Ambiente

Il Pakistan è sott’acqua

Almeno 1.136 persone sono morte dall’inizio della stagione dei monsoni, causata dal climate change. Gli Stati che inquinano di più dovrebbero risarcire il Paese?
Un uomo attraversa un'area allagata in seguito alle forti piogge nel distretto di Nowshera, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, in Pakistan.
Un uomo attraversa un'area allagata in seguito alle forti piogge nel distretto di Nowshera, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, in Pakistan. Credit: EPA/BILAWAL ARBAB
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
30 agosto 2022 Aggiornato alle 17:00

La crisi climatica continua a mietere vittime. Questa volta è il Pakistan a pagarne le conseguenze, con una serie di inondazioni devastanti che hanno spazzato via strade, case, raccolti e hanno ucciso più di un migliaio di persone.

Il governo ha attribuito al climate change la pioggia estiva che ha colpito il Paese, la più pesante mai registrata da un decennio. L’Autorità pakistana per la gestione dei disastri ha riferito che le vittime sono 1.136 ora che sono state segnalate nuove vittime a Khyber Pakhtunkhwa e nelle province del Sindh meridionale. La stagione dei monsoni di quest’anno, iniziata prima del normale, a metà giugno, è paragonabile alle devastanti inondazioni del 2010, le più mortali nella storia del Pakistan, che hanno provocato la morte di oltre 2.000 persone.

Come riporta la National Public Radio, un’organizzazione indipendente no-profit che riunisce oltre 900 stazioni radio statunitensi, la senatrice pakistana e principale funzionaria per il clima del Paese Sherry Rehman ha pubblicato un video su Twitter in cui ha detto che «al momento siamo al punto zero della prima linea di eventi meteorologici estremi, in una cascata incessante di ondate di caldo, incendi boschivi, inondazioni improvvise, molteplici esplosioni di laghi glaciali ed eventi alluvionali».

La stagione dei monsoni senza precedenti ha colpito tutte e quattro le province del paese, Belucistan, Khyber Pakhtunkhwa, Punjab e Sindh. Sono state distrutte quasi 300.000 case, numerose strade sono state rese impraticabili e le interruzioni di corrente elettrica hanno riguardato milioni di persone. Rehman ha parlato allAgence France-Presse di «un grande oceano, non c’è terra asciutta per buttare l’acqua fuori» e ha spiegato che si tratta di una «crisi globale e, naturalmente, avremo bisogno di una migliore pianificazione e sviluppo sostenibile sul campo. Avremo bisogno di colture e strutture resilienti al clima».

Il ministro degli Esteri pakistano Bilawal Bhutto-Zardari ha detto all’emittente britannica Bbc che si ritiene che un terzo delle persone uccise siano bambini, ma «stiamo ancora facendo i conti con l’entità del danno». I funzionari stimano che oltre 33 milioni di pakistani, circa una persona su sette, siano stati colpiti dall’inondazione e interi villaggi siano stati tagliati fuori, rendendo molto difficile raggiungere coloro che sono rimasti intrappolati nelle proprie case persino con l’aiuto degli elicotteri.

Il governo sta già discutendo del costo della ricostruzione, che secondo la stima preliminare del ministro della pianificazione dello sviluppo e delle iniziative speciali Ahsan Iqbal, raggiunto dall’agenzia Reuters, potrebbe superare i 10 miliardi di dollari. Per questo il governo ha chiesto aiuto finanziario alle agenzie umanitarie, ai paesi amici e ai donatori internazionali.

Sul quotidiano statunitense Washington Post si è aperto un dibattito sulla necessità che i Paesi più responsabili delle emissioni di gas serra, come gli Stati Uniti, risarciscano i Paesi che subiscono maggiormente le conseguenze della crisi climatica. È da decenni che chiedono alle nazioni che si sono arricchite bruciando combustibili fossili di fornire loro finanziamenti per i costi che devono affrontare a causa dei disastri legati al clima.

Esistono già programmi ad hoc, come l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale, che sta fornendo 100.000 dollari in aiuti umanitari al Pakistan. Ma sono cifre che non bastano a coprire i bisogni economici di Paesi quasi completamente distrutti: un rapporto di Oxfam, la confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, ha rilevato che negli ultimi cinque anni gli appelli per il soccorso in caso di condizioni meteorologiche estreme sono stati finanziati in media solo per il 54%, lasciando un disavanzo di decine di miliardi di dollari.

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