Economia

Povertà educativa: non possiamo più ignorarla

L’impossibilità di far fiorire i propri talenti e capacità si traduce in minori opportunità e in più profonde difficoltà emotive, relazionali, empatiche. Ecco perché è arrivato il momento di contrastarla
Credit: Yan krukau/pexels
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
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29 agosto 2023 Aggiornato alle 06:30

In risposta agli eventi drammatici che hanno popolato questo mese d’agosto, da più parti (non da ultimo, da parte di chi scrive) si sta chiedendo di investire sull’istruzione, sull’educazione sia delle persone giovani che di quelle adulte.

L’idea è quella di riprendere, certo non senza difficoltà, il concetto di povertà educativa introdotto in Italia molti anni fa da Save the Children e definito come “la privazione da parte dei bambini, delle bambine e degli/delle adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”.

La matrice è sempre economica

Partiamo da un dato: in Italia sono circa 1,4 milioni i minori che vivono in povertà assoluta, mentre altri 2,2 si trovano in condizioni di povertà relativa. E, come sempre, la crisi economica ha colpito i più fragili, che in questa congiuntura sono diventati i bambini e i ragazzi.

Non è stato sempre così, è opportuno rammentarlo: fino al 2005, le persone più indigenti erano gli anziani. Ora, la povertà assoluta diminuisce con l’aumentare dell’età (ogni volta mi viene in mente lo scambio tra Paola Cortellesi e la madre nel film Figli).

A questi primi dati vorrei aggiungerne degli altri. Nel nostro Paese, che pure fa parte del G7 (ovvero, i 7 Paesi più ricchi del mondo), 1 minore su 7 lascia prematuramente gli studi (anzi, l’Italia è in terza posizione nella Ue per quota di giovani che hanno lasciato il percorso formativo prima di conseguire il diploma o una qualsiasi qualifica professionale), circa la metà di bambini e adolescenti non ha mai letto un libro, quasi uno su 5 non pratica alcuno sport.

Anche in questo caso, si conferma il legame strettissimo tra le opportunità economiche delle famiglie in cui questi bambini crescono e le loro possibilità di educazione e crescita.

Infatti, secondo i dati Invalsi sul 2021, gli studenti e le studentesse le cui famiglie hanno un livello socio-economico-culturale più basso hanno riportato punteggi più bassi nelle prove di matematica e italiano.

Persiste il divario territoriale (e non solo)

In questo panorama, già di per sé sconfortante, è penoso rilevare che al Sud, come spesso accade, la situazione peggiora.

Un esempio? Secondo Openpolis, nel Nord-Est del Paese risiede il 18% dei minori e si trova quasi il 40% delle aree sportive all’aperto. Al Sud, al contrario, i minori rappresentano il 19% della popolazione e le aree sportive all’aperto sono solo il 10%.

Non è un tema solo italiano: stiamo leggendo in questi giorni che, secondo i risultati del Gcse (General Certificate of Secondary Education) anche in Inghilterra sta crescendo il divario educativo tra il Nord e il Sud del Paese. Ma certo, questo non può esserci di conforto. Anche perché questa appare una tendenza che si va rafforzando, anche nei Paesi ricchi.

Secondo Unicef, le disuguaglianze nel progresso educativo dei bambini sono legate al contesto familiare e si manifestano già quando i bambini entrano nella scuola dell’infanzia.

In 16 dei 29 Paesi europei per i quali sono disponibili dati, i bambini del quintile più povero delle famiglie hanno un tasso di frequenza prescolare inferiore rispetto ai bambini del quintile più ricco. E non è tutto: le differenze nell’occupazione dei genitori spiegano fino a un terzo della variazione nella capacità di leggere dei bambini all’età di 10 e 15 anni. E ancora, a parità di condizioni, i bambini di 15 anni con genitori che svolgono lavori “di status elevato” hanno molte più probabilità di proseguire gli studi superiori rispetto a quelli con genitori che svolgono lavori “di basso status”.

Bisogna ripartire dall’istruzione, ma non lo stiamo facendo

Sarebbe allora forse il caso di iniziare a prestare al tema della povertà educativa maggiore attenzione. Anche perché si tratta di un fenomeno complesso e multidimensionale, determinato non solo dal contesto economico, ma anche da quello sociale e culturale in cui vivono i minori e le loro famiglie.

Alla povertà educativa si è attribuita parte della responsabilità delle azioni dei giovani che hanno perpetrato gli orribili atti di violenza di questi ultimi periodi. E in effetti, la povertà educativa non ha solo a che fare con le possibilità economiche, come abbiamo visto, ma si riflette anche nelle capacità emotive, sociali, empatiche e relazionali delle persone.

E non cadiamo nel tranello di associare univocamente azioni ignobili come gli stupri più recenti a condizioni di marginalità socio-economica: se a esserne artefici sono spesso anche i figli delle “famiglie bene”, significa che il problema è prima di tutto irriducibilmente culturale. E come tale va affrontato.

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