Ambiente

Emissioni industriali e da allevamenti, l’Italia si oppone all’Ue

Secco no del nostro Paese alla direttiva IED per regolare anche le emissioni dei ruminanti. Coldiretti affianca il ministro dell’Ambiente Fratin: “Norme troppo impattanti per allevatori e agricoltori”
Credit: Hasan Almasi
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21 marzo 2023 Aggiornato alle 10:00

L’Europa fa quadrato sulla direttiva per la riduzione delle emissioni industriali ma l’Italia, pensando ai suoi allevamenti, si mette di traverso.

Di recente il Consiglio dei ministri dell’ambiente Ue ha trovato un accordo di compromesso sul testo della nuova direttiva per la riduzione delle emissioni industriali (IED), direttiva che per la prima volta include anche gli allevamenti.

La proposta originale della Commissione prevedeva che la nuova direttiva venisse applicata a tutti gli allevamenti industriali con più di 150 unità di bestiame vivo, pari a 150 unità per i bovini e soglie più alte per gli animali da allevamento più piccoli.

Di fatto l’esecutivo europeo ha inizialmente proposto di cambiare la taglia degli allevamenti sopra la quale scatta l’applicazione della direttiva emissioni industriali, abbassandola appunto a 150 capi dato che come noto gli allevamenti soprattutto legati all’industria dei ruminanti incidono fortemente a livello di gas serra.

Attraverso questo impegno, secondo la Commissione, le riduzioni di metano e ammoniaca avrebbero comportato vantaggi per 5,5 miliardi di euro e coinvolto il 10% degli allevamenti bovini, il 18% di quelli suini e il 15% di quelli di pollame.

Rispetto a quella iniziale, è però arrivata una contro-proposta della Svezia, poi approvata ieri dal Consiglio Ambiente, per innalzare le soglie a 350 capi per bovini e suini, 280 per il pollame e 350 per gli allevamenti misti.

Un compromesso che riduce di fatto le ambizioni per tagliare le emissioni ma che non è piaciuto all’Italia.

Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lussemburgo e Paesi Bassi hanno accettato il compromesso ma lamentandosi della “riduzione delle ambizioni”, così come Francia e Polonia che hanno dato l’ok seppur esprimendo critiche.

L’Italia invece ha proprio votato contro valutando la proposta della Commissione non realistica e troppo impattante per gli agricoltori.

«Non possiamo accogliere il testo - ha detto il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin - perché le soglie per i bovini sono per noi inaccettabili» e per le associazioni di categoria si tratta di una possibile direttiva “ammazza stalle”, anche nella versione più morbida proposta dalla Svezia.

Per il ministro italiano, il livello di ambizione è «eccessivo» e i criteri della direttiva «non consentono analisi costi-benefici integrate e non considerano la necessità di coordinare i tempi degli investimenti con i programmi di ambientalizzazione in atto».

Inoltre, i passaggi di testo relativi alla salute umana appaiono «confusi, rischiando di determinare una incongrua prevalenza degli aspetti sanitari rispetto a quelli ambientali e una sovrapposizione di altre normative».

Al fianco di Fratin anche Coldiretti che in una nota ha raccontato come nell’ultimo trentennio gli allevamenti italiani hanno già ridotto le proprie emissioni del 24% in controtendenza all’aumento rilevato a livello mondiale (+16%).

Basandosi su dati del centro studi Divulga, l’associazione di categoria sostiene che mentre il nostro Paese nel periodo 1990- 2020 ha abbassato di circa un quarto le proprie emissioni, il Brasile le ha aumentate del 44%, Marocco e Turchia del 23%, India del 21%, Tunisia del 18%, Cina dell’8%, Irlanda del 6% e Usa del 3%.

La nuova direttiva soffierebbe in direzione altamente sfavorevole per l’Italia e per il presidente di Coldiretti Ettore Prandini bisogna dunque «continuare la battaglia per fermare la Direttiva europea ammazza stalle, una norma insostenibile e ingiustificabile se guardiamo i dati delle emissioni».

L’approccio dell’Unione europea per Pradini è «fondato su dati imprecisi e vecchi, e rischia di provocare impatti negativi».

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