Diritti

Pro life nei consultori, presidio Non Una di Meno: «I corpi sono nostri e decidiamo noi»

Durante la manifestazione di ieri al Senato, le attiviste hanno consegnato test di gravidanza alle partecipanti per ribadire la loro posizione: «Il diritto all’aborto è sacrosanto e ogni donna deve potervi accedere perché sceglie di farlo, qualsiasi sia il motivo»
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23 aprile 2024 Aggiornato alle 15:00

Aggiornamento del 24 aprile 2024

Via libera ai “Pro Vita” nei consultori: il decreto che contiene misure aggiuntive per l’applicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha ricevuto la fiducia del Senato con 95 sì, 68 no e un astenuto. Il provvedimento contiene anche la misura che consente alle Regioni di “avvalersi anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità” all’interno dei consultori. Il decreto, che è già stato approvato dalla Camera in prima lettura, diventerà legge.

Articolo del 23 aprile 2024

Ieri, 22 aprile, davanti al Senato si è tenuto un presidio organizzato dalle associazioni femministe Casa Internazionale delle Donne e Non una di meno contro la presenza dei movimenti pro vita nei consultori; nei giorni scorsi, molti cittadini erano già scesi in piazza in diverse città italiane, come Pavia, Bologna, Imola, Asti, per protestare.

L’obiettivo: manifestare contro l’emendamento di Fratelli d’Italia che (se approvato) potrebbe aprire le porte dei consultori alle associazioni pro life, complicando l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) e minando il principio stesso di autodeterminazione delle donne.

Durante il presidio, le manifestanti hanno espresso con forza il loro sostegno al diritto all’aborto al grido di “Ho abortito, non mi vergogno”, “Mio corpo, mia scelta” e “Fuori gli obiettori da tutti i consultori”.

«Continueremo a scendere in piazza finché ce ne sarà bisogno. C’è in corso un attacco al corpo delle donne, ai diritti delle donne. Siamo qui per dire che i corpi sono i nostri e decidiamo noi. Il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza è un diritto sacrosanto e ogni donna deve poter accedere all’Ivg perché sceglie di farlo, qualsiasi sia il motivo. In uno Stato laico e democratico come il nostro bisogna accompagnare le donne in questo percorso» ha dichiarato una manifestante. «Solo ascoltando quello che hanno da dire le persone che vivono ogni giorno e che lavorano ogni giorno su questi temi si possono avanzare proposte concrete per fare davvero in modo che le donne possano autodeterminarsi», ha detto un’altra.

Ma la protesta non è stata solo un momento di indignazione, ma anche un’azione di informazione e sostegno diretto: le attiviste hanno distribuito un test di gravidanza, evidenziando l’importanza dei consultori come luoghi sicuri, dove le donne dovrebbero essere accompagnate e supportate nelle loro scelte, aborto compreso.

Le conseguenze di una simile ingerenza potrebbero essere gravi: molte cittadine potrebbero essere costrette a ricorrere a soluzioni pericolose per interrompere una gravidanza, esponendosi a rischi per la propria salute fisica e mentale: un aspetto preoccupante se consideriamo che negli ultimi anni sono stati chiusi molti consultori pubblici (ben 210). Oggi ce n’è 1 ogni 33.000 abitanti: eppure, secondo la legge, dovrebbe essercene 1 ogni 20.000.

«Il patriarcato parla fra bugie, colpevolizzazione e discriminazione facendo disinformazione su consultori, reparti di interruzione volontaria di gravidanza, maternità e calo demografico - ha detto un’altra manifestante - La verità è rappresentata dai dati».

Una questione che non è passa in secondo piano, poi, è il problema legato all’obiezione di coscienza: i dati elaborati da Non una di meno rivelano come nel Lazio il 14% degli operatori sanitari si oppone all’interruzione volontaria di gravidanza; questa situazione, unita alla carenza di strutture adeguate, crea ulteriori ostacoli per le donne che cercano di accedere ai servizi di aborto sicuro e legale.

«Dal nostro punto di vista, non solo tecnico ma di chi accompagna ad abortire e si trova ad avere a che fare con la violenza degli antiabortisti, sappiamo cosa fanno - ha spiegato una manifestante - la loro violenza ci viene riportata da persone che la subiscono o la dichiarano: persone che sono costrette a sentire il battito del feto, che si trovano cartelloni in città dove vengono definite assassine per aver deciso sul proprio corpo».

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