Ambiente

Sul clima siamo ancora fuori strada

La quantità di CO2 nell’atmosfera è aumentata dell’1,2% nel 2022, e l’anno in corso sarà quello più caldo di sempre con 57,4 gigatonnellate di emissioni: sono i record (negativi) che gli Stati hanno raggiunto
Credit: EPA/GEORGI LICOVSKI
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27 novembre 2023 Aggiornato alle 19:00

Il tema del cambiamento climatico, o meglio le soluzioni per affrontarlo, rappresentano da anni la carta che ogni forza politica cerca di giocarsi per garantirsi la fiducia degli elettori, specialmente quelli più giovani. La realtà dei fatti però non è campagna elettorale, e una volta saliti al potere ogni Governo si scontra con difficoltà applicative, lungaggini, incapacità culturale e polemiche sterili, mentre il mondo continua a riscaldarsi.

L’Emissions Gap Report 2023 curato annualmente dal 2010 dallo United Nations environment programme (Unep), nella sua tredicesima edizione assume un titolo particolarmente diretto: Broken Record - Temperatures hit new highs, yet world fails to cut emissions (again). A dimostrare la grave incertezza da parte degli Stati nel rispettare tutti gli obblighi pattuiti in precedenza, mentre nel frattempo l’anno corrente è il candidato principale a diventare quello più caldo mai registrato prima, viste anche le emissioni di gas serra aumentate nell’atmosfera dell’1,2% nel 2022.

Durante la presentazione del report, che anticipa la ventottesima Conferenza delle parti dell’United Nations framework convention on climate change (Cop28 Unfccc) che si terrà a Dubai a fine novembre, la direttrice esecutiva dell’Unep Inger Andersen, ha ricordato che «l’umanità sta battendo tutti i record sbagliati sul cambiamento climatico» e che probabilmente tutti gli accordi stretti dagli Stati in passato non saranno abbastanza, specialmente visto che non se ne rispettano gli obiettivi.

È il caso dell’Accordo di Parigi del 2015, in cui i firmatari hanno espresso l’impegno di mantenere l’aumento della temperatura globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali. Eppure, i contributi determinati a livello nazionale (Ndc) ossia i piani di riduzione delle emissioni forniti dai singoli paesi in conformità con l’Accordo, porterebbero con sé il rischio di instradare il mondo verso una temperatura di 2,5-2,9 °C entro il 2100.

Un lievissimo miglioramento rispetto ai 3 °C, che si prevedevano 8 anni fa, quando venne firmato l’accordo di Parigi, ma comunque poco sostanzioso.

In particolare, il report prevede che presi singolarmente i Paesi non riusciranno a ridurre le emissioni interne, raggiungendo per il 2030 livelli di gas serra del 27% (Canada), 19% (America), 11% (Gran Bretagna) e 9% (Unione europea).

Stando a quanto emerge dal report, fin dall’inizio del mese scorso sono stati rilevati 86 giorni consecutivi con temperature superiori a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, con picchi di 1,8 °C registrati a settembre e un nuovo record di 57,4 gigatonnellate di anidride carbonica (GtCO2e) raggiunte. Uno scenario che sarebbe radicalmente capovolto nell’eventualità in cui tutti gli Ndc (oggi 149) fossero rispettati, in cui sarebbe possibile limitare l’aumento a 2 °C, riducendo le emissioni di circa 5,0 GtCO2e annualmente entro il 2030. Un livello purtroppo utopistico, in quanto la possibilità di raggiungere risultati ottimali, stando ai ritmi attuali, rappresenta solo il 14% delle probabilità.

Ad alimentare ulteriormente questo clima di inaffidabilità continua a pesare il tardivo finanziamento di 100 miliardi di dollari all’anno a supporto della transizione energetica dei paesi in via di sviluppo –che rappresentano da soli più dei due terzi delle emissioni globali - fissato originariamente nel 2009 nell’ambito della Cop15 di Copenaghen in modo da partire direttamente nel 2020 con le erogazioni. Un obiettivo mancato da parte dei Paesi più grandi e ricchi, che secondo le stime dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nel 2019 avevano messo insieme a malapena 79,6 miliardi di dollari, anche se -stando ai dati preliminari della stessa Ocse - il target di 100 miliardi sembra essere stato «probabilmente» raggiunto nel 2022.

La soluzione proposta dalla direttrice dell’Unep parte da un elemento chiaro e inconfondibile: la coerenza. «I governi non possono continuare a impegnarsi a ridurre le emissioni nell’ambito dell’Accordo di Parigi e poi dare il via libera a enormi progetti sui combustibili fossili», commenta Andersen, secondo cui la transizione energetica passa attraverso azioni ambiziose a favore di «trasformazioni di sviluppo a low-carbon a livello economico, con una forte attenzione all’energia».

Un serio cambio di passo è tutto ciò che serve a un mondo fuori rotta, specie in un momento dove tutti i record peggiori vengono infranti con estrema facilità, creando un terreno sempre più tortuoso su cui lavorare. Un vero e proprio «fallimento della leadership, un tradimento dei più vulnerabili e un’enorme opportunità mancata», ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.

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