Economia

America latina: una miniera (non solo di metalli) a cielo aperto

Il Centro e Sud America è una regione che si sta ritagliando un ruolo sempre più importante come attrattore di investimenti. Grazie a risorse fondamentali come litio, rame, semi e carne
Credit: AP Photo/Juan Karita
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10 agosto 2023 Aggiornato alle 12:00

In un periodo di forti tensioni geopolitiche, gli investitori puntano il loro sguardo verso il continente americano, una regione ricca di materie prime.

La transizione verde in atto richiede un enorme ammontare di metalli e minerali e l’America latina ha le capacità fisiche (in quantità minore quelle infrastrutturali) per poter rispondere a questa domanda in costante crescita.

Secondo l’International Energy Agency, il numero di veicoli elettrici aumenterà di dieci volte entro il 2030, arrivando a contare oltre 250 milioni di unità.

La loro alimentazione dipende dal litio, il metallo con cui vengono realizzate le batterie e di cui vi sono numerosi giacimenti nelle regioni latine: circa il 60% del litio conosciuto si trova in queste terre, dove la sua estrazione tramite evaporazione risulta anche più economica rispetto a quella tramite perforazione di Australia e Cina.

La sua produzione è in aumento esponenziale: l’azienda cilena Sqm passerà dalle 180.000 tonnellate del 2018, circa un quarto del totale globale, alle 210.000 tonnellate entro il 2025.

L’obiettivo zero emissioni si rivela così un’opportunità per i Paesi dell’America Latina.

Le nuove tecnologie esigono un impiego di minerali ingente; per esempio, per un’auto elettrica servono quantità di rame tre volte superiori rispetto a una a benzina, mentre per installare un megawatt di capacità in un parco eolico servono quantità di metalli sei volte superiori rispetto a quelle di un impianto a gas.

La società di consulenza Wood Mackenzie stima che entro il 2040 saranno necessari almeno 575 miliardi di dollari di investimenti per soddisfare la domanda di rame, impiegato nei cablaggi e nelle turbine eoliche. Si sfregano le mani Cile e Perù, che dispongono del 30% dei giacimenti mondiali sfruttabili, ma devono fare i conti con depositi di basse profondità che corrono il rischio sempre più insistente di inondazioni.

Non solo minerali e metalli

Il tasso di crescita demografica mondiale dello 0,9% nel 2021 fa presagire che l’umanità raggiunga i 9,7 miliardi di individui entro il 2050, con problemi di sovraffollamento e di fame nel mondo.

In questo scenario entra l’America latina che, secondo Oecd-Fao, è il primo esportatore di cibo della Terra: fornisce il 60% dei semi di soia nel mercato e oltre il 30% di mais, carne bovina, pollame e zucchero. Si stima che, entro il 2040, l’export di questa regione raggiungerà i 100 miliardi di dollari con un aumento del 17%.

Secondo Unctad, i 12 Paesi del Sud America ottengono il 60% dei loro proventi dalle esportazioni di materie prime. Ciononostante, incombono alcune difficoltà strutturali che rallentano l’ingresso di investimenti.

I progetti di estrazione seguono tempi lunghissimi per l’ottenimento dei permessi e l’autorizzazione ad agire, fattore che fa cambiare rotta verso il continente africano; inoltre, si aggiungono le azioni dei governi, come il Cile, che ha portato l’aliquota fiscale massima per i minatori al 47%, o il Messico, che ha nazionalizzato i depositi di litio, disincentivando l’arrivo di fondi esteri.

Ci si domanda anche se l’arrivo di un improvviso afflusso di ricchezze possa creare dei rischi di apprezzamento delle valute nazionali e una conseguente minore competitività delle esportazioni. Sarà compito delle banche centrali intervenire nel mercato dei cambi per tenere sotto monitoraggio la valuta e compito degli Stati applicare regole fiscali sostenibili.

Per adesso l’America Latina rimane un’opzione, ma anche una grande opportunità per i Paesi che vogliono diversificare investimenti e importazioni, in vista, soprattutto, dell’andamento geopolitico del mercato.

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