L’Ucraina verso la privatizzazione

Gli anni ’90 segnano l’ingresso della parola “privatizzazione” nel vocabolario collettivo degli italiani. Oltre al terremoto politico e giudiziario di Tangentopoli, l’uscita dell’Italia dal Sistema monetario europeo, seguita dalla crisi valutaria del 1992, hanno fatto emergere i numerosi problemi che attanagliavano la gestione delle finanze pubbliche e delle imprese statali, costringendo il Governo dell’epoca ad alimentare con più forza il processo di privatizzazione (già in vigore da un decennio) con la trasformazione di molte aziende pubbliche in società di capitali vendute poi a investitori privati.
Di conseguenza, gli asset passavano da una proprietà pubblica, nelle mani dello Stato e quindi dei contribuenti, a una privata che avrebbe comunque dovuto assicurare il raggiungimento di quei fini collettivi di benessere sociale a cui quell’impresa era destinata. Oggi stiamo assistendo a un processo simile anche in Ucraina.
In realtà, già nel 2019 il neoeletto presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelenskyj annunciava una massiccia fase di privatizzazioni «di dozzine di società attrattive per gli investimenti, l’introduzione di regole operative efficienti nei mercati dell’energia e la liberalizzazione dei processi aziendali» in un’ottica di forte semplificazione burocratica che potesse rendere accattivante il Paese per i capitali stranieri.
Oggi l’Ucraina si sta attivando con lo stesso intento, a distanza di 4 anni, dei quali quasi 2 completamente avvolti dalla tragedia della guerra, con bombardamenti e disastri che hanno portato oltre 350 miliardi di danni e che, probabilmente, raddoppieranno quando si dovrà parlare finalmente di ricostruzione. Una parola che gli ucraini aspettano da tempo, ma a cui il Governo sta già pensando con un nuovo piano di privatizzazioni finalizzate a raccogliere investimenti stranieri e velocizzare il processo di ripartenza, oltre che a recuperare denaro per sostenere le ingenti spese militari.
Ad accelerare il ricorso a questa scelta pesa l’esigenza espressa dal primo ministro ucraino Denys Šmyhal’ di «ridurre al minimo la quota dello Stato nell’economia, pur mantenendo il controllo statale in settori strategici e importanti per la sicurezza dell’Ucraina»
Il modello è piuttosto semplice. Una legge ad hoc ha predisposto la realizzazione di un sito specifico gestito direttamente dal Fondo del demanio dove poter esplorare tutte le proprietà in vendita, dotate di descrizione, specifiche tecniche e un prezzo di listino spesso scontato. La vendita si attua con un meccanismo d’asta a cui possono partecipare tutti gli interessati che abbiano compilato l’apposita richiesta di iscrizione.
Le imprese pubbliche disponibili sul sito sono suddivise in base al prezzo. Fra le proprietà “meno costose” ci sono gli edifici della cava del villaggio di Sakhkamin (vendute a 350.000 dollari, già scontate al 50%) oppure la Ukragroleasing, che fornisce macchinari agricoli in leasing e ha sede nel centro di Kyiv.
Se raggiungiamo i siti di fascia alta (acquistabili esclusivamente con l’ausilio di un consulente) possiamo trovare la fabbrica di ammoniaca del porto di Odessa e altri impianti situati nelle zone più colpite dalla guerra ma di altissimo valore strategico come la Zaporizhzhiaoblenergo, che grazie ai suoi 37.000 km di linee elettriche fornisce energia a 800.000 utenti nella regione di Zaporizhia.
Un business che solo nel 2021 ha portato nelle casse dello stato la cifra record di 138 milioni, in cui gli Stati Uniti figurano come prezioso assistente attraverso l’ Agenzia per lo sviluppo internazionale (Usaid); la stessa agenzia governativa che negli anni ’90, dopo la caduta del comunismo e il crollo dei regimi socialisti, ha coadiuvato il processo di privatizzazione intrapreso da molti Paesi dell’ex blocco sovietico per trasferire le imprese statali in mano di privati in un’ottica di liberalizzazione e modernizzazione economica, tra i quali spicca proprio la Russia.
Quella importante stagione di privatizzazione ha portato numerosi effetti nelle economie dei singoli Paesi, tra cui una riduzione del controllo statale con un contestuale ingresso di nuovi attori economici privati sul mercato e investitori esteri che, scrutando nell’Europa dell’est nuove possibilità di guadagno, hanno portato non solo ingenti flussi di denaro, ma anche la tecnologia occidentale, con un impatto significativo sui livelli occupazionali e sulla crescita economica.
Nonostante ciò, sarebbe riduttivo vedere nella privatizzazione del settore pubblico la “panacea” per tutte le ferite di un Paese ancora oggi in guerra, dove la mancanza di veri e propri spiragli di pace potrebbe disincentivare il mercato canalizzare i propri capitali. Motivo per cui il Governo Ucraino ha promesso ricompense per tutti gli investitori privati che arriveranno per primi, attirando le attenzioni di BlackRock e JP Morgan, rispettivamente il più grande investitore e la più grande banca del mondo.
Ma sono parecchi anche gli Stati interessati a contribuire alla ricostruzione post-bellica dell’Ucraina attraverso la creazione di fondi appositi e garanzie statali per le aziende che svolgeranno lavori futuri. L’Italia, dal canto suo, ha messo sul tavolo il proprio sostegno con un accordo firmato nel giugno 2022 da Confindustria (la principale organizzazione rappresentativa delle imprese manifatturiere e di servizi in Italia) “volto a attuare progetti congiunti per ricostruire l’economia del Paese, ripristinare le infrastrutture distrutte dalla guerra, attrarre investimenti e intensificare la cooperazione economica e industriale tra Italia e Ucraina”.
Rimane quindi da sperare che l’idea dell’Ucraina di diventare un vero e proprio cantiere diventi più solida e faccia il paio con nuovi possibili scenari di tregua dalle armi (o, addirittura, di pace) e che non rappresenti una mossa troppo prematura.