Economia

Italia: nelle università crescono le neo-iscritte

Oltre la metà delle immatricolazioni negli atenei italiani è composta da donne, specialmente in corsi di studio legati alla medicina, anche se continuano a diminuire le iscrizioni in percorsi Stem
Credit: Zen Chung  

Tempo di lettura 4 min lettura
22 gennaio 2024 Aggiornato alle 20:00

Il gender pay gap è un problema particolarmente rilevante in Italia e sembrerebbe che il nostro Paese faccia molta fatica a provare a uscirne.

Non a caso, dal Global Gender Gap Report del 2023, pubblicato dal World Economic Forum, risulta che l’Italia occupa il settantanovesimo posto su un elenco di 146 Paesi. Si tratta di una perdita di 16 posizioni rispetto all’anno scorso, scendendo soprattutto nei livelli di istruzione e in potere politico.

Eppure, in un simile contesto di disuguaglianza di genere, i recenti dati del Ministero dell’Università e della Ricerca rappresentano una piccola e importantissima speranza, dato che l’incremento di giovani che scelgono di continuare gli studi iscrivendosi all’università è trainato principalmente da donne. Stando alle ultime immatricolazioni presso i vari atenei italiani, a gennaio le matricole sono cresciute del 2,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno accademico 2022/2023, così come del 2% rispetto al periodo immediatamente successivo alla pandemia.

Un aumento della capacità attrattiva delle università che si traduce in oltre 315.000 immatricolazioni (circa 14.000 in più rispetto al periodo 2022/2023) dove proprio le donne rappresentano il 56,4% delle nuove iscrizioni, pari a più di 177.000 immatricolate contro i 173.000 colleghi uomini.

Sono numeri che riempiono di nuova linfa il sistema accademico italiano, un fondamentale contributo per cercare di ridurre il profondo divario istruttivo che divide il nostro Paese dal resto dell’Unione europea, dato che rispetto agli altri Stati membri dell’Unione europea ci poniamo al penultimo posto per quota di persone tra i 25 e i 34 anni in possesso di un titolo di studio terziario (diploma di tecnico superiore, diploma accademico, laurea o dottorato di ricerca). Ma questi dati rappresentano anche una notevole risorsa per l’intero sistema economico italiano, in quanto una volta finiti gli studi i titoli che studenti e studentesse di oggi avranno ottenuto rappresenteranno la chiave per aprire molte più porte all’interno del mercato del lavoro di domani, sempre piùliquido” ma comunque ricco di occasioni.

A destare maggiore attenzione sono le facoltà di Medicina, Odontoiatria e Veterinaria, che grazie all’aumento progressivo di posti disponibili nei prossimi sette anni, hanno visto crescere le proprie iscrizioni da 33.882 a quasi 40.000, di cui oltre la metà composta da studentesse italiane. Al contrario, si mantiene costante il loro disinteresse verso le discipline Stem, espressione coniata nel 2001 dalla macrobiologa Rita Colwell che raggruppa insieme Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica. Un’area del sapere a cui le studentesse italiane si affacciano con sempre maggiore timidezza, visto il calo da 37.456 a 36.816 donne, che si riverbera nelle oltre mille immatricolazioni in meno rispetto al 2022/2023. La tendenza verso il basso delle iscrizioni femminili in questi corsi trova fra le sue molteplici origini anche una motivazione culturale, dato che spesso le ragazze faticano ad approcciarsi a queste materie proprio perché disincentivate da un retaggio maschilista che fa parte del loro background sociale e familiare secondo cui i maschi sarebbero più portati per le scienze.

Un pregiudizio completamente privo di fondamento che tuttavia continua a influenzare le scelte accademiche di migliaia di ragazze, allontanandole da un percorso di studi ricco di prospettive future e da un mercato del lavoro sempre più alla ricerca di figure professionali Stem.

Complessivamente, l’incremento di donne nelle aule universitarie è una prospettiva che dona fiducia anche nella lotta alle disuguaglianze di genere, che tuttavia appare ancora ben radicata.

Il vero paradosso infatti è che nonostante l’aumento di immatricolazioni delle donne, il loro percorso comincia a subire freni e ostacoli proprio una volta conclusa l’università o appena dopo aver concluso il dottorato di ricerca. Stando a quanto emerge dal rapporto Analisi di genere curato dall’Agenzia Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) la carriera lavorativa nel mondo accademico continua a essere una prerogativa maschile.

Nonostante gli incrementi sostanziosi di presenze femminili dietro le cattedre nel decennio 2012-2022, con il passaggio dal 34,9% al 42,3% per le professoresse associate e dal 20,9% al 27% per le ordinarie, oltre a un aumento del 4,6% di rettrici, il primato maschile fra i lavoratori delle università rimane ben saldo.

Si tratta di una differenza molto netta rispetto alla quota di docenti universitarie osservata nel resto d’Europa, dove (Lettonia esclusa) dal 2013 al 2021 gli atenei nazionali hanno visto crescere di molto la percentuale di insegnanti donne, fino a un +6% registrato in Slovenia.

Leggi anche
Parità di genere
di Costanza Giannelli 4 min lettura
Gender pay gap
di Marica Musumarra 6 min lettura