Diritti

Gender pay gap: -0,7% per gli aumenti delle donne

Secondo il report People at Work 2023, realizzato dall’ADP Research Institute, le retribuzioni sono cresciute in media del 6,7% per i lavoratori e del 6% per le lavoratrici. In Italia, 5,8% contro 5,2%
Credit: Wework.com
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
26 maggio 2023 Aggiornato alle 21:00

Quanto siamo lontani dall’uguaglianza di genere a livello salariale? Secondo il sondaggio People at Work 2023, condotto dall’ADP Research Institute, che realizza ricerche relative al mercato del lavoro e alle prestazioni dei dipendenti, siamo ancora molto distanti. Si tratta di un fenomeno globale: nel 2022 gli aumenti salariali sono stati in media del 6,7% per gli uomini e del 6% per le donne. E, nonostante questo gender pay gap, i lavoratori sono più propensi a ritenersi più sottopagati rispetto alle colleghe (46% vs 42%).

Lo studio annuale è stato condotto tra il 28 ottobre e il 18 novembre 2022 su 32.612 lavoratori e lavoratrici di 17 Paesi del mondo: più di 15.000 in Europa (di cui circa 2.000 in Italia), poco meno di 6.000 in America Latina, 3.850 in Nord America e circa 7.700 in Asia Pacifico. Di questi, 8.613 lavorano esclusivamente nella gig economy, il modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo, e non sulle occupazioni stabili e continuative.

La differenza sta anche nelle aspettative: gli uomini, a livello globale, pensano che la propria retribuzione aumenterà in media dell’8,5% nel corso dell’anno, mentre le donne prevedono una crescita dell’8%. Tendenza che si registra poco in Italia, dove la percentuale è al 6,36% per gli uomini e al 6,25% per le donne. Sia le lavoratrici che i lavoratori italiani che si aspettano che la propria paga aumenti nel corso dell’anno sono il 44%.

Ma nel 2022, il nostro Paese (che si posiziona nella parte bassa della classifica europea, con solo il 44% dei dipendenti che hanno ottenuto un incremento medio dello stipendio pari al 5,5%), ha registrato una crescita della retribuzione del 5,8% per gli uomini, rispetto al 5,2% delle donne. Hanno ottenuto un aumento nel 2022 il 50% degli uomini e il 36% delle donne intervistate. E coloro che si sentono sottopagate superano i colleghi: il 48% (quasi la metà!) contro il 43%.

Si tratta di una situazione a cui il Parlamento europeo vorrebbe porre fine con la direttiva approvata a marzo 2023 relativa alla trasparenza salariale, che prevede che le imprese Ue forniscano informazioni riguardo le retribuzioni e intervengano nel caso in cui il divario superi il 5%. “La mancanza di trasparenza retributiva è stata individuata come uno dei principali ostacoli all’eliminazione del divario retributivo di genere, che nel 2020 resta in media intorno al 13% nell’Ue - ha spiegato il Consiglio europeo - Il divario retributivo ha ripercussioni a lungo termine sulla qualità della vita delle donne, sul loro rischio di esposizione alla povertà e sulla persistenza del divario pensionistico, che è pari a circa il 30% nell’Ue (dati del 2018).”

La discriminazione globale, però, non colpisce solo le donne: secondo il sondaggio, “i giovani lavoratori fanno più ore di straordinario non retribuito, iniziando presto o rimanendo fino a tardi e lavorando durante le pause e i pranzi rispetto ai loro colleghi più anziani”. In media regalano 8 ore e 30 minuti di lavoro “gratuito” a settimana (nella fascia 18-24 e 25-34 anni), rispetto alle 8 ore e 3 minuti dei 35-44enni, delle 7 ore e 28 minuti dei 45-54enni e delle 5 ore e 14 minuti dei 55enni e over.

Sia i lavoratori della generazione Z, così come i più anziani, non si sentono considerati quando si tratta di aumenti di stipendio e bonus: il 50% della fascia 18-24 anni si aspetta di essere trascurata dai datori di lavoro e non prevede di ottenere un aumento di stipendio nel corso dell’anno. Idem per gli over 55 (49%). Solo un terzo (33%) della Gen Z e meno di 3 su 10 (27%) di coloro che si stanno avvicinando all’età della pensione credono che riceveranno un bonus, contro circa 2 colleghi su 5.

Ma, spiega il rapporto, “se i datori di lavoro non sono in grado di assegnare aumenti di stipendio o bonus, quale altro tipo di compenso potrebbe soddisfare i lavoratori?”. Quasi 4 su 10 si accontenterebbero di ferie retribuite aggiuntive (39%), settimane lavorative più brevi (32%), buoni per la spesa o per l’acquisto di generi alimentari (28%) o un pagamento una tantum per aiutare a sostenere il costo della vita (26%).

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