Diritti

Università e salute mentale: il diritto di essere fragili e di fallire

Secondo l’Istat, il 5% dei suicidi annuali vede coinvolti gli under 24, in alcuni casi studenti: il loro benessere psicologico e fisico è compromesso da ansia, stress, pressioni e aspettative altrui, hanno spiegato a La Svolta alcuni giovani e lo psicologo Marco Crepaldi
Credit: Lena Polishko 
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28 febbraio 2024 Aggiornato alle 11:05

Come si fa a credere che la morte sia l’unica via d’uscita al senso di fallimento? Che la cura all’infelicità sia l’assenza di noi stessi? Secondo i dati Istat, il 5% dei 4.000 suicidi annuali in Italia è rappresentato dalla fascia d’età under 24 anni: ciò significa che questa percentuale comprende, anche, molti studenti.

Lo schema è, quasi sempre, simile: si comunica alla famiglia che gli esami sono stati sostenuti, che la tesi è stata consegnata o è prossima alla consegna, che si è in attesa dell’annuncio della data di proclamazione o se ne inventa una fittizia. Sono tanti i giovani che, non riuscendo più fingere, hanno posto fine alle loro vite, probabilmente anche a causa della vergogna che provavano. Altri invece provano a scappare (come Claudia Giannetto, studentessa di Napoli, che a dicembre del 2023 è stata trovata in un bed and breakfast a Roma: non possiamo sapere, però, se stesse pensando al suicidio).

Nel 2021 e 2022 è stato stimato che il 7,3% degli iscritti ha deciso di lasciare l’università soprattutto a causa della pandemia. In questo caso la via d’uscita dal malessere ha avuto sicuramente un esito più felice, poiché ha unicamente portato a un cambio di rotta nella vita di questi ragazzi, evitando la possibilità di suicidi.

Tragedie simili non riguardano solo gli studenti universitari. Qualche giorno fa un ragazzo di Ancona si è lanciato dal terzo piano dell’Istituto di Istruzione Superiore Savoia-Benincasa: la procura locale ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. Il giovane, infatti, secondo le prime indagini, aveva lasciato scritto un messaggio di sconforto prima dell’accaduto.

Un turbamento che accomuna molti studenti

«Il malessere interno è riuscito a esternarsi solo attraverso il corpo e cioè con attacchi di panico. Secondo me la soluzione per gli studenti sarebbe quella di chiedere aiuto se non sono in grado di risolvere da soli, evitare che passi troppo tempo senza aprirsi. Sottrarsi dal chiudersi come ho fatto io, temendo il giudizio altrui». Questa è la testimonianza di una studentessa (che ha chiesto di rimanere anonima) che invita i suoi coetanei a parlarne con qualcuno, perché “tenersi tutto dentro” non può che peggiorare le cose; non può che farci sentire più soli.

Secondo il questionario sottoposto dall’Università Statale di Milano, nel 2022 il 24% degli studenti ha cominciato un percorso di psicoterapia. Spesso gli studenti hanno pensato di mollare; poi hanno capito che i fallimenti non esistono e che spesso ci sentiamo soltanto incompresi da insegnati e/o genitori.

In particolare, il momento della giornata in cui i giovani dichiarano di provare più ansia è la mattina, il momento che precede lo studio. «Ogni mattina mentre lavavo i denti mi assaliva l’ansia, pensavo continuamente all’esame che avrei dovuto sostenere», ha raccontato a La Svolta una studentessa (che vuole rimanere anonima); a risentirne è in primis il nostro corpo: «Scaricavo questo malessere sul cibo, in 3 mesi ho preso 15 kg». Alcuni prendono peso, altri lo perdono, qualcuno ha la nausea: si tratta di una somatizzazione del problema psicologico.

Ma cosa ne pensano i genitori del malessere dei propri figli? «Sicuramente la felicità di un figlio viene al primo posto, ma bisogna trovare anche il tempo di perseguire i propri obiettivi, di qualunque natura siano. Oggi se il ragazzo ha difficoltà si prende il professore di ripetizioni anche all’università: all’epoca nostra avevi voglia di sbattere la testa sui libri, l’esame te lo facevi da solo. Per me mio figlio potrebbe anche lasciare gli studi e lavorare, l’essenziale è che dopo lui non recrimini», ha raccontato una madre a La Svolta (anche in questo caso, la persona intervistata ha chiesto di rimanere anonima).

Per molti genitori il benessere mentale dei figli è una priorità, ma è importante anche che si responsabilizzino, che capiscano qual è il loro obiettivo nella vita, che sia lo studio o meno. Il problema, però, è la fragilità dell’essere umano: non sempre è facile compiere determinate scelte, specialmente quando si è consapevoli dei progetti o delle aspettative che i genitori hanno nei confronti dei giovani figli.

Investire del tempo ci procura maggiore ansia

Marco Crepaldi, psicologo e presidente dell’associazione nazionale Hikikomori Italia, ha parlato nel corso della sua carriera con studenti universitari in difficoltà: «È una vita estremamente stressante soprattutto per i giovani che hanno già un profilo ansioso e che vivono gli esami orali e le scadenze burocratiche in maniera estremamente nociva per la propria salute mentale - ha spiegato a La Svolta - Nell’ultimo anno mi sono dedicato molto ai cosiddetti suicidi universitari, un fenomeno che sta diventando sempre più frequente. Il problema è che molti giovani hanno difficoltà a cambiare percorso, perché si rendono conto di aver investito già troppo tempo in quello che stanno percorrendo, nonostante comprendano che li fa star male. Questo non fa loro capire quanto la facoltà sia sbagliata».

Crepaldi paragona questi universitari in difficoltà ai giocatori d’azzardo che, dopo aver perso dei soldi, continuano a giocare sperando in una rivincita, perché fermarsi significa accettare la perdita, mentre andare avanti lascia intendere speranza. Sono (anche) i fattori tempo e soldi ad alimentare l’ansia negli studenti.

Cosa potrebbe fare il sistema universitario per intervenire in questa situazione? Lo psicologo suggerisce di limitare gli esami orali, poiché questi generano angoscia negli studenti più ansiosi, rischiando di trascinarli in sessioni di studio ossessivo e sovraccaricandoli a livello psicologico.

Inoltre, Crepaldi sostiene che i genitori non dovrebbero mettere pressione, ma lasciare scegliere liberamente ai figli il loro percorso, senza caricarli di aspettative ma costruendo una relazione di trasparenza emotiva, che consenta ai giovani di comunicare i loro disagi, senza spingerli a dover mentire.

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