Diritti

Circa 15 milioni di donne e minori rischiano l’esclusione sociale

Alcune Regioni non garantiscono un accesso adeguato a istruzione, opportunità economiche e politiche: Calabria, Sicilia, Campania, Puglia, Basilicata ultime classificate. I dati del report Mai più invisibili di WeWorld
Credit: arash payam
Valeria Pantani
Valeria Pantani giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
11 maggio 2023 Aggiornato alle 14:00

Cosa vuol dire essere invisibili? In una qualsiasi società del mondo, può significare non essere considerati, ascoltati, protetti o inclusi; essere lasciati indietro. Ma chi sono le persone invisibili? Solitamente, le più vulnerabili: minoranze, cittadini meno abbienti, membri della comunità Lgbtq+, ma anche donne e minori.

In Italia, quasi 15 milioni di bambini, bambine e donne vivono in Regioni che non garantiscono un adeguato accesso a istruzione, salute, opportunità economiche, partecipazione sociale e politica. Lo rivela il report Mai più invisibili 2023 realizzato da WeWorld, l’organizzazione italiana indipendente che da 50 anni si impegna a garantire i diritti di donne e bambini.

Secondo la onlus, l’inclusione di donne e minori nel Belpaese non va tanto bene: in 5 anni (dal 2018 al 2023) l’indice è cresciuto solo di 0,2 punti, passando da 55,6 a 55,8 e rientrando così nella categoria di “inclusione insufficiente”. Nello specifico, quest’anno l’Italia è peggiorata da un lato sul fronte delle opportunità economiche e della partecipazione politica femminile; dall’altro, sulla condizione di bambini, bambine e adolescenti per quanto riguarda istruzione, salute e capitale umano.

Nel Paese esiste un grande divario territoriale relativo alle “persone invisibili”: il Nord si posiziona ai primi posti, mentre il Meridione chiude la classifica d’inclusione con Calabria, Sicilia, Campania, Puglia e Basilicata alle ultime 5 posizioni (ormai dal 2018). Ma anche le Regioni più virtuose incontrano qualche difficoltà: queste, infatti, riporta WeWorld, pur avendo livelli di inclusione maggiori rispetto ad altre aree d’Italia, non sono riuscite a raggiungere traguardi più ambiziosi (al contrario, in alcuni casi hanno addirittura peggiorato la propria performance).

Ovviamente, le aree più penalizzate sono quelle che hanno i valori più bassi, dove il grado di esclusione è grave o molto grave (nonostante le disuguaglianze esistano ovunque, anche nelle zone più alte in classifica). E questo contribuisce ad aumentare il divario, nazionale e interno, tra persone che hanno accesso ai propri diritti e chi nasce, invece, in contesti più svantaggiati. La pandemia, poi, non ha fatto altro che peggiorare la situazione.

Insomma, l’Italia sembra essere un Paese non ancora in grado di garantire l’empowerment e la tutela di minori e donne. Ma veniamo ai dati.

Come va l’inclusione di donne e bambini?

In Italia quasi 1 minore su 3 (29%) e 4 donne su 10 (38%) vivono in aree con alti livelli di esclusione, classificati come gravi o molto gravi.

Per quanto riguarda bambini e bambine, negli ultimi 5 anni il Belpaese è peggiorato di 4,8 punti, passando da 54,3 a 49,5 e rientrando nel livello di esclusione grave. Se le cose non cambieranno, serviranno 56 anni per garantire adeguati livelli di inclusione ai minori italiani.

Sul fronte istruzione, anche a causa della pandemia e dei conseguenti lockdown (che, in generale, hanno peggiorato le condizioni di donne e bambini), quasi 4 studenti di terza media su 10 non hanno competenze adeguate in italiano e più di 4 su 10 in matematica: la percentuale di ragazzi e ragazze tra i 13 e i 14 anni con competenze alfabetiche e numeriche non buone è salita rispettivamente al 38,17% e al 42,17%.

Spostando l’attenzione sulla condizione femminile, WeWorld segnala un aumento di 1,4 punti (da 49 a 50,4); tuttavia, serviranno comunque 99 anni per garantire alle donne adeguati livelli di inclusione. Infatti, la loro partecipazione nell’ambito politico è peggiorata (eccetto in Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Veneto e le Province Autonome di Bolzano e Trento), specialmente se guardiamo alla rappresentanza a livello nazionale.

Il focus Regione per Regione

La Provincia autonoma di Trento, la Valle d’Aosta, la Provincia autonoma di Bolzano, il Friuli Venezia-Giulia e l’Emilia-Romagna sono le prime 5 Regioni per inclusione di donne e minori; le ultime sono tutte nel Mezzogiorno, con Calabria, Sicilia, Campania, Puglia e Basilicata. Qui, dal 2018, la quota di bambine e bambini a rischio esclusione sociale è passata dal 39% al 43%, per un totale di 1 milione e 377.000.

Il Lazio, invece, si posiziona all’ottavo posto mentre la Lombardia, dove pesano la cattiva qualità dell’aria e il basso tasso di imprenditorialità femminile (24,1% contro la media nazionale del 26,6%), al nono.

Andando nello specifico, la Calabria è classificata come la Regione più povera d’Italia, con 2 famiglie su 10 sotto la soglia di povertà e un Pil pro-capite di 17.600 euro (la media nazionale è di 30.100) e con il 43% di bambini e bambine a rischio esclusione sociale (la media italiana è 27,7%); lo scorso anno, i posti autorizzati nei servizi per prima infanzia erano solo 12 su 100 (contro la media nazionale di 27).

La Campania è invece la Regione in cui si registrano i livelli più alti di minori a rischio esclusione sociale, con circa 570.000 bambini (58,5%) nel 2022 e 11 posti autorizzati nei servizi per la prima infanzia ogni 100 (è il valore più basso di tutta Italia).

La Sicilia ha il tasso di abbandono scolastico più alto del Paese, 21,2% contro la media nazionale del 12,7% (la Regione con il valore più basso, invece, è il Molise, 7,6%). Inoltre, qui si registra la percentuale più bassa di donne laureate o in apprendimento permanente, rispettivamente 22,6% (media nazionale del 33,3%) e 6,8% (media nazionale del 10%).

Ultima posizione per la Basilicata, dove 1 minore su 3 è a rischio esclusione sociale: nel 2022, 4 studenti di terza media su 10 non avevano competenze alfabetiche adeguate e 5 su 10 numeriche; sempre lo scorso anno, la differenza tra tasso di occupazione femminile e maschile era del 25% circa, contro la media nazionale del 18%.

È necessario intervenire: come?

Certo, ci sono anche buone notizie. Secondo i dati di WeWorld, negli ultimi 5 anni le Marche hanno fatto un balzo in avanti per quanto riguarda l’esclusione sociale di bambini e bambine, passando dal 19,4% al 9,27%, e lo stesso vale per il Piemonte, da 22,5% a 18,7%. Infine, il Friuli-Venezia Giulia è la Regione con il minor numero di famiglie che vivono in condizioni di deprivazione abitativa, segnando un 2,3% contro la media nazionale del 5,9%.

Questi numeri sembrano buoni, confortanti se paragonati ai dati del resto d’Italia, ma non bastano: il Paese non è ancora in grado di garantire la promozione dei diritti di donne e minori.

Servono politiche e interventi capaci di trasformare le norme sociali e culturali, che tengano conto dei bisogni e delle esigenze delle italiane e di bambine e bambini, attente al futuro delle generazioni future; servono strumenti che incoraggino l’empowerment femminile e dei più piccoli. Ma soprattutto, come ricorda il presidente di WeWorld Marco Chiesara, «serve costruire una visione del mondo e della società che non sia più maschio-centrica e patriarcale».

Solo così potremo dare spazio e voce alle “persone invisibili”.

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