Economia

La crisi climatica potrebbe far perdere il 4,4% del Pil ogni anno

Il rapporto di Standard&Poor’s mette in guardia sui rischi economici legati all’innalzamento delle temperature. L’impatto dei disastri ambientali sui bilanci nazionali potrebbe gravare soprattutto sui Paesi in via di sviluppo
Credit: Aidan Bartos
Tempo di lettura 4 min lettura
29 novembre 2023 Aggiornato alle 19:00

Il cambiamento climatico è un tema sempre più centrale in tanti ambiti diversi, tra cui l’economia. Dopo aver confermato la tripla B dell’Italia nella sua capacità di gestire il proprio debito nei confronti del mercato, oltre ad aver previsto una crescita dello 0,8% dell’economia europea nel prossimo anno, l’agenzia di valutazione del credito e servizi finanziari americana Standard&Poor’s ritorna con notizie particolarmente amare.

Nel suo rapporto Lost Gdp: potential impacts of physical climate risks viene messo nero su bianco il rischio sempre più concreto di perdita economica che ogni singolo Paese potrebbe subire nel caso in cui non riuscissero a contenere il riscaldamento globale nel limite dei 2 gradi, ossia la perdita “fino al 4,4% del Pil mondiale ogni anno”.

Lo stesso valore limite di gradi rappresenta l’obiettivo fissato nell’Accordo di Parigi firmato da 195 Paesi nel 2015, finalizzato a mantenere la temperatura del Pianeta entro livelli sicuri e a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Un impegno che, pur esistendo sulla carta, appare ancora molto lontano, se si osservano i dati dell’ultimo Emissions Gap Report 2023 curato dallo United Nations environment programme (Unep), secondo cui le emissioni di gas serra aumentate dell’1,2% nell’ultimo anno fanno andare il mondo fuori rotta rispetto agli obiettivi prefissati.

L’allarme lanciato da S&P si lega infatti alla concatenazione nefasta di eventi climatici aggressivi che potrebbero sorgere in presenza di un progressivo aumento del riscaldamento globale, la cui capacità distruttiva rischia di essere ben più forte della tenuta economico-finanziaria degli Stati, specialmente quelli in via di sviluppo, che hanno disponibilità liquide molto meno abbondanti.

Ne è un chiaro esempio il caso del Pakistan, colpito nell’estate del 2022 dall’alluvione più intensa degli ultimi 30 anni, con oltre 1.700 vittime, 1,7 milioni di edifici colpiti e altrettanti ettari di terreni agricoli devastati. Un disastro da oltre 30 miliardi di dollari e una spesa per risanamento e ricostruzione stimata dalla Banca Mondiale a almeno 16,3 miliardi, molto più del bilancio nazionale.

Fra le zone meno sviluppate, l’Asia meridionale è quella più fragile a livello economico, con il rischio di perdere annualmente il 12% del proprio Pil. A seguire gli stati dell’Africa sub-sahariana, Medio Oriente e Nord Africa, a rischio erosione dell’8% della ricchezza nazionale, e infine le aree più ricche del mondo, cioè Europa e Nord America, che potrebbero perdere il 2% per riparare ai danni del cambiamento climatico.

Un problema la cui azione si espande a macchia d’olio se osserviamo il core business in cui opera la stessa Standard&Poor’s, dato che i rischi legati al riscaldamento globale rientrano nei vari parametri di valutazione dei debiti nazionali delle agenzie di rating che, in caso di voto basso, potrebbe ulteriormente appesantire un’economia nazionale in crisi, impedendole di avere accesso al credito per finanziare le proprie opere.

Il rapporto S&P pone l’accento sull’importanza della prevenzione di queste spese, realizzabile esclusivamente con poderose attività di investimento in sicurezza e “misure di adattamento” mirate a contenere in tempi stretti il livello mondiale di emissione. Il tema sarà oggetto principale della Cop28, la conferenza annuale delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico che da domani, 30 novembre, avrà luogo ufficialmente a Dubai, negli Emirati arabi uniti. Un Paese che da solo rappresenta quasi il 38% della produzione mondiale di petrolio greggio.

Le premesse, dunque, non sembrano essere particolarmente rosee. Specialmente se consideriamo che alla conferenza non parteciperanno Joe Biden e Xi Jinping, vale a dire i presidenti dei 2 Stati più importanti del mondo, oltre che maggiormente inquinanti.

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