Ambiente

Le associazioni verdi: “Serve una transizione ecologica per gli allevamenti intensivi”

Da Greenpeace al Wwf e altri gruppi parte una proposta di legge, con tanto di manifesto, per ridisegnare l’impatto futuro della zootecnia
Credit: Christopher Burns  

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23 febbraio 2024 Aggiornato alle 19:00

C’è un motivo se per le strade di Roma vi sarà capitato in questi giorni di vedere un gigantesco maiale di cartapesta trasportato su un rimorchio.

Quel maiale è infatti il simbolo di un messaggio - “oltre agli allevamenti intensivi” - che una serie di associazioni ambientaliste italiane, insieme, hanno voluto diffondere in questi giorni dove oltretutto, anche a livello di impatto sull’inquinamento ambientale, si è tornati a parlare di come la zootecnia pesi anche sull’aria che respiriamo.

Un messaggio che Greenpeace, Isde-Medici per l’ambiente, Lipu, Terra! e Wwf hanno trasformato in una vera e propria proposta di legge presentata nelle scorse ore in Parlamento.

Proposta che si concentra però soprattutto sul sistema della produzione di carne, basato sugli allevamenti intensivi, che secondo le associazioni ”è insostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico”, dato che come noto divora risorse naturali, dall’acqua al suolo se si pensa al foraggio, così come “spinge fuori dal mercato le piccole aziende, e solo le più grandi si arricchiscono” sostengo gli attivisti.

Scopo della proposta è dunque “fermare con una moratoria l’espansione degli allevamenti intensivi e avviare un piano nazionale di riconversione agro-ecologica del settore zootecnico”.

Gli obiettivi della proposta di legge sono articolati in diversi passaggi, ma in sostanza mirano, come si legge nel manifesto pubblico, a “tutelare la salute pubblica riducendo gli impatti degli allevamenti intensivi, a partire dalle zone a più alta densità zootecnica; tutelare le risorse naturali a vantaggio della sicurezza alimentare delle generazioni presenti e future; contribuire al rispetto dei target in materia di clima, biodiversità e inquinamento; tutelare i piccoli allevamenti virtuosi garantendo un adeguato sostegno economico e promuovere la necessaria riconversione dei grandi allevamenti intensivi, tutelando in ogni caso i diritti delle lavoratrici e lavoratori; tutelare il benessere animale”.

In poche parole si punta a un sistema produttivo più naturale, su piccola scala, capace di garantire anche guadagni “più equi per i produttori e l’accesso a cibi sani e di qualità”.

Perché secondo le associazioni ambientaliste una transizione ecologica nel comparto zootecnico è più che necessaria visti gli attuali e preoccupanti numeri del settore.

Gli attivisti denunciano infatti come “il sistema zootecnico sia responsabile di oltre due terzi delle emissioni nazionali di ammoniaca e ha conseguenze dirette sulla salute umana”.

Inoltre “l’enorme numero di animali allevati in modo intensivo nel nostro Paese, più di 700 milioni all’anno, richiede un grande uso di risorse, spesso sottratte al consumo diretto umano: due terzi dei cereali commercializzati nell’Unione europea diventano mangime e circa il 70% dei terreni agricoli europei è destinato all’alimentazione animale, principalmente a coltivazioni come il mais che richiede tantissima acqua, una risorsa sempre più scarsa”.

Non solo, perché “l’80% dei fondi europei per l’agricoltura italiana finisce attualmente nelle casse di appena il 20% dei beneficiari. Il sistema, di fatto, penalizza le piccole aziende e favorisce quelle di maggiori dimensioni: secondo dati Eurostat, in poco più di dieci anni (tra il 2004 e il 2016) l’Italia ha perso oltre 320.000 aziende, ha assistito a un calo del 38% delle aziende più piccole, a un aumento del 23% di quelle più grandi e del 21% di quelle molto grandi”.

A partire da queste cifre si deve aprire un ragionamento, sostengono da Greenpeace sino al Wwf, per una “transizione ecologica di quelle grandi e medie attraverso un piano di riconversione del sistema zootecnico italiano finanziato con un fondo dedicato e prevedendo nell’immediato una moratoria all’apertura di nuovi allevamenti intensivi e all’aumento del numero di animali allevati in quelli già esistenti”, transizione “che richiede una riduzione dei consumi di carne e di prodotti di origine animale provenienti da allevamenti intensivi, considerando che il consumo medio di carne in Italia è superiore a quello consigliato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Il cambiamento non può che partire da un freno all’ulteriore espansione dei maxi-allevamenti intensivi, specie nelle zone che già subiscono le conseguenze ambientali e sanitarie di un eccessivo carico zootecnico”.

Come hanno dichiarato le associazioni riunite e sostenute da diversi parlamentari, “la nostra proposta si rivolge ai soggetti istituzionali, economici e sociali, affinché tutte le parti siano impegnate per garantire la piena tutela dell’ambiente, della salute pubblica e dei lavoratori. Si tratta di una normativa che offre agli allevatori, soprattutto ai più piccoli, costretti a produrre sempre di più con margini di guadagno sempre più bassi, una via d’uscita che tuteli il nostro futuro e quello del pianeta. Proponiamo un piano nazionale basato su un adeguato sostegno pubblico per la riconversione in chiave agro-ecologica degli allevamenti intensivi”.

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