Diritti

Uk: divario economico ed educativo sono due facce della stessa medaglia

Nel Regno Unito, il divario educativo si amplia: lo dicono i risultati del General Certificate of Secondary Education. Il gap non è però un problema solo inglese: anche in Italia le differenze territoriali si riflettono sul sistema scolastico
Credit: Andy barbour
Tempo di lettura 7 min lettura
29 agosto 2023 Aggiornato alle 14:00

Il divario educativo tra il Nord e il Sud dell’Inghilterra sembra continuare ad allargarsi, come dimostrano gli ultimi risultati dei Gcse – General Certificate of Secondary Education.

Più nello specifico, i dati recenti mostrano che il divario nei voti migliori tra gli studenti di Londra e quelli del Nord-Est dell’Inghilterra si è ampliato a oltre il 10%, raggiungendo il gap più ampio mai registrato fino a oggi. Una discrepanza, questa, che ha sollevato molte preoccupazioni riguardo a un possibile “continuo ampliamento” del divario educativo tra le diverse regioni del Paese.

Inghilterra Londra-centrica?

I dirigenti scolastici delle aree in cui si sono registrate più criticità, hanno accusato il Governo di adottare politiche “Londra-centriche”, sostenendo che questo contribuisce al divario educativo esistente. Dal canto loro, i laburisti hanno sottolineato che questa situazione dimostra che gli sforzi per il “livellamento” delle opportunità educative sono stati abbandonati, portando a un ulteriore svantaggio per le comunità meno abbienti.

«È chiaro che permangono sfide significative, con politiche di recupero dell’istruzione troppo incentrate su Londra – osserva Chris Zarraga, direttore di Schools North East, associazione che rappresenta più di 1.000 scuole statali della regione – Se la politica continua a essere “taglia unica” rischiamo un ulteriore ampliamento del divario tra il Nord-Est e Londra». E conclude: «Il riconoscimento delle perenni sfide contestuali e dell’impatto della pandemia non solo sugli studenti a cui sono stati annullati gli esami è atteso da tempo».

I dati mostrano che più del 28% degli studenti di Londra ha ottenuto voti pari o superiori a 7 (equivalenti ad A o A+) nei Gcse, mentre meno del 18% degli studenti del Nord-Est ha raggiunto lo stesso risultato. Un divario che, come detto, è ora superiore al 10%, il più ampio rispetto al periodo pre-pandemia fino al 2019 e il più grande finora dall’introduzione del sistema di valutazione numerica per questo test nel 2014.

E dunque le preoccupazioni avanzate dalla Schools North East sembrano concretizzate: l’impatto sproporzionato della pandemia e il fallimento delle politiche di recupero del governo sembrano proprio aver colpito le regioni più svantaggiate, in un circolo vizioso che vede un costante inseguimento di difficoltà economiche e performance educativa.

Gli esperti hanno indicato poi un altro possibile fattore che contribuisce a questa crescente discrepanza: il livello di frequenza scolastica. I dati preliminari del Dipartimento per l’Istruzione mostrano infatti che gli studenti delle scuole secondarie di Londra hanno avuto una frequenza settimanale media più alta rispetto a quelli delle regioni come Nord-Est, Sud-ovest e Yorkshire, che hanno invece riportato tassi di assenza più elevati.

Nel complesso, si è osservato un calo generalizzato dei risultati in tutta l’Inghilterra poiché le autorità di regolamentazione hanno richiesto il ripristino degli standard di valutazione pre-pandemia, e questo ha portato a una diminuzione di oltre 4 punti percentuali nei voti migliori rispetto all’anno precedente.

Tra gli aspetti di particolare interesse, vi è il calo nei risultati delle materie scientifiche come chimica, biologia e fisica, così come nello spagnolo. Tuttavia, Nick Gibb, ministro dell’Istruzione inglese, ha sostenuto che questi risultati riflettono l’impegno a lungo termine del governo nel migliorare gli standard educativi per tutti gli studenti.

Una smentita di questa tesi arriva però da Bridget Philippson, segretaria ombra dell’Istruzione, che ha affermato che le promesse dei conservatori di migliorare l’istruzione sono morte e sepolte: «I giovani che hanno lavorato così duramente vengono delusi da un governo che non ha alcun interesse a ridurre i divari nei risultati scolastici o a innalzare gli standard educativi, e da un Primo Ministro che sembra avere più interesse a sostenere i collegi privati americani che le scuole di questo Paese».

Sulla stessa linea d’onda Becky Francis, Amministratrice delegata della Education Endowment Foundation, ente benefico che si occupa di mobilità sociale: «Il calo dei tassi di successo ha serie implicazioni per le possibilità di vita di molti studenti […] Ciò significa che ci saranno più giovani chiamati a continuare a studiare per raggiungere questo traguardo, ed è probabile che quelli provenienti da contesti socioeconomici svantaggiati avranno più difficoltà».

E mentre le autorità cerano di spiegare le ragioni dietro questo divario educativo e di prendere misure per affrontarlo, rimane chiaro che il sistema dell’istruzione inglese è ancora alle prese con le conseguenze della pandemia: i dati dei Gcse mettono in evidenza la necessità di un approccio mirato e di politiche che affrontino le sfide specifiche delle diverse regioni per garantire opportunità paritarie per tutti gli studenti, indipendentemente dalla loro posizione geografica o dal contesto socioeconomico.

Divario scolastico: un problema anche italiano

Tutto il mondo è paese. Un noto proverbio che, purtroppo, anche in questo calza perfettamente. Perché se il sistema scolastico dell’Inghilterra sembra minato dalle differenze territoriali, ecco che anche qui, in Italia, ci troviamo ad affrontare una situazione analoga.

L’offerta formativa del nostro Paese affronta ormai da tempo (se non da sempre) una serie di criticità legate alla frammentazione territoriale. E il Rapporto Asvis 2022 ne è una triste conferma: se la strada da percorrere per migliorare la qualità dell’apprendimento nel Paese, il percorso è ancora più in salita a causa degli impatti della pandemia, i quali hanno accentuato divari sociali e territoriali.

Per esempio, un aspetto chiave delle disuguaglianze territoriali nel sistema educativo italiano riguarda il tempo a scuola: come riportato dal Rapporto Svimez, solo il 18% degli studenti delle scuole primarie nel Sud Italia e nelle isole frequenta il tempo pieno, rispetto al 48% nelle regioni del Centro-Nord. Una discrepanza che si traduce in una differenza di circa 4 ore di scuola alla settimana e che, sostanzialmente, penalizza i bambini e le bambine del Mezzogiorno.

La disuguaglianza territoriale si riflette anche nella disponibilità dei servizi scolastici essenziali: nel Sud del Paese, il 79% degli studenti delle scuole primarie statali non ha accesso a una mensa, un dato che scende al 46% nel Centro-Nord. Più nello specifico, le differenze regionali spaziano dall’88% in Sicilia al 16% in Toscana.

Similmente, il 66% dei bambini delle scuole primarie del Sud non ha accesso a una palestra, con percentuali ancora più elevate in Sicilia (81%) e Calabria (83%); nel Centro-Nord tale percentuale scende al 54%.

Un indicatore critico delle disuguaglianze territoriali, poi, è il tasso di abbandono scolastico: nel Sud Italia il 16,6% dei giovani tra i 18 e i 24 anni non ha un titolo di studio o possiede al massimo una licenza di scuola media, rispetto al 10,4% nel Centro-Nord: un divario significativo che, se confrontato alla media europea del 9%, evidenzia la sfida che l’Italia deve affrontare per garantire una formazione equa e inclusiva.

Dunque, superare le disuguaglianze territoriali nell’offerta formativa dovrebbe essere un obiettivo cruciale per il nostro Paese. E questo richiede un impegno coordinato da parte di istituzioni, scuola e società nel suo complesso: solo attraverso un sistema educativo equo e accessibile si potranno affrontare queste sfide e creare un’opportunità di successo per tutti gli studenti, indipendentemente da dove vivono.

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