Diritti

Chi sono i repubblicani che sfidano Trump alle primarie?

Si è svolto il primo dibattito televisivo degli 8 candidati del Grand Old Party alle presidenziali 2024: Ron DeSantis, Tim Scott, Vivek Ramaswamy, Mike Pence, Nikki Haley, Asa Hutchinson, Chris Christie e Doug Burgum
Credit: EPA/JIM VONDRUSKA
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
24 agosto 2023 Aggiornato alle 18:00

Mercoledì sera a Milwaukee, nel Wisconsin, è andato in scena il primo dibattito televisivo tra i candidati alle primarie del Partito Repubblicano Usa.

Se fino a qualche tempo fa quasi tutti davano per scontato che a sfidare i Democratici (e quasi certamente Joe Biden) alle elezioni presidenziali del 5 novembre 2024 sarebbe stato Donald Trump, le sue ultime vicende giudiziarie stanno facendo vacillare tale certezza; e per questo è fondamentale non perdere di vista gli altri pretendenti al posto che sembrava essere suo quasi di diritto.

Forse, proprio per i nervosismi e malumori che questo cambio di scenario comporta, il Tycoon (comunque ancora largamente in testa nei sondaggi) non era presente al dibatto, animato invece dagli altri 8 candidati, arrivati a questo step dopo mesi di campagna elettorale nei rispettivi territori e l’adempimento a regole di selezione piuttosto stringenti e in alcuni casi discutibili, come l’entità delle donazioni ricevute.

A rispondere alle domande del giornalista di Fox News Bret Baier sono stati Ron DeSantis (governatore della Florida), Tim Scott (senatore), Vivek Ramaswamy (imprenditore), Mike Pence (ex vicepresidente), Nikki Haley (ex ambasciatrice degli Stati Uniti presso l’Onu), Asa Hutchinson (ex governatore dell’Arkansas), Chris Christie (ex governatore del New Jersey) e Doug Burgum (governatore del North Dakota).

Come normale che fosse, questo primo dibattito non è servito tanto a mettere sul tavolo le proposte concrete di ogni singolo candidato, quanto piuttosto a farne emergere i profili. Conosciamo dunque gli 8 repubblicani che hanno lanciato il guanto di sfida a Donald Trump.

Ron DeSantis

Il governatore della Florida è stato a lungo considerato il principale rivale di Trump, arrivando secondo nella maggior parte dei sondaggi nazionali.

Nelle ultime settimane sembra però aver perso terreno e consenso, in parte per la gestione piuttosto dispendiosa della sua campagna elettorale che lo ha costretto a licenziare diverse persone dello staff, in parte per alcune uscite giudicate poco felici. Ultima in ordine di tempo quella relativa alla schiavitù e ai suoi lati positivi.

Al di là delle piccole bufere momentanee, c’è però da credere che le sue posizioni siano largamente popolari nell’elettorato repubblicano, visto che il successo maturato in Florida si deve, oltre che a una notevole ripresa economica dello Stato, anche alle continue campagne contro la comunità Lgbtq+, allo smantellato di molti programmi di inclusione e di protezione delle minoranze e alla presa di posizione sull’aborto, con la firma del divieto oltre le 6 settimane di gestazione.

Tim Scott

Anche il senatore della Carolina del Sud, unico senatore repubblicano afroamericano, sembra avere qualche chance di entrare da protagonista nella bagarre.

Avendo scelto di concentrare la gran parte della campagna elettorale nello Stato del sud, ha raccolto consenti soprattutto tra gli elettori bianchi evangelici. La sua candidatura è piuttosto apprezzata da parte dell’establishment conservatore che lo considera un repubblicano alla vecchia maniera perché molto più concentrato sulle questioni economiche piuttosto che su quelle sociali e civili.

Vivek Ramaswamy

L’imprenditore farmaceutico e biotecnologico 38enne di origini indiane è il candidato cresciuto di più nelle ultime settimane, nonostante la sua estraneità alla politica fino a poco tempo fa.

Noto soprattutto per essere un attivista anti woke (persone attente a cause sociali), sostiene che il cambiamento climatico sia una truffa e che le battaglie sociali, etiche, razziali e ambientali siano inutili ostacoli alla crescita economica dei Paesi; è autore del libro Woke, Inc.: Inside Corporate America’s Social Justice Scam.

Nel corso del primo dibattito televisivo è stato il candidato che si è fatto maggiormente notare, anche per aver speso parole di sostegno a Trump e alle sue politiche e aver dichiarato di essere a favore della cessazione del sostegno militare ed economico all’Ucraina. Sue anche molte proposte decisamente controverse, tra le quali l’eliminazione dell’FBI.

Mike Pence

Nonostante la popolarità immensamente più alta di molti sfidanti, quello che è stato il vicepresidente di Trump ha faticato a raccogliere il numero sufficiente di donatori che gli hanno permesso di qualificarsi per il primo dibattito. A pesare sul poco entusiasmo che suscita nella gente è probabilmente la sua ambiguità proprio nei confronti dell’ex presidente, appoggiato durante i 4 anni di mandato e oggi fortemente criticato. Questo comporta anche un programma poco chiaro e giudicato da molti ininfluente.

Nikki Haley

Unica donna presente alla corsa alla leadership del partito repubblicano, non ha certamente sposato la causa delle battaglie di genere ma, come immaginabile visto il posizionamento politico, ha puntato al conservatorismo.

Antiabortista convinta, ha ricevuto elogi da un importante gruppo anti-aborto, che l’ha definita “dotata in modo unico nel comunicare da un punto di vista pro-vita il punto di vista della donna”.

Essendo stata ambasciatrice di Trump alle Nazioni Unite per circa 2 anni, nei suoi comizi cita spesso la sua esperienza internazionale, concentrandosi sulla minaccia che la Cina rappresenterebbe per gli Stati Uniti.

Asa Hutchinson

L’ex governatore dell’Arkansas, ha il profilo del repubblicano della vecchia scuola e le sue idee sono giudicate tra le più estreme di tutti i candidati, soprattutto per quanto riguarda i diritti civili.

Durante il suo mandato, a esempio, l’Arkansas ha varato una delle leggi più dure per quanto riguarda l’aborto, sempre vietato anche in caso di stupro, incesto o gravi malformazioni del feto.

In questa campagna elettorale si è differenziato da molti dei suoi rivali principalmente per la sua disponibilità a criticare apertamente Trump. Di lui però si parla pochissimo ed è molto probabile che non lascerà il segno in questa campagna elettorale.

Chris Cristie

L’ex governatore del New Jersey aveva già sfidato Trump nelle primarie del 2016 e questa volta ha aperto la sua campagna presentandosi come l’unico candidato pronto ad affrontare l’ex presidente, che ha definito un codardo e ha invitato a «presentarsi ai dibattiti e a difendere il suo operato».

Nonostante alla fine avesse lavorato per lui, a oggi è considerato il più acerrimo nemico del Tycoon, anche se le sue chance di ritagliarsi sul serio un posto al sole sono scarse.

Doug Burgum

Ricco ex imprenditore di software al suo secondo mandato come governatore del Nord Dakota, ha usato la fortuna economica di cui dispone per rilanciare la campagna elettorale, che tuttavia stenta a decollare.

La sua presenza al dibattito è stata a rischio fino all’ultimo minuto a causa di un infortunio al tendine d’Achille rimediato il giorno prima mentre stava giocando a basket con i membri del suo staff elettorale.

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