ospedali dovrebbero anche essere obbligati a pubblicare rapporti pubblici che indichino quanti e quali tipi di aborti praticano ogni anno”. Le raccomandazioni del Senato si tradurranno in servizi effettivi sul campo?

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