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World Mental Health Day: come sta la salute mentale?

Secondo gli ultimi dati del Ministero della Salute, nel 2021 c’erano 778.737 persone in carico nei centri di cura: le donne erano il 53,6%; gli over 45, il 67,3%. La spesa per il benessere psicologico ammontava a 3,4 miliardi
Credit: Ibraim Leonardo
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
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10 ottobre 2023 Aggiornato alle 18:00

“I bilanci sanitari devono avere un maggiore stanziamento di fondi per l’assistenza in salute mentale. In generale, i Paesi a basso-medio reddito dovrebbero aumentare la loro allocazione per la salute mentale ad almeno il 5% e i Paesi ad alto reddito ad almeno il 10% del bilancio sanitario totale”.

Era il 2018 e a parlare era la Lancet Commission sulla Salute Mentale Globale e lo Sviluppo Sostenibile, in occasione del primo Summit Interministeriale Mondiale di Londra. Sono passati 5 anni e in Italia, che rientra nei Paesi ad alto reddito, la spesa pubblica per la salute mentale non raggiunge il 3%. Nel 2021, l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati, è stata di 3,4 miliardi.

Oggi, 10 ottobre, si celebra la Giornata mondiale della salute mentale (World Mental Health Day), istituita nel 1992 dalla Federazione Mondiale per la Salute Mentale (Wfmh) e riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per promuovere la consapevolezza e la difesa del benessere mentale contro lo stigma sociale. È anche un’occasione, però, per fare un bilancio. Un bilancio che, nel nostro Paese, anno dopo anno, mostra criticità ormai croniche, mentre non si riesce ad abbattere il tabù che circonda quella che per molti è ancora, semplicemente, “pazzia”.

Secondo l’ultimo rapporto del Ministero della Salute, diffuso nel dicembre 2022, nel 2021 c’erano poco meno di 780.000 pazienti in carico ai centri di cura (778.737 al netto dei dati mancanti della Regione Calabria). Le donne erano il 53,6% dei casi, una percentuale invariata rispetto all’anno precedente, mentre “la composizione per età riflette l’invecchiamento della popolazione generale, con un’ampia percentuale di pazienti al di sopra dei 45 anni (67,3%)”. La più alta concentrazione si ha nelle classi d’età 45-54 anni e 55-64 anni (47,1%). Sopra i 75 anni, c’era una percentuale sensibilmente più alta nella componente femminile rispetto a quella maschile (9% contro 5,7%).

Anche le principali diagnosi differivano per genere, spiega il rapporto: “i tassi relativi ai disturbi schizofrenici, ai disturbi di personalità, ai disturbi da abuso di sostanze e al ritardo mentale sono maggiori nel sesso maschile rispetto a quello femminile, mentre l’opposto avviene per i disturbi affettivi, nevrotici e depressivi”. In particolare per quanto riguarda la depressione il tasso degli utenti di sesso femminile era quasi doppio (43,5 per 10.000 abitanti contro il 25,6).

A questo si aggiunge un cronico sottodimensionamento degli organici. Nelle strutture pubbliche lavorano 29.785 unità, a cui si aggiungono 11.949 persone che sono operative nelle strutture convenzionate. Rispetto ai dati del fabbisogno calcolato secondo gli standard minimi approvati dalla Conferenza Stato-Regioni a dicembre 2022, mancano oltre 13.000 medici, psicologi, educatori, infermieri e altre figure professionali.

Eppure, il nostro Paese è uno di quelli in cui la situazione è più critica. Secondo l’indagine Ipsos promossa dal Gruppo Axa sulla salute mentale pubblicata a marzo, che ha coinvolto un campione di 30.600 persone di età compresa tra i 18 e i 74 anni in 16 Paesi, l’Italia, insieme al Giappone, presenta la più bassa percentuale di persone che avvertono uno stato di pieno benessere mentale: solo il 18%, un dato in calo rispetto allo scorso anno (20%).

Rispetto al 2022, però, diminuisce anche lo stigma sull’argomento e cresce la propensione a prendersi cura della propria salute mentale: “oltre il 60% degli italiani - si legge nel rapporto - si rivolge a medici e specialisti per la diagnosi delle malattie mentali, dato in controtendenza rispetto allo scorso anno, dove l’Italia era il primo Paese europeo in classifica per numero di persone che avevano scelto la strada dell’autodiagnosi”.

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