Storie

Grazie Michela. Adesso tocca a noi

Perché l’eredità della scrittrice non vada sprecata è fondamentale ripartire dalle sue battaglie. Farle nostre e difenderle sempre

«Si alza il vento, bisogna tentare di vivere». Tra le tante frasi che scrollando il feed dei social, dalla diffusione della notizia della sua scomparsa è possibile leggere su Michela Murgia, questa di Chiara Tagliaferri, che con lei ha condiviso pezzi di esistenza giunti fino a noi attraverso i mille volti di Morgana, mi è sembrata la più incisiva.

Quella che arriva dritta al cuore, e allo stomaco, anche di chi Michela Murgia l’ha conosciuta solo attraverso le sue opere, il suo impegno, il suo attivismo, il suo modo di vivere che da sempre rivendica come un atto politico, perché la vita stessa è politica e ogni azione compiuta non è mai individuale ma parte di un insieme che determina il mondo in cui viviamo.

«Bisogna tentare di vivere» ma mai come oggi è difficile trovare il capo del filo dal quale ripartire, dopo un risveglio frastornato seguito a una serata e a una nottata passata con l’amaro in bocca, a crogiolarsi nel rammarico delle tante cose che ancora avremmo potuto imparare da Michela Murgia, che non piaceva a tutti perché alzava sempre un po’ di più l’asticella, perché portava facilmente l’interlocutore al conflitto, che definiva l’essenza della democrazia. Perché era scomoda, non chiedeva il permesso e non stava mai zitta.

Ha insegnato tanto a tante (e tanti) e perché la sua morte non si trasformi nell’ennesima occasione per coccodrilli asettici e cordogli di circostanza archiviati in 24 ore, l’unica cosa da fare è proseguire sulla strada che ha indicato, partendo dalle tante battaglie che ha portato avanti in questi anni. Fino all’ultimo.

La difesa degli ultimi

Sono di alcuni giorni fa le stories Instagram in cui denuncia il divieto, emanato dal sindaco, per i migranti di Ventimiglia, di entrare al cimitero del paese per lavarsi e abbeverarsi alla fontanella pubblica.

Le ore per lei erano ormai contate ma le sue parole ancora lucide e volte a denunciare quella che riteneva un’ingiustizia, un inutile accanimento verso gli ultimi, una negazione dei diritti fondamentali per i quali si è battuta per tutta la vita, ma che molta stampa ha rilanciato come un “attacco di Michela Murgia”. Ne ha parlato lei stessa in un post nel quale ha ricordato, per l’ultima volta, come opera chi desidera delegittimare la posizione altrui: spostando il focus del discorso.

Di attacchi Michela Murgia ne ha subiti tanti, perché i bersagli delle sue riflessioni sono sempre state persone o ideologie quasi mai interessate dal dubbio, dalla messa in discussione della propria veridicità.

La denuncia del lavoro alienante

Si è occupata di lavoro nel suo primo libro, Il mondo deve sapere del 2006, arrivato poi al cinema con il film di Paolo Virzì Tutta la vita davanti, nel quale raccontava le giornate di chi è occupato nei call center, scandite da alienazione e frustrazione, precariato e diritti negati, che ha provato sulla propria pelle avendo lei stessa svolto quella professione.

Il credo del personale che diventa politico forse è nato in lei proprio da quell’esperienza e da quello scritto con il quale ha iniziato un attivismo mai domo, che ha visto il suo impegno maggiore nel femminismo intersezionale.

Il femminismo e la lotta al patriarcato

Tra i meriti di Michela Murgia forse il più grande è quello di aver scosso il movimento e avergli dato una linfa nuova, senza la quale rischiava di perdersi.

Lo ha fatto attraverso i libri, Accabadora prima e poi Morgana e soprattutto Stai Zitta, divenuto una sorta di manifesto di generazioni di donne che non si riconoscono più nel ruolo di cura e devozione che per millenni la società patriarcale ha disegnato per loro (noi).

Lo ha fatto in radio, a teatro e negli ultimi anni soprattutto tramite i social, dove solo un mese fa ha condiviso una lunga riflessione sui mille volti dei femminismi e sulla necessità di non perdersi in lotte interne ma di fare, ognuna, la propria parte al meglio che si può.

Lo ha fatto analizzando e smontando il linguaggio sessista dei media mainstream, con una rassegna settimanale su Istagram nella quale denunciava ogni titolo sbagliato, ogni parola detta in modo da avallare il pensiero che, alla fine, le donne se la vadano sempre un po’ a cercare.

Lo ha fatto parlando della necessita e dell’urgenza di declinare i termini al femminile, «perché se una cosa non la nomini non esiste», e introducendo, non senza polemiche, l’uso della schwa nei suoi scritti.

Lo ha fatto cercando di coniugare, anche in questo caso facendo storcere il naso a qualcuno, la sua radice cattolica con il credo femminista.

I diritti Lgbtq+ e la famiglia Queer (opposta al matrimonio tradizionale)

«Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo parlare è ancora considerata la più sovversiva», e Michela Murgia parlava, parlava sempre, delle donne ma anche dei diritti Lgbtq+. E poi agiva e viveva, in quella quotidianità Queer che da privata ha reso pubblica, manifesto condiviso di un modo di intendere la famiglia che esce dai legami di sangue e si fonda su quelli elettivi.

Si è sposata con Lorenzo Terenzi un mese fa, sicuramente anche per amore ma soprattutto perché il nostro Paese non ammette alternative e quando la vita si fa stretta, solo chi ha firmato un pezzo di carta che certifichi un’unione può decidere per l’altro. Un matrimonio necessario e anch’esso politico, un matrimonio del quale avrebbe fatto volentieri a meno perché le etichette non le sono mai piaciute, perché ha sempre creduto che i rapporti fossero fatti di altro, che si potesse essere madri senza aver partorito, mogli senza un anello al dito, famiglia senza un riconoscimento ufficiale.

Un matrimonio tradizionale al quale ha fatto seguire un matrimonio come lo avrebbe davvero voluto, con la sua famiglia Queer composta da una decina di persone unite da amore, rispetto e valori condivisi.

La lotta per la libertà di espressione

Si è battuta sempre per la libertà Michela Murgia, quella di andare alle sfilate di moda o farsi disegnare gli abiti del matrimonio Queer da Maria Grazia Chiuri (Dior) senza passare per frivola, così come quella di espressione. Sempre contro i potenti, soprattutto di destra, e a fianco degli amici come Roberto Saviano, che ha accompagnato a ogni udienza del processo che lo vede imputato dopo la denuncia di diffamazione a sua carico intentata da Giorgia Meloni.

Si era anche candidata a governare la sua Sardegna con una lista indipendente nel 2014, uscendone però sconfitta. E forse per tutti noi è stato meglio così, perché la politica di Michela Murgia è fatta di parole e di battaglie condotte fuori dai palazzi, che adesso spetterebbe, oltre che a tutte noi, proprio ai palazzi portare avanti.

Leggi anche
Michela Murgia
di Cristina Sivieri Tagliabue 3 min lettura
Carla Lonzi dall'Archivio Carla Lonzi  
Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea
Femminismo
di Federica Pennelli 3 min lettura