Culture

“Ricordatemi come vi pare”: l’immortalità di Michela Murgia

L’ennesima resa dei conti su potere, femminismo, religione e scrittura: un testo sfacciato, visionario, immune dai compromessi. Com’era lei, incapace di “Stare zitta!”
Tempo di lettura 10 min lettura
7 maggio 2024 Aggiornato alle 19:00

Ci ricorderemo dei suoi romanzi, dei saggi, dei suoi post e delle foto, dei meme e dei modi di dire, delle sue critiche rivolte ai metodi e mai alle ideologie. Della sua voce, delle nuove parole da lei coniate, dei suoi mini-cuori tra il pollice e l’indice. La ricorderemo per le sue storie di apprendimento dove, come lei diceva, «quello che sai passa per i rischi di quello che sei».

E ancora, per i suoi profili fake, per la sua “Barbarica Mente” e per i mille sentieri che ha tracciato con la polemica e la provocazione intellettuale. Ci ricorderemo del suo “Buon vicinato” che, in piena pandemia, la vedeva dilettarsi nell’arte acuminata del dibattito e della polarizzazione come esercizio di stile. Della sua amata queer family, della sua relazione con la malattia, del suo atto politico di non lottarci contro, bensì di imparare a conviverci fino alla fine. Ci ricorderemo della notte di San Lorenzo del 2023 che l’ha strappata a questo mondo “prima del tempo” e di quel “weather” che, parafrasando Chiara Valerio, ci evita la straziante difficoltà di coniugare i verbi al passato, parlando di lei.

Ci ricorderemo del suo essere eternamente antifascista, dell’importanza che dava al “noi”, al “qui e all’ora”, all’agire e al rispondere senza permettere a nessunə di farla stare zitta.

Ognunə, a proprio modo, ci ricorderemo di Michela Murgia che, anticipando come sempre il futuro, ha titolato il suo nuovo libro postumo Ricordatemi come vi pare (Mondadori, trascritto da Beppe Cottafavi e curato da Alessandro Giammei, 247 pagine, 18,52 euro). La sua seconda opera postuma è, secondo la sua eterna amica e collega Chiara Valerio, “un’autobiografia che riprende tante Michela Murgia, perché Michela Murgia non finisce e non comincia, ma continua. È un invito all’avventura di vivere da Michela Murgia”.

Se Michela Murgia ha condiviso con noi ogni giorno della sua vita (sui social) scegliendo di essere più narratrice che scrittrice, cercando di semplificare raccontando, privilegiando, spesso, l’oralità come forma di relazione che vede un orecchio sempre pronto ad ascoltare, il suo ultimo libro non poteva che essere un racconto orale. Un “racconto orale su incurabili pagine”, lo definisce Giammei, che prende vita dalla seconda settimana del luglio 2023 grazie agli incontri con Beppe Cottafavi, suo editor e amico.

Una narrazione in cui l’intellettuale più lucida e appassionata del nostro tempo descrive tutto ciò che ritiene importante far sapere della sua vita, dando libero accesso a file, racconti archiviati sul suo computer e giocate di ruolo mai pubblicate prima.

In questo libro c’è tutta la sua vita, tutto il suo pensiero, il suo esempio. Partendo dalle sue origini a Cabras, dove “preparava pastone con la crusca e l’acqua per le galline” e faceva “geopolitica del rosario” con tutte le vedove della via, Murgia ci parla dei meccanismi matricentrici adottati da sua nonna. Un patriarcato 2.0 vissuto durante l’infanzia che pone le basi di quello che sarà il suo attivismo all’interno del movimento femminista. Movimento da sempre ritenuto radicale in quanto fondato sulla convinzione che le donne siano addirittura “persone” quando, nel mondo patriarcale, esse devono piegarsi unicamente al ruolo di “funzione”.

Rifacendosi agli esempi vissuti in famiglia e poi nei fatti di attualità più recenti che l’hanno sempre vista in prima linea, Murgia sottolinea il problema del linguaggio nella legittimazione della mascolinità tossica rievocando la sua rassegna sessista domenicale e L’ho uccisa perché l’amavo. Falso!, libro scritto con Loredana Lipperini.

Come una nuova Atreyu davanti allo specchio dell’anima, Michela Murgia si mette faccia a faccia con il proprio io trovando il coraggio di affrontare la sua vita, di guardarsi dentro, scandagliando tutti i passaggi che le hanno permesso di arrivare a diventare quello che è. Così, svela come la sua iniziazione alla “comunicazione per conflitto”, ricevuta in famiglia, abbia fatto sì che la sua scrittura si sviluppasse sempre con lo scopo di generare attrito, interruzioni. Che, nei confronti di chi la leggeva, non ha mai adottato un approccio consolatorio ma provocatorio, con l’intento di guastare, rompere equilibri, quindi, arricchire.

Racconta di essersi iscritta a teologia e rivela come il Vangelo sia stato il libro più influente della sua vita. Cita, fra i più grandi maestri, don Antonio Pinna (che le ha insegnato a osservare la realtà in modo esegetico) e Marinella Perroni (che è stata capace di mostrarle il femminismo all’interno della fede). Racconta come grazie a loro sia riuscita a perdonare la Chiesa per la sua incapacità di essere all’altezza della parola Dio (soprattutto in relazione alle donne), sottolineando come l’essere cristiana l’abbia resa una scrittrice e una lettrice migliore perché le ha insegnato un alfabeto di libertà e di autodeterminazione che le “ha permesso di scrivere libri sulla Chiesa cattolica, spesso contro la Chiesa cattolica senza smettere un giorno di essere cattolica”.

Nel capitolo La prima eversione, Murgia racconta di quanto la visione, al Tg1, di un ragazzo cinese indifeso (e invincibile) con le buste in mano davanti al carro armato in piazza Tienanmen, l’abbia indotta a compiere le sue prime rivoluzioni, ri-orientando le sue scelte. E se la protesta della giaina di Philip Roth, in Pastorale americana, dopo la sua prima eversione, assume forme sempre più aggressive che distruggono la sua vita senza permetterle di comprendere il senso della storia, la rivoluzione di Murgia è proprio il senso che cerca, attraverso le più disparate forme di ribellione che le fanno intraprendere percorsi sempre nuovi. Perché Murgia, tra il restare e l’andare a cercarsi, sceglie la seconda strada convinta del fatto che la fuga sia uno dei modi possibili di salvarsi.

Il suo ottimismo, la sua indomita voglia di farcela, trova affermazione nella frase, citata più volte “Ciascuno cresce solo se sognato” dove rimarca la necessità di immaginarci nel futuro e, soprattutto, di essere immaginati dagli altri, di ricevere la loro fiducia, la loro presenza, il loro sguardo positivo. A patto, però, di trovare, di scegliere chi siano questi altri.

In Ricordatemi come vi pare, Murgia dedica diverse pagine e parole a Lot (il gioco di ruolo fantasy, via chat, più vecchio in Italia), una community in cui resta 10 anni e che rappresenta, per lei, la migliore scuola di scrittura (e di informatica) che potesse permettersi. Un posto in cui, oltre a studiare mappe, luoghi, stanze, impara la lingua della sua razza, l’elfico, e le sue varianti (il Quenya e il Sindarin). Un passaggio della sua vita nel quale, come sempre, riesce a trovare diversi insegnamenti (“se il potere di cui disponi serve solo a dimostrare se stesso, l’unica cosa che dimostra è il tuo limite”) e che le permette di conoscere Alessandro Giammei (alias Elianthos), suo figlio d’anima, suo curatore editoriale già a 17 anni, oggi professore di letteratura italiana a Yale.

Tra un racconto e l’altro, rivela come, per gran parte della sua vita, non abbia fatto la scrittrice ma abbia lavorato come cameriera, insegnante di teologia, impiegata amministrativa, venditrice di prodotti finanziari e immobiliari, web designer, programmatrice, centralinista. Lavori dai quali, quasi sempre, viene licenziata a seguito di denunce o della sua proverbiale incapacità di stare zitta, denunciando, rompendo le scatole, scrivendo per cercare di cambiare la sua realtà quando, questa, risultava scomoda e invivibile.

A questo proposito, ricorda il suo blog, scritto nel 2006, quando ha capito che il dissenso che derivava da 3 anni di precarizzazione dovuti alla legge Biagi non bastava e che doveva essere organizzato con parole esatte. Al suo interno troviamo i disagi vissuti nel suo mese e mezzo in un call center dove, più che come impiegata e vittima, entra come spia. Quando la casa editrice Isbn le offre il primo contratto editoriale per fare di quel blog un libro, Il mondo deve sapere, e il posto in cui lavorava è costretto a chiudere, Murgia scopre il valore della parola come strumento fondamentale per cambiare il mondo. Comprende la forza della letteratura per fare politica, per smascherare le menzogne del potere. Capisce, inoltre, come si possa influenzare la realtà attraverso la volontà, grazie al potere performativo del linguaggio. Così, comincia a dare i nomi alle cose per vederle (un gesto politico) e capisce che è dai nomi che siamo che derivano le interpretazioni che facciamo della realtà.

Nel corso della sua narrazione, racconta la genesi di alcuni tra i suoi libri più celebri: Ave Mary, un saggio sociologico sull’influenza dell’educazione cattolica nella determinazione dei modelli di genere, Accabadora, un libro sulla filiazione d’anima e l’eutanasia, Chirù, dove proietta la sua esperienza con Francesco, suo figlio d’anima, mettendo in discussione i concetti di famiglia, filiazione e apprendistato, citando episodi realmente accaduti mentre creava il partito di coalizione “Sardegna Possibile”.

Parla della sua passione per l’opera lirica, per la moda e, soprattutto per i K-drama, per la cultura e la lingua coreana (che ha 20 vocali, è priva di generi e che, per un’attivista del linguaggio come lei, diventa indispensabile conoscere e studiare). Rivendica, ancora una volta, il suo amore viscerale per i BTS (distruttori della mascolinità tossica) capaci di risollevarla da un periodo nero in cui l’imperativo costante a lei dedicato, in Italia, risultava essere “stai zitta!”. Ammette di non amare il calcio, di serbare rancore nei confronti di Virzì e di non essere devota se non a Pier Giorgio Frassati, suo unico esempio di santità laica. Accenna al suo incontro con il Papa sottolineando come il vero Incontro, quello che le ha cambiato la vita, sia stato quello con gli intellettuali italiani.

Il suo libro diventa esilarante in uno dei capitoli finali, quando dà lezioni sulla lingua sarda, un registro di espressione antifrasico in cui conta, soprattutto, l’ironia mista al cinismo. E dalle risate si passa alla commozione nelle ultime pagine dove Murgia definisce “autobiografico”, tutto quello che, del suo racconto, della sua vita, non ha capito, convinta del fatto che non capire, spesso, sia la soluzione migliore per stare nelle cose.

Ammette di aver corso molto per salvarsi, per dimostrare a se stessa di potercela fare, per ottenere di più, per essere al di sopra di qualsiasi minaccia. E se per tutta la vita scrive, alza la voce perché pensa che il mondo, certe cose, debba saperle, sul finale rivela di aver capito la potenzialità dei soffi, dei respiri e dei silenzi. Consapevole di aver bruciato troppo per fare tanta luce, ora si chiede cosa sarebbe stato di lei se non avesse sempre deciso di parlare per prima, di alzare la voce più di tutti, di esporsi, di scrivere ciò che nessuno aveva il coraggio di dire.

Allo stesso tempo, però, ammette: “È inquietante che le persone hanno bisogno di figure d’ispirazione e io forse volevo esserlo. Volevo fare una differenza, volevo cambiare il mondo. Non l’ho certo cambiato tutto ma la parte di tempo che l’ho attraversato forse non potrebbe dirsi quella che è se io non ci fossi stata (…) Non ci sono intorno a me cerchi magici, ma magico è tutto quello che mette in cerchio, allarga e include, riscaldando ben oltre le linee delle braci che ho acceso io. (…) Ora è come se la mia voce riverberasse un’eco che continua a risuonare anche se io non sto più parlando. (…) Se morissi domani, centinaia di persone potrebbe dire ‘Michela Murgia direbbe…’ (…) Posso ora permettermi l’egemonia del silenzio perché ho parlato per anni, moltissimo”.

Il suo meraviglioso racconto è l’analisi autentica delle sue 10 vite dove Michela Murgia, in una strada spesso troppo in salita, ha sempre pensato che il mondo non sia così brutto ma che tutto dipenda da quale mondo ti fai e dall’intelligenza di saper riconoscere la felicità. Da credente, è convinta che quello che ha fatto le sopravvivrà, affermando che “andare via così come si è, è restare come si è sempre voluti essere”. E con questa frase sancisce la sua (avvenuta) immortalità.

Leggi anche
Recensioni
di Costanza Giannelli 4 min lettura
Michela Murgia
di Teresa Cinque 5 min lettura