Ambiente

Uk: il 69% delle aziende casearie inglesi non rispetta le norme ambientali

Gli allevamenti intensivi contribuiscono per il 14% alle emissioni di gas serra globali. Ma la situazione nel Regno Unito, dove la maggior parte delle aziende non rispetta le norme ambientali, è particolarmente critica
Credit:  Robert Bye  

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23 aprile 2024 Aggiornato alle 10:00

La crisi dell’inquinamento da allevamenti di latte nel Regno Unito sta raggiungendo proporzioni preoccupanti: una recente indagine, infatti, ha rilevato violazioni diffuse delle normative ambientali da parte di numerosissime aziende lattiero-casearie del Paese, superando i confini ed estendendosi a Galles, Irlanda del Nord e Scozia.

In particolare, secondo i dati resi pubblici, il 69% delle 2475 aziende casearie inglesi, ispezionate dall’Agenzia per l’ambiente tra il 2020 e il 2021, non rispettavano le normative ambientali; analogamente, in Galles l’80% delle 83 aziende ispezionate non era conforme alle normative, e in Irlanda del Nord, il 50% delle 229 aziende non era in regola. Stesso problema in Scozia, dove il 60% delle strutture ispezionate dalla Scottish Environmental Protection Agency violava le norme ambientali.

Numeri, questi, che non possono (e non devono) passare inosservati. Ma qual è la causa? Sicuramente non si può rintracciare un unico fattore, perché sono molteplici, ma un elemento chiave è l’intensificazione della produzione lattiero-casearia, alimentata dalle pressioni sui prezzi da parte dei supermercati. In questo senso, gli agricoltori, spesso sottopagati per il loro latte, sono costretti ad aumentare il numero di bestie allevate, incidendo ulteriormente sull’inquinamento.

La pressione degli attivisti

Dunque, ora l’industria lattiero-casearia britannica si trova ad affrontare una situazione insostenibile, con gli attivisti che esercitano pressione: «I livelli di inquinamento inaccettabili causati da questa industria non sono dissimili dall’attuale crisi dell’inquinamento delle acque reflue nel Regno Unito: infrastrutture obsolete, progettate per volumi di effluenti molto minori, sono sopraffatte dalla combinazione di condizioni atmosferiche sempre più estreme e un uso sempre più intenso», racconta un attivista.

Prosegue: « Con una mandria di 50 mucche che si calcola sia in grado di emettere una quantità di inquinamento equivalente a quella di un insediamento umano di 10.000 persone, non sorprende affatto che l’industria lattiero-casearia stia imponendo un carico di inquinamento insostenibile su molti bacini fluviali in tutto il Paese».

E ancora: « Nel frattempo, si apre un altro capitolo nello scandalo dell’inquinamento fluviale britannico, i nostri impotenti regolatori continuano a vigilare con un ruolo esclusivamente consultivo, e i giganteschi gruppi di supermercati contano felicemente i loro profitti a scapito del continuo degrado dell’ambiente».

Gli attivisti, inoltre, hanno chiesto una risposta più forte da parte delle autorità di regolamentazione, esortandole ad applicare pienamente le normative antinquinamento esistenti e ad aumentare il numero di ispezioni nelle aziende agricole. Tuttavia, la carenza di finanziamenti e di personale ha limitato l’efficacia di tali misure, evidenziando la necessità di un impegno più deciso da parte dei governi nazionali.

In risposta a questa crisi, il Dipartimento per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari Rurali ha annunciato ambiziosi piani per la riduzione dell’inquinamento idrico causato dall’agricoltura, inclusi investimenti in infrastrutture per i liquami e alcuni programmi agricoli finalizzati alla promozione di pratiche più sostenibili. Promesse, queste, che però sono state accolte con scetticismo, data la storia di mancato rispetto degli obiettivi ambientali.

Il caso della Scozia

E, a proposito di mancati obiettivi, la situazione è particolarmente problematica in Scozia, con il governo che di recente ha sventolato bandiera bianca sui passi da effettuare nella lotta al cambiamento climatico, definendoli “fuori portata”.

Infatti, con un notevole ridimensionamento dei target stabiliti dall’ex Primo Ministro Nicola Sturgeon, il Governo scozzese ha abbandonato l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 75% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990: un cambiamento, questo, che rappresenta un netto passo indietro rispetto alla leadership precedentemente vantata dalla Scozia nel panorama globale delle politiche ambientali.

Il ministro dell’energia scozzese, Mairi McAllan, ha da canto suo annunciato l’introduzione di un nuovo pacchetto legislativo per raggiungere lo zero netto entro il 2045: tra le proposte, l’aumento esponenziale dei punti di ricarica per i veicoli elettrici entro il 2030, la creazione di un sistema di biglietteria integrato per il trasporto pubblico e l’organizzazione di una consultazione riguardante l’implementazione di una tassa sul carbonio sulle maggiori proprietà scozzesi, volta a incentivare il ripristino e la riforestazione delle torbiere.

Ma queste limitazioni e questi passi indietro hanno sollevato dubbi generali sulla volontà politica di affrontare seriamente la crisi climatica, evidenziando la necessità di un impegno più forte da parte dei decisori: « Nonostante tutte le strategie e le visioni del governo scozzese, i progressi tangibili nella decarbonizzazione dell’economia quotidiana, come riscaldiamo le nostre case, come ci muoviamo e il cibo che mangiamo, sono stati glaciali» ha detto uno degli attivisti.

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