Diritti

Onu: il divario tra Paesi ricchi e poveri cresce (di nuovo)

L’aumento registrato rappresenta un’inversione di rotta: fino al 2020 lo scarto si era costantemente ridotto, rivela lo Human Development Report 2023/2024 del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite
Credit: Igor Omilaev
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
15 marzo 2024 Aggiornato alle 20:00

Se, da una parte, tutti e 38 i Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) si sono ripresi dalla pandemia di Covid-19, dall’altra solo la metà di quelli a basso reddito ci è riuscita. Lo rivela Breaking the gridlock - Reimagining cooperation in a polarized world (“Superare l’ingorgo - Ripensare la cooperazione in un mondo polarizzato”), l’ultimo rapporto sullo sviluppo umano del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp). Il divario tra Paesi ricchi e poveri continua ad ampliarsi, favorendo l’inversione di una tendenza ventennale in cui il gap si è ridotto costantemente fino al 2020.

Le 324 pagine di rapporto parlano di un “pericoloso stallo derivante dai progressi disomogenei nello sviluppo, dall’intensificarsi della disuguaglianza e dall’escalation della polarizzazione politica, che dobbiamo affrontare con urgenza” attraverso un’azione collettiva. La pandemia da Covid, in tutto questo, ha assunto il ruolo di «moltiplicatore» di problemi strutturali preesistenti come la povertà, ha dichiarato Achim Steiner, amministratore dell’Undp.

I progressi dell’Indice di sviluppo umano (Isu) globale sono stati “parziali, incompleti e diseguali”. L’Isu è uno strumento utilizzato dall’Onu fin dagli anni ‘90 che tiene conto dell’aspettativa di vita, dell’istruzione e del reddito pro capite. La Svizzera, in testa alla classifica di quest’anno, ha ottenuto un punteggio di 0,967, mentre il Sud Sudan è a quota 0,381. “Dopo 20 anni di progressi costanti, la disuguaglianza tra i paesi ai vertici superiori e inferiori dell’ISU ha invertito la rotta, aumentando ogni anno a partire dal 2020”, sottolinea il rapporto.

L’impatto delle perdite di sviluppo umano è evidente in Afghanistan e Ucraina: l’Isu afghano ha subito una battuta d’arresto di ben 10 anni, mentre l’indice ucraino è sceso al livello più basso dal 2004. «Se si prende [l’indice] come media di tutti i Paesi, si vede un percorso di ripresa - ha dichiarato Steiner - Ma quando si guarda più da vicino si tratta di una ripresa particolare dei Paesi ad alto reddito. Non si tratta ancora di una ripresa per i Paesi a basso reddito e meno sviluppati». Si tratta di un miglioramento “profondamente diseguale”.

Se le Nazioni ricche registrano livelli di sviluppo umano da record, infatti, la metà dei Paesi più poveri del mondo rimane al di sotto del livello di progresso pre-crisi. “Quasi il 40% del commercio globale di beni è concentrato in 3 o meno Paesi”, spiega il rapporto, e nel 2021 la capitalizzazione di mercato di ciascuna delle tre maggiori aziende tecnologiche del mondo (ovvero il valore delle loro azioni in circolazione sul mercato) ha superato il Prodotto interno lordo (Pil) di oltre il 90% dei Paesi di quell’anno.

«L’incapacità dell’azione collettiva di far progredire gli interventi sul cambiamento climatico, sulla digitalizzazione o sulla povertà e la disuguaglianza - spiega Steiner - non solo ostacola lo sviluppo umano, ma peggiora anche la polarizzazione e erode ulteriormente la fiducia nelle persone e nelle istituzioni di tutto il mondo».

L’azione collettiva internazionale è ostacolata da un emergente “paradosso della democrazia”: mentre 9 persone su 10 in tutto approvano la democrazia, è aumentato il numero di chi appoggia leader che potrebbero minarla. Per la prima volta, si tratta di più della metà degli intervistati a livello globale. 5 persone su 10, inoltre, sostengono di non avere alcun controllo o avere un controllo limitato sulla propria vita e il 68% ritiene di avere scarsa influenza sulle decisioni del proprio Governo.

«Il Covid ci ha insegnato in modo molto brutale il prezzo della disuguaglianza - ha spiegato Steiner - Ha dimostrato quanto velocemente un fenomeno innescato clinicamente possa trasformarsi in una serie di effetti a catena sociali ed economici. La polarizzazione, i profondi dibattiti sulla fiducia o la mancanza di fiducia nelle nostre istituzioni statali, gli impatti economici: questi fattori hanno amplificato i sentimenti di abbandono per molte persone. Di conseguenza molti si sono rivolti a un discorso politico più radicalizzato e le narrazioni più populiste sono diventate al centro della scena».

Il populismo, sostiene il rapporto, è “politicamente distruttivo ed economicamente molto costoso”: a 15 anni dall’insediamento di un Governo populista, spiega l’Undp, un Paese registra tassi di crescita del Pil più bassi del 10% rispetto a quelli dei Paesi in cui questi Governi non si sono insediati.

Le principali sfide che lo sviluppo globale dovrà affrontare saranno il crescente populismo, la “globalizzazione mal gestita” e la militarizzazione. I bilanci della difesa, ha spiegato Steiner, «aumentano di anno in anno, mentre i bilanci per lo sviluppo, la vera moneta che permette di aiutare i Paesi più poveri a investire nella cooperazione, vengono tagliati. Questa è una ricetta per un futuro molto più oscuro».

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