Diritti

Ue, diritti Lgbtq+: Italia al 34° posto su 49

Oggi si celebra Giornata internazionale contro l’omobilesbotransfobia, ma se guardiamo la Rainbow Map 2023 diffusa dall’Ilga c’è poco da festeggiare: anziché avanzare, lo Stivale arretra, perdendo una posizione
Credit: Anna Shvets       
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
17 maggio 2023 Aggiornato alle 17:00

23 anni fa, l’Oms eliminava l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali nella classificazione internazionale delle malattie.

Una riga eliminata da un elenco, un’enorme rivoluzione, che diceva al mondo (finalmente) che non importa cosa pensassero (e continuino a pensare) omofobi e bigotti: le persone attratte dallo stesso sesso non sono malate. Per questo, dal 2004 ogni 17 maggio, si celebra la Giornata contro l’omobilesbotransfobia.

Eppure, nonostante da quel giorno del 1990 moltissime cose siano cambiate, guardandoci intorno c’è poco da festeggiare. E non solo perché l’omosessualità è ancora illegale in oltre 70 Paesi in tutto il mondo (5 dei quali prevedono la pena capitale) ma anche perché “alcuni Paesi che una volta erano un faro in tema di diritti delle persone Lgbti stanno scivolando verso il basso, mentre in altri si rischia di seguire quei precedenti in cui i diritti Lgbti sono stati strumentalizzati a scopo politico”.

A parlare è l’Ilga Europe, l’International Lesbian and Gay Association, che come ogni anno ha rilasciato la Rainbow Europe Map e Index 2023, che monitora lo stato dei diritti Lgbtq+ nei Paesi utilizzando diversi indicatori, tra cui uguaglianza, questioni familiari e incitamento all’odio, violenza, accesso al cibo e alla casa, riconoscimento legale del genere, libertà di espressione e diritto di asilo.

Anche se nel complesso l’Europa sembra muoversi verso un maggior riconoscimento e tutela dei diritti di tutti i cittadini, le buone notizie si fermano qui. Soprattutto per l’Italia che, invece di migliorare, ha perso una posizione, passando dalla 33° alla 34° su 49 Paesi.

Con un punteggio di poco inferiore al 25%, il “Belpaese” si colloca nelle retrovie della classifica in compagnia di ben poco meritori compagni. Persino l’Ungheria di Orban (a cui sono stati congelati milioni di fondi europei per il mancato rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue anche in materia di diritti Lgbtq+) fa meglio di noi.

Odio e violenza nei confronti delle persone Lgbtq+ rimangono forti, così come le discriminazioni sul lavoro (1 lavoratore su 4 si è sentito discriminato) e in materia di diritto di famiglia.

Per migliorare la situazione giuridica e politica delle persone Lgbti in Italia, l’Ilga raccomanda di:

- adottare i matrimoni egualitari e consentire il riconoscimento automatico del cogenitore, in modo che i figli nati da coppie (indipendentemente dall’orientamento sessuale e/o dall’identità di genere dei partner) non incontrino ostacoli per essere riconosciuti legalmente dalla nascita ai loro genitori;

- proibire gli interventi medici sui minori intersessuali quando l’intervento non ha necessità mediche e può essere evitato o rinviato fino a quando la persona non può fornire il consenso informato;

- includere esplicitamente tutti i motivi Sogiesc (orientamento sessuale, identità di genere, espressione di genere, caratteristiche sessuali) nella legislazione che vieta la discriminazione in materia di salute.

L’integrità corporea delle persone intersesessuali, spiega infatti il rapporto, è una tendenza in aumento in Europa. La Grecia ha adottato il divieto di interventi medici non vitali sui bambini, compreso il divieto di mutilazione genitale intersessuale, e più in generale c’è stato un movimento positivo verso il riconoscimento della questione a livello istituzionale in Europa. L’Italia, invece, è rimasta ferma. Non solo: niente è cambiato nemmeno sul fronte delle cosiddette “terapie riparative” (che promettono di “curare” le persone cambiando il loro orientamento sessuale o la loro identità di genere) che continuano a essere legali.

L’Italia è anche tra i Paesi interessati da una tendenza continua all’aumento dell’incitamento all’odio, in gran parte legato alle persone trans, da parte di “politici e rappresentanti statali”. Ma l’aumento dell’hate speech nei confronti delle persone transgender ha interessato quasi tutti i Paesi d’Europa e in molti casi si è tradotto non solo in “un forte aumento della violenza contro le persone Lgbti, ma anche della gravità di quella violenza”. Moltissime persone trans sono state aggredite e uccise e a crescere è stato anche il numero dei sucidi.

E mentre i rischi per le persone Lgbtq+ aumentano in molti Paesi, a essere sotto attacco è anche il lavoro di attivisti, difensori dei diritti umani e di chi si impegna per proteggere la comunità Lgbtq+ e promuovere la libertà e diritti “sempre più assediati da attacchi e restrizioni allo spazio della società civile, e le organizzazioni Lgbti sono i bersagli principali, tra l’altro, delle legislazioni anti-Ong e delle limitazioni proposte”.

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