Ambiente

Non tutti i populisti sono negazionisti ma tutti i negazionisti sono populisti

Un aspetto pervasivo dell’opinione pubblica sul climate change è la sua crescente polarizzazione lungo linee di partito. La disinformazione compromette l’accettazione dei problemi circa il clima. Capiamo come
Credit: iStock
Ella Marciello
Ella Marciello direttrice comunicazione
Tempo di lettura 8 min lettura
20 maggio 2023 Aggiornato alle 06:30

Negli ultimi 30 anni, le prove che gli esseri umani siano la causa del climate change sono diventate inequivocabili, come conferma circa il 99 % degli esperti .

(secondo Wired, il 100%)

Il clima viene alterato dalle emissioni di CO2 e altri gas serra, principalmente dalla combustione di combustibili fossili e, nonostante il pervasivo accordo della comunità scientifica e le conseguenze misurabili del cambiamento climatico, il pubblico in moltissimi Paesi rimane ancora parzialmente convinto che il cambiamento climatico possa non rappresentare un rischio o un problema contingente.

Un sondaggio condotto dal King’s College di Londra sulla percezione della crisi climatica in sei Paesi europei rivela che gli italiani sono i più consapevoli della dimensione antropica del cambiamento climatico e sono tra i più preoccupati, con l’82% di accordo con la visione per cui gli esseri umani siano i responsabili. Ma ci sbagliamo, più o meno come gli altri Stati europei, riguardo il consenso della comunità scientifica.

Per noi, solo il 68% sposerebbe la tesi del ruolo umano mentre in realtà il consenso è quasi assoluto, circa il 99.9%.

Soltanto un italiano su 10 crede che l’affermazione “il cambiamento climatico è principalmente causato dall’attività umana” sia falsa che, sommato all’8% di chi è incerto, arriva al 18%. In definitiva, circa un quinto della popolazione non crede che l’impatto degli esseri umani sia la causa del climate change. Quindi, probabilmente, ha più difficoltà ad accettare le soluzioni per affrontarlo.

Poco più del 50% degli italiani, inoltre, è convinto che subirà personalmente l’impatto della crisi climatica entro i prossimi dieci anni e il 53% è sicuro che le compagnie fossili ci stiano tenendo nascoste tecnologie che permetterebbero di dire addio all’uso di diesel e benzina.

Un aspetto pervasivo dell’opinione pubblica sul climate change è la sua crescente polarizzazione lungo linee di partito: l’analisi dei fattori che contribuiscono a questa polarizzazione è cruciale per mappare il panorama psicologico, cognitivo e sociologico su cui si dispiegano la disinformazione climatica e quindi le potenziali contromisure. La polarizzazione politica è particolarmente acuta e riflette due componenti principali: in primo luogo, un’associazione pervasiva e globale tra opinioni politiche di destra e scetticismo climatico e, in secondo luogo, azioni specifiche che coinvolgono parti della leadership politica ed economica mondiale.

Per quanto non vogliamo pensarci, affrontare il cambiamento climatico richiederà una trasformazione dell’economia su scala globale e, sebbene esistano numerosi strumenti per la mitigazione del clima, i tagli richiesti alle emissioni di CO 2 non potranno essere raggiunti senza alcune nuove politiche o normative - dalle tasse sul carbonio ai controlli espliciti delle emissioni - che trasformeranno un’economia basata sui combustibili fossili in un’economia basata su fonti di energia rinnovabili.

Questo cambiamento rappresenta una sfida profonda per le persone la cui identità personale e le cui visioni del mondo si basano o sono legate all’economia del libero mercato. Non sorprende, quindi, l’associazione tra visioni libertarie o di estrema destra con il rifiuto dell’idea che il cambiamento climatico esista.

Le recenti ondate populiste che si sono diffuse in tutto il mondo hanno contribuito alla disinformazione sul clima perché portatrici di una visione manichea di un conflitto binario tra il popolo “virtuoso” e una non meglio specificata “élite” corrotta. Le “élite” sono costruite in modo diverso in contesti diversi e spesso includono istituzioni consolidate come i media mainstream, la magistratura, accademici ed esperti. La negazione del climate change è quindi diventata un attributo distintivo di molti movimenti populisti e partiti e attori europei di estrema destra.

Non tutti i populisti sono negazionisti del clima ma tutti i negazionisti del clima sono populisti.

Un recente studio condotto nel Regno Unito ha identificato gli elettori che avevano convinzioni populiste sulla politica. Questi elettori populisti erano significativamente meno propensi a concordare sul fatto che il riscaldamento globale è causato dall’azione umana e meno propensi a sostenere misure per proteggere l’ambiente.

Dal 1990 il numero di Paesi con leader populisti è passato da 4 a 20. Il più noto, chiaramente, è stato il Presidente Donald Trump che, tra le tante affermazioni controverse, aveva al novero quella i cui ribadiva che «il riscaldamento globale è stato creato da e per i cinesi per rendere la produzione statunitense non competitiva».

In Brasile, il Presidente Jair Bolsonaro ha allentato i controlli sul disboscamento in Amazzonia, che ha portato gli agricoltori ad accelerare la deforestazione tagliando e bruciando. A metà del 2019, l’analisi satellitare dei grandi incendi in Amazzonia.

I populisti di destra, sempre in relazione alla visione contrapposta tra popolo ed èlite, inseriscono in quest’ultima anche gli scienziati. Il leader olandese di estrema destra Thierry Baudet si è scagliato contro “l’isteria del cambiamento climatico”. Gli alleati del leader ungherese Viktor Orbán hanno incluso scienziati in un elenco di persone che definisce “mercenari” del miliardario filantropo George Soros.

La retorica populista infatti è spesso allineata con le teorie del complotto: entrambe offrono lo stesso schema binario per comprendere gli eventi e una simile visione del mondo polarizzata, che trova il suo veicolo espressivo nella retorica della “minaccia esterna” al gruppo di appartenenza. Questa retorica, per altro, è alla base di tutte quelle fobie che fobie non sono: xenofobia, omofobia, transfobia etc. Odio mascherato da paura.

Le teorie complottistiche ci offrono una via di fuga semplice da quel consenso che può essere interpretato come il riflesso di una cospirazione tra scienziati e scienziate che avrebbero “secondi fini”. Ma esse sono problematiche per almeno due motivi.

Il primo: è dimostrato che la semplice esposizione alle teorie del complotto diminuisce le intenzioni delle persone di agire attivamente. Il secondo: fake news e teorie del complotto sono difficilissime da sfatare una volta che hanno avuto appiglio nella mente delle persone, a causa della loro natura “autosigillante”. La prova contraria è, spesso, interpretata come una conferma.

Tutte queste variabili hanno effetto in un contesto politico e retorico modellato dai media e da esponenti politici, influenzando la selezione delle fonti in relazione a chi ci appare più forte o credibile mediaticamente.

Un esempio? Le auto elettriche.

Il capitalismo adora le auto elettriche perché è una iniziativa che gioca con la fantasia ideologica secondo cui tutti i problemi possono essere risolti sul mercato. Facciamo caso al trattamento che viene riservato a Elon Musk: un eroe contemporaneo, un genio visionario, posto su un piedistallo che avalla quella visione del mondo che viene invalidata se non si riuscirà a trovare un modo profittevole di risolvere le questioni.

Ma a dire la verità, ai veicoli elettrici viene dato molto più credito di quanto meritino. Sì, è un’iniziativa positiva e i veicoli elettrici hanno un ruolo da svolgere, ma è anche incrementale e non affronta realmente il problema urgente che dobbiamo affrontare oggi.

I veicoli elettrici sono una piccola fetta del mercato automobilistico globale.

Ci sono circa 1,3 miliardi di automobili sul Pianeta, di cui 11 milioni sono elettriche, ovvero l’1% . L’anno prossimo si prevede che ci saranno vendite di 3 milioni di veicoli elettrici su 70 milioni, ovvero il 4% .

Di certo, teorie complottiste, disinformazione e fake news non appaiono spontaneamente ma attraverso reti coese e ben finanziate, come a esempio la pubblicazione di testi ambientalmente scettici, che possono essere ricondotti a tink tank conservatori. Più del 90% di questi libri pubblicati negli Usa sono stati collegati a gruppi di riflessione allineati e una simile proporzione non è stata sottoposta a peer review.

La disinformazione climatica è accompagnata da effetti percepibili sui comportamenti delle persone e sugli atteggiamenti pubblici perché compromette in modo dimostrabile l’accettazione dei problemi riguardanti il clima. Anche solo una manciata di dati fuorvianti, spesso usati da coloro che si definiscono “scettici”, abbassa il percepito della gravità del problema, anche se le stesse persone vengono poi in contatto con dati corretti. Se alle persone vengono presentate due informazioni contrastanti, le due possono annullarsi a vicenda.

Sui social media, anche solo leggere commenti complottisti altera gli atteggiamenti delle persone e, su Youtube, il numero di visualizzazioni di un video influenza la percezione dell’importanza (o meno) del climate change.

Come riconoscere quindi disinformazione e fake news?

Le strategie retoriche messe in campo hanno l’obiettivo di:

· minare e mettere in discussione il consenso scientifico

· evidenziare l’incertezza scientifica e chiedere come condizione la certezza

· attaccare singoli scienziati o gruppi di attivisti, per minare la loro credibilità

· minare le istituzioni in generale, come l’importanza della peer review

· progettare alternative pseudoscientifiche

Gli atteggiamenti sono notoriamente difficili da cambiare, in particolare se sono fondamentali per l’identità di una persona. Anche le convinzioni fondamentali sul cambiamento climatico non sono necessariamente un ostacolo: se il pubblico sostiene le energie rinnovabili e le società ottengono tagli alle emissioni, le opinioni delle persone sul cambiamento climatico non hanno alcuna conseguenza politica.

Cambiare e opinioni sulle politiche, non sugli atteggiamenti, potrebbe essere la chiave.

Leggi anche
Emergenza siccità: il fiume Po in secca a Reggio Emilia, 17 Luglio 2022
Emergenze
di Manuela Sicuro 6 min lettura