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Tossicodipendenza: quali differenze di genere ci sono nella riabilitazione?

Antonio Boschini, responsabile terapeutico di San Patrignano, ha raccontato La Svolta quante donne ci sono nella Comunità (circa il 20%, anche madri), come affrontano le cure e quale rapporto si instaura con gli altri pazienti uomini
Antonio Boschini, responsabile terapeutico di San Patrignano
Antonio Boschini, responsabile terapeutico di San Patrignano
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12 febbraio 2024 Aggiornato alle 12:00

All’inizio sono soltanto fiori, bellissimi fiori e piante con infiorescenze, semi e petali; ma se trattati chimicamente possono produrre effetti devastanti su chi li usa, talvolta mortali. Sono le piante di coca, di marijuana e di oppio che già nell’800 venivano utilizzate da artisti e filosofi per scopi terapeutici.

Nei secoli successivi, con l’aumentare della consapevolezza circa i loro effetti dannosi, è stato introdotto una sorta di proibizionismo che non ha fatto altro che accrescerne il fascino, anche se la loro somministrazione, e soprattutto la vendita, è diventata un illecito penale.

Nel nostro Paese, intanto, ingenti quantità di droga, soprattutto eroina, vengono immesse nel mercato attraverso la criminalità organizzata. L’anno 1976 rappresenta un punto di svolta: la criminalità inizia a concentrarsi sullo spaccio di droghe pesanti, sostituendole a quelle leggere. A partire da questo momento la situazione precipita, perché l’eroina, grazie ai costi relativamente bassi, diventa una necessità per molti e in breve un’emergenza nazionale.

Le persone dipendenti dalle droghe iniziano a essere sempre più isolate, come le loro famiglie, e aspettano risposte dallo Stato che resta in silenzio e mette in atto poche e inconsistenti azioni di contrasto.

É in questo vuoto sociale e legislativo che nascono le prime comunità di recupero, in prevalenza gestite da sacerdoti; non ci sono linee guida ufficiali ma solo un approccio volto alla cura e basato sul lavoro, sulla vita comunitaria e sulla riscoperta della consapevolezza.

La comunità di San Patrignano

San Patrignano è la più grande comunità residenziale d’Europa, fondata nel 1979 da Vincenzo Muccioli, sulle colline di Rimini. Oggi è una cittadella completamente indipendente dal punto di vista economico. In 43 anni la comunità ha accolto oltre 26.000 persone garantendo loro una casa, l’assistenza medica e legale e anche la possibilità di intraprendere un percorso di studi.

In questo centro la tossicodipendenza non viene considerata una malattia cronica e incurabile, da trattare esclusivamente con i farmaci, ma una parentesi dalla quale è possibile uscire.

L’aiuto che San Patrignano offre ai suoi ospiti è completamente gratuito: la comunità riesce a sostenersi in gran parte grazie alla vendita dei tanti prodotti di qualità che escono dai suoi laboratori di formazione professionale, che impegnano le persone ospiti della struttura. La sola produzione di vini e champagne consente di coprire il 65% dei costi, che vengono integrati anche da alcuni sostenitori e dalle donazioni.

Nel 1997 le Nazioni Unite hanno riconosciuto il valore del lavoro di San Patrignano, contrassegnandola come Ong con status consultivo speciale presso il Consiglio Economico e Sociale (Ecosoc).

Al momento la comunità ospita 800 giovani e ognuno di loro è seguito da un veterano e da un educatore. Tra di loro ci sono circa 100 ragazzi e ragazze provenienti da tutto il mondo. Uomini e donne sono divisi, soprattutto a tutela di quest’ultime, che sono circa un quinto degli ospiti. Le minori hanno un’età compresa fra i 13 e i 17 anni.

Droga: un po’ di dati

La fotografia dell’Osservatorio sulle dipendenze di San Patrignano 2023, basato sull’analisi tossicologica dei 583 ragazzi e ragazze che hanno fatto il loro ingresso in comunità fra maggio 2022 e aprile 2023, rileva che la cocaina è la sostanza più utilizzata (93,5%), seguita dalla cannabis (89,2%); l’eroina si attesta al 39,8% mentre aumenta la diffusione del crack, al 65,2%.

La cocaina resta al primo posto anche secondo l’indagine sulle sostanze da cui gli ospiti della struttura si dichiarano dipendenti, pari al 39,4%. Il crack è al secondo posto con il 26,2%, l’eroina si ferma al 16,6%.

In leggero aumento anche l’utilizzo delle droghe sintetiche, come l’ecstasy, utilizzata dal 54,5% dei soggetti considerati (il dato era al 44% nel 2021), ben superiore all’eroina. Il 18,3% dei soggetti ha inoltre fatto uso di psicofarmaci, di cui oltre il 15% in maniera continuativa, mentre il 41,2% ha iniziato ad abusarne entro i 25 anni.

Rispetto agli ingressi avvenuti fra maggio 2022 e aprile 2023, si è mantenuta la stessa percentuale di uomini e donne degli anni precedenti. Le donne si sono attestate al 18,5%, mentre l’età degli ospiti della comunità è tra i 26 e i 35 anni (37,2%) con un’età media di 32 anni (fra i maschi 34 e fra le donne 28).

I nuovi ingressi riguardano l’intero Paese, con il maggior numero di subentri da Emilia-Romagna (79), Veneto (64), Lombardia e Campania (62) e Toscana (50). Sul totale complessivo, gli stranieri entrati in comunità sono stati 27, di cui 9 giunti dai loro Paesi d’origine.

La Svolta ha parlato di tossicodipendenza, comunità, sfide future e traguardi raggiunti con Antonio Boschini, responsabile terapeutico della Comunità di San Patrignano.

Come chiudete questo 2023? Ci può tracciare un bilancio, soprattutto in relazione agli ingressi delle donne in comunità?

Non ci sono grandi differenze rispetto ai mesi scorsi, abbiamo pressoché lo stesso numero di ingressi mensili. In questi ultimi giorni abbiamo avuto una decina di nuovi accessi. Le percentuali delle donne presenti si attesta intorno al 20%, mentre l’età media è di circa 16 anni. Entrano anche donne più grandi di 40 - 50 anni ma solitamente loro hanno problemi di alcolismo e quasi sempre alle spalle vite piuttosto complicate.

Ci sono differenze fra gli uomini e le donne nel percorso che devono intraprendere?

L’uso delle sostanze nelle donne pare sia in qualche modo riconducibile a situazioni traumatiche vissute nella prima infanzia o adolescenza. Prima di un trattamento legato all’uso delle droghe talvolta hanno maggiore necessità di interventi supplementari come la psicoterapia. Il loro percorso apparentemente sembra più impegnativo ma paradossalmente il loro recupero, quando avviene, è più profondo e stabile.

Che tipo di sostanze usano?

Usano soprattutto psicofarmaci ma in questi ultimi anni è aumentato anche l’uso di alcol, crack, cocaina e anche l’eroina viene utilizzata in maniera leggermente superiore rispetto agli uomini.

In Italia la droga è ancora causa di morte?

Per fortuna in Italia il rischio si è notevolmente ridotto, rispetto all’America dove sono tuttora in piena emergenza a causa di alcuni oppiacei come il Fentanyl. Quello che sta circolando adesso e in maniera clandestina ha una potenza maggiore rispetto all’eroina e un rischio più alto rispetto a altre sostanze di procurare overdose.

Le donne come affrontano la tossicodipendenza?

Sono più profonde, hanno una maggiore capacità di introspezione, sono più propense a raccontarsi, mentre con gli uomini si fa molta fatica a arrivare alla radice del problema. Le donne riescono a mantenere i progetti senza grandi difficoltà e difficilmente hanno recidive.

All’interno della comunità ci sono anche delle madri?

Certamente, molte delle donne presenti hanno figli anche minori. Talvolta entrano in comunità perché minacciate dai servizi sociali che vogliono toglierglieli. Questa è una motivazione importante, riconquistare la genitorialità le porta a fare un lavoro più impegnativo.

Nella docu-serie uscita su Netflix, SanPa, alcuni degli intervistati parlano di violenze sessuali all’interno della comunità (avvenute nei primi anni ‘90): ci può dire qualcosa al riguardo?

A me non risultano, non sono in grado di giudicare le loro parole.

Oltre alle ospiti ci sono donne volontarie e operatrici?

Il volontariato è stato un fenomeno degli anni ‘80. Nei primi 20 anni tutti erano volontari, poi venne fatta una scelta: chiunque volesse svolgere un’attività all’interno della comunità doveva essere assunto. San Patrignano ha una donna come presidente e nel suo consiglio ce ne sono altre 7, senza considerare le operatrici: le quote rosa non ci mancano.

Siete una delle poche comunità in cui vi sono due reparti uno maschile e uno femminile: come avviene la gestione?

È sicuramente una gestione complessa ma non ci sono mai stati problemi, le educatrici operano in tutta sicurezza anche nel reparto maschile, sanno che verrà bandito qualsiasi atteggiamento inopportuno o violento. Spesso fra gli ospiti invece nascono delle relazioni attraverso scambi di bigliettini. Le coppie però possono formarsi soltanto dopo un percorso: nell’ultimo periodo se ne sono formate 4 - 5 e tutti i loro componenti hanno deciso di rimanere all’interno della comunità a lavorare.

In questo momento in Italia (e nel mondo) c’è una particolare attenzione alla violenza di genere anche nei luoghi di lavoro: voi avete attuato qualche particolare politica?

Non abbiamo nessuna politica particolare, non abbiamo mai assistito a comportamenti inadeguati: si insegna il rispetto, che fa parte del percorso. Purtroppo abbiamo molti ragazzi e ragazze che provengono da fuori con ferite legate a violenze o con denunce per questo tipo di reato: qui dentro esiste un controllo sociale.

Avete nuovi progetti in fase attuativa o in previsione nel 2024?

Cerchiamo di rendere sempre più personalizzato il percorso di chi si rivolge a noi. Quello che osserviamo, a prescindere da quanto e cosa assumono, è che alla base della loro dipendenza ci sono vicende gravi che risalgono al passato. Garantire a tutti, anche a coloro che hanno sviluppato traumi, trattamenti specifici è una priorità.

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