Diritti

Donne e lavoro: una lotta senza fine tra gender gap e domande inopportune

Il divario salariale è solo uno degli ostacoli che, ogni giorno, le donne devono affrontare sul posto di lavoro, dove apparire impeccabili e fare più dei colleghi per meritare la metà sembra la norma
Credit: SHVETS production
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7 gennaio 2024 Aggiornato alle 11:00

Dalle donne ci si aspetta di tutto: che siano brave madri e brave mogli, che si mostrino capaci al lavoro, che mantengano in ordine la casa, che riempiano il frigo di casa, che abbiano costantemente un aspetto curato ed elegante.

Dietro a ogni donna si nasconde un mondo, costellato di sfide e richieste quotidiane che, nella maggior parte dei casi, non vengono poste a un uomo. Non accade quasi mai, infatti, che a un uomo si chieda di lasciare il lavoro per accudire i figli, o di alzarsi presto al mattino per sbrigare le faccende domestiche. Eppure, nonostante le donne lavorino (spesso e volentieri) il doppio, se non il triplo, rispetto ai loro collehi, continuano a essere oggetto di discriminazioni di ogni tipo, sia sul luogo di lavoro, sia nella vita di tutti i giorni.

Gender Pay Gap: cos’è e qual è la situazione in Italia

Il gender pay gap è la differenza media di retribuzione oraria tra uomini e donne. Secondo i dati diffusi da Eurostat, in Italia una donna guadagna in media (almeno) il 5% in meno di un uomo. La media europea è del 12,7%.

Ma per avere un quadro ancora più chiaro e completo della situazione, bisogna dare un’occhiata al divario retributivo complessivo, che tiene conto della combinazione di tre fattori in particolare: retribuzione oraria media, media mensile del numero di ore retribuite e tasso di occupazione.

Prendendo in esame tutti questi tre elementi la differenza salariale in Italia raggiunge addirittura il 43%, a fronte di una media europea del 36,2%. Questo accade per almeno due motivi, perfettamente spiegati da un’analisi del Parlamento Europeo: minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e maggior loro impiego con contratti part-time.

Il divario salariale però è talmente abissale che queste due motivazioni da sole non bastano a spiegarlo. Ed è qui che subentrano almeno altri tre elementi:

rispetto agli uomini, le donne tendono di più a voler bilanciare carriera e famiglia; ciò vuol dire che, per potersi prendere cura dei figli, molte donne o rinunciano al proprio lavoro, o scelgono un impiego part-time;

le donne lavorano in settori lavorativi generalmente pagati meno, come sanità, assistenza e istruzione;

anche quando le donne riescono a ottenere posizioni rilevanti, diventando manager o dirigenti, guadagnano comunque meno degli uomini, ricevendo almeno il 23% in meno all’ora.

Questa situazione, piuttosto critica nel nostro Paese, non coinvolge però solo le donne italiane. Secondo i dati forniti dalla Commissione Europea, le lavoratrici in Europa guadagno il 12,7% in meno dei lavoratori, con variazioni significative tra i Paesi. Il gender pay gap è più evidente in Estonia (20,5%), Austria (18,8%) e Germania (17,6%), e meno in Slovenia (3,8%), Romania (3,6%) e Lussemburgo (-0,2%). L’Italia si piazza al quintultimo posto, con un 5%.

Per contrastare il fenomeno l’Unione Europea ha messo in campo alcuni strumenti che però al momento non sembrano essere sufficientemente efficaci.

Dal 2023, per esempio, sono state approvate delle nuove regole che cercano di contrastare il segreto salariare: ciò vuol dire che i lavoratori, sia uomini che donne, hanno il diritto di sapere in anticipo quale sarà la loro retribuzione in base alla categoria di lavoro. Al contempo, nel caso in cui la dichiarazione obbligatoria sulle retribuzioni di un ente pubblico o privato mostri un gender pay gap pari o superiore al 5%, i datori di lavoro dovranno procedere con una valutazione degli stipendi insieme ai rappresentanti dei loro dipendenti.

Infine, gli Stati membri dell’Ue sono stati invitati a introdurre sanzioni proporzionate, efficaci e dissuasive nei confronti di tutti quei datori di lavoro che non si attengono alle regole europee.

Non solo divario salariale

Come se non bastasse, ad affossare le donne nel mondo del lavoro ma non solo, sono i pregiudizi, i preconcetti e la cultura patriarcale ancora fortemente presente nel nostro Paese.

«Al mio primo colloquio di lavoro mi è stato chiesto se avessi intenzione di avere figli. Sono rimasta di sasso» racconta F., 25 anni. Dopo una laurea in Sociologia e il desiderio di lavorare nell’ambito delle risorse umane, di certo non si aspettava di sentirsi chiedere un’informazione così personale. «Subito dopo ho capito, è stato il recruiter stesso a motivare la domanda - continua - alludendo a esperienze aziendali passate: le donne con figli tendono ad assentarsi spesso e questo può provocare gravi perdite all’azienda».

Se ci fosse stato un uomo, al suo posto, probabilmente la domanda non sarebbe stata posta. Ma F. non è la sola, perché anche A. ha subìto un’ingiustizia che l’ha portata, poi a dare le dimissioni: «un capo area sarebbe andato in pensione ed ero certa che avrei preso il suo posto, dato che lavoravo in azienda da molto più tempo rispetto ai miei colleghi. Eppure la promozione è stata data a un uomo perché considerato più ‘autorevole’ rispetto a una donna».

A. avrebbe potuto denunciare o fare ricorso, ma ha preferito non farlo. Ha cambiato lavoro e oggi, per fortuna, ha trovato la sua serenità.

Non mancano poi le attenzioni che una donna deve prestare al proprio aspetto, così come racconta V., impiegata amministrativa: «mi è stato detto che dovevo indossare abiti adeguati, perché le mie mansioni mi portavano ad avere relazioni con il pubblico. Niente scollature, niente gonne corte, solo calze coprenti. Però avrei dovuto portare le scarpe con il tacco, per essere professionale ed elegante». Il dress code su un luogo di lavoro è di certo importante, ma V. ha aggiunto: «non mi sono opposta a quanto mi è stato detto, lo capivo; ma sentivo anche i commenti dei miei colleghi uomini che, passandomi accanto, mi davano della ‘vecchia’ perché indossavo un tailleur o ridacchiavano perché non scioglievo più i capelli. è stato umiliante».

La linea sottile che si interpone tra discriminazione, molestia e mobbing è davvero sottile. Si potrebbe aprire un ampio dibattito in tal senso, esattamente come spiega M., account commerciale in un’agenzia di marketing: «il mio responsabile mi ha letteralmente torturata per anni: mi riempiva di lavoro ricordandomi che, per emergere, dovevo lavorare molto più dei miei colleghi uomini. A un certo punto mi ha anche fatto capire che, se non avessi avuto voglia di impegnarmi, potevo sempre ricorrere ad altro dato che, in quanto donna, avrei potuto giocare carte interessanti».

Il mondo, spesso, non sembra essere stato progettato per le donne. Tutte noi ci sentiamo inadeguate e inopportune, a disagio, fuori luogo, inappropriate. Ma non è così. Noi donne abbiamo semplicemente il desiderio di esprimere noi stesse, di dimostrare il nostro valore e le nostre capacità. Di diventare madri senza dover rinunciare al nostro lavoro, di poterci presentare a un colloquio di lavoro senza il timore di indossare l’abito (ritenuto) sbagliato o di ricevere domande imbarazzanti. Di aspirare a un ruolo importante ricevendo il giusto compenso, di camminare a testa alta senza sentire commenti e battute in sottofondo, di essere giudicate per la bravura e non per la bellezza.

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