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Valentina Melis: «Il lascito di Stai Zitta? La sensazione di non essere sole»

Il tour dello spettacolo teatrale tratto dall’omonimo libro di Michela Murgia toccherà diverse città italiane. La Svolta ha intervistato una delle protagoniste
Da sinistra: Antonella Questa, Valentina Melis e Teresa Cinque in "Stai Zitta", diretto ma Marta Dalla Via
Da sinistra: Antonella Questa, Valentina Melis e Teresa Cinque in "Stai Zitta", diretto ma Marta Dalla Via
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
2 novembre 2023 Aggiornato alle 10:00

Dopo la data zero di alcuni mesi fa è partito ufficialmente il tour di Stai Zitta, lo spettacolo teatrale tratto dall’omonimo saggio di Michela Murgia, diretto da Marta Dalla Via e interpretato da Antonella Questa, Valentina Melis e Teresa Cinque.

Tante le città che lo ospiteranno e che animano un calendario in continua evoluzione. In attesa di vedere lo spettacolo prendere vita in scena, La Svolta ha incontrato Valentina Melis che, oltre a dare voce e forma insieme alle colleghe alle parole della scrittrice, ha avuto l’intuizione di portarne sul palco l’eredità femminista.

Quando è nata l’idea dello spettacolo e perché?

Tutto è partito da un aperitivo con Michela Murgia, un paio di anni fa. In quel periodo ero un po’ triste perché la mia carriera da attrice non stava procedendo come speravo e lei mi chiese quale fosse il mio desiderio lavorativo più grande. Risposi senza esitare, “uno spettacolo teatrale femminista”. Quell’idea la colpì molto e iniziò subito a incitarmi a farlo. Uscii da quell’incontro con la volontà di agire e siccome da tempo io, Teresa Cinque e Antonella Questa volevamo fare uno spettacolo insieme, ci siamo buttate. L’idea precisa del soggetto non ci è venuta subito ma un giorno ho avuto una folgorazione, doveva essere Stai Zitta! È il libro che consiglio a chi si approccia al femminismo perché è scritto in modo molto semplice e diretto e nelle sue pagine si trovano le basi fondamentali. Lo scopo dello spettacolo è avvicinare più persone possibili al femminismo, quindi non poteva esserci scelta migliore.

Come l’ha presa Michela Murgia?

Benissimo, ci ha ceduto immediatamente i diritti e appoggiate in ogni modo, senza mai interferire con il nostro lavoro.

Come vi siete conosciute?

Prima virtualmente. Avendo idee comuni e lottando per le stesse cose ci seguivamo a vicenda, io vedendola come un’icona e un punto di riferimento, lei immagino riconoscendo in me una persona affine a se stessa, che invece di godere della notorietà che la professione di attrice offre, si spendeva senza remore per i suoi ideali. È stata lei a cercarmi, scrivendomi che apprezzava il mio lavoro e che le sarebbe piaciuto incontrarmi. Quando abbiamo fissato l’appuntamento ero molto emozionata ma appena ci siamo viste ci siamo abbracciate e la tensione è svanita in un attimo. La sintonia è stata immediata e potente.

Ha fatto in tempo a vedere o sentire qualche stralcio dello spettacolo?

Doveva venire a vedere le prove ma poi ha iniziato a non stare più bene e purtroppo non è riuscita. Noi però l’abbiamo sempre tenuta aggiornata su tutto, anche se continuava a dirci che non ce n’era bisogno perché si fidava ciecamente.

Chi ha letto il libro cosa deve aspettarsi?

Di veder agire quello che ha raccontato Michela. Abbiamo adattato il saggio alla scena, ricostruendolo in parte ma tenendo tutti i punti fondamentali, che prendono viva attraverso personaggi inventati. Siamo convinte che le rappresentazioni pratiche aiutino a capire le cose ancora meglio delle parole ma questo spettacolo può essere visto anche da chi non ha letto il libro ed è adatto a tutti, compresi i bambini.

Possano già capirne i messaggi?

Credo di sì. Ci sono cose che forse non comprenderanno fino in fondo ma sono del parere che si debba iniziare a educare alla parità di genere fin dalla scuola dell’infanzia e che esporre i più piccoli a certi tipi di narrazione sia utile a introiettare in loro messaggi giusti. E poi è uno spettacolo leggero, pur veicolando concetti seri si ride tanto.

Il libro, e immagino lo spettacolo, si fonda su 10 frasi che vengono spesso ripetute alle donne e che nessuna dovrebbe più accettare. Qual è quella che ti fa più infuriare?

Scegliere è quasi impossibile ma forse “le donne sono le peggiori nemiche delle altre donne”. Io ho sempre fatto squadra con le altre ma non per tutte è così perché il patriarcato ci inculca fin da bambine l’idea che dobbiamo essere perennemente in lotta tra noi. Si dice sempre che gli uomini fanno gruppo e invece le donne combattono l’una contro l’altra per arrivare agli obiettivi ma è falso. La sorellanza è la cosa più importante che ci sia e quando ci si rende conto che con l’unione si può fare la differenza scatta qualcosa dentro e si inizia a reagire.

Quante volte ti sei sentita dire “Stai zitta”?

Un milione. L’ultima una settimana fa ma succede fin dall’infanzia. Ricordo che le suore alle elementari non facevano che zittirmi e mi mettevano con il banco fuori dalla classe perché parlavo troppo. Forse è proprio da lì che ho iniziato a dire di non voler più tacere e anche se secondo gli altri ho sempre parlato troppo, non ho mai rinunciato a esporre le mie idee.

Nel libro e nello spettacolo si analizza il linguaggio, che da forma diventa sostanza. Come si fa a far capire questo concetto a chi crede che le parole non contino e che le battaglie importanti siano altre?

Nelle pagine di Stai Zitta Michela Murgia afferma proprio che nel contesto storico e culturale che stiamo vivendo il linguaggio sembra essere l’aspetto meno rilevante, ma in realtà è quello da cui si muove tutto perché il modo in cui nominiamo la realtà è come finiamo per abitarla. Per questo è importate come chiamiamo le cose o come noi donne veniamo identificate, perché è sulle parole che si poggia l’impianto di pensiero da cui partono le azioni.

Mi immagino principalmente donne ad assistere allo spettacolo, è così?

Il tour vero e proprio sta partendo ora quindi staremo a vedere ma basandomi sulla prima data e sulle letture sceniche che abbiamo fatto i mesi scorsi direi di sì, anche se non sono mancati gli uomini. Dopo l’anteprima parecchi sono venuti a ringraziarci, dicendoci che avevano capito cose che fino a poche ore prima ignoravano e che non si immaginavano come ci sentissimo in certi frangenti. Questo mi fa ben sperare e mi auguro che tanti altri vengano a vederci.

Uno degli argomenti toccati da Stai Zitta è quello della maternità, assunta come valore supremo e identità assoluta: se una donna ha figli qualunque cosa faccia è descritta in virtù, o nonostante, sia mamma. Come te lo spieghi?

Si tratta di un retaggio culturale. La donna è da sempre considerata come un soggetto la cui unica missione e vocazione è la maternità, e che possa realizzarsi solo mettendo al mondo dei bambini. Pian piano ci stiamo staccando da questa concezione ma è ancora difficile perché i sensi di colpa che la società inculca in chi afferma di non volere figli sono ancora enormi e non investono mai gli uomini. Le donne che lo dichiarano sono considerate egoiste o pazze e ci si rivolge a loro con frasi del tipo “vedrai che se incontri quello giusto poi cambi idea”. Perché lo stesso non viene detto agli uomini, perché nessuno pensa che per loro la realizzazione massima possa essere la paternità? Il mio personaggio porta in scena proprio questo tema, che sento molto avendo una bambina di 6 anni. Io sono diventata madre perché lo desideravo fortemente ma avrei potuto scegliere qualsiasi altra cosa. Non mi sento realizzata perché sono mamma ma per tanti motivi, tra i quali essere mamma.

Cosa speri rimanga al pubblico una volta uscito da teatro?

Alle donne la sensazione di non essere più sole. Quando viviamo determinate vicende o subiamo discriminazioni, abusi o violenze crediamo capitino solo a noi ma nel momento in cui scopriamo che non è così tutto cambia e iniziamo a capire che si può fare qualcosa tutte insieme per cambiare la società. Mi auguro questa presa di coscienza soprattutto per coloro che ancora non riescono a reagire a comportamenti abusanti, che non sanno come uscirne e con chi parlarne. Gli uomini spero invece che inizino a rendersi conto che anche quando non hanno colpe dirette hanno responsabilità per quello che succede ogni giorno sulla pelle delle donne, e che debbano iniziare a prendersele.

Quale credi sia il più grande insegnamento di Michela Murgia che non dovremmo dimenticare?

Quello di prendere posizione. Lei non ha mai evitato di dire cosa pensava, nemmeno quando rischiava di perdere consensi o finire in una shitstorm, come successo diverse volte. Non si è mai sottratta perché di fronte a un’ingiustizia arretrare le era impensabile. Credeva che l’indifferenza fosse complicità e connivenza e il modo migliore per portare avanti i suoi insegnamenti è non dimenticarlo mai.

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