Bambini

Save The Children, lavoro: il 27% dei minori stranieri sfruttato

Il report Piccoli Schiavi Invisibili denuncia le condizioni in cui vivono i figli dei braccianti agricoli a Latina e Ragusa, sedi dei principali mercati ortofrutticoli italiani
Credit: Mark stebniki
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28 luglio 2023 Aggiornato alle 18:00

Dietro a un cestino di pomodori in vendita, frutto del caporalato, ci sono i diritti negati dei figli dei lavoratori agricoli sfruttati.

Privati dell’accesso all’istruzione e alle cure, i figli dei braccianti che lavorano nei campi sono spesso vittime a loro volta di emarginazione sociale e abusi. Ne parla Save The Children nel nuovo report Piccoli Schiavi Invisibili, che denuncia le condizioni drammatiche in cui si trovano migliaia di famiglie nel Mezzogiorno costrette a lavorare dall’alba fino a notte fonda per sopravvivere.

Le testimonianze raccolte tra le province di Latina e Ragusa, dove hanno sede 2 dei mercati ortofrutticoli più importanti del Paese, rivelano lo stato di degrado in cui vivono i figli di famiglie prevalentemente marocchine, tunisine, pakistane e nigeriane che, per pochi centesimi, raccolgono la frutta e la verdura nei campi.

In assenza di alternative e supporto, spesso i bambini si trovano a dover saltare la scuola per accompagnare i propri genitori a lavoro, rimanendo ore chiusi in auto ad aspettare il loro ritorno oppure venendo impiegati insieme a loro nei campi.

In Italia, nel biennio 2019-2020, lo sfruttamento minorile ha colpito il 27,3% dei giovani stranieri, dicono fonti istituzionali, secondo cui, però, il numero delle vittime non registrate risulta più alto. Tra loro c’è chi proviene dalla tratta di esseri umani, un fenomeno che in Italia nel 2021 ha coinvolto 96 bambini e 168 bambine destinati alla manodopera e alla schiavitù sessuale.

Save The Children stima che, tra i 14-15enni che lavorano nel Belpaese, il 27,8% (circa 58.000 minorenni) abbia svolto lavori dannosi per il proprio sviluppo educativo e il benessere psicofisico. Tra i bambini e le bambine intervistate che hanno raccontato di aver avuto esperienze lavorative, il 9,1% è impiegato in attività in campagna.

Lavorare nella filiera agricola e andare a scuola per i bambini e i ragazzi cresciuti nelle famiglie di braccianti è la normalità. “Per S., una ragazza di 14 anni, il lavoro è iniziato quando ne aveva 13, impacchettando ortaggi o “bombando i fiori”, spargendo cioè la sera gli antiparassitari sulle coltivazioni, senza protezioni per le mani e per la bocca. Lei a scuola ci va lo stesso, ma capita che per la stanchezza si addormenti sul banco”, si legge nel report.

Per molti di loro la giornata inizia all’alba. I fratelli più grandi si prendono cura dei più piccoli trascorrendo la maggior parte del tempo da soli, tra scuola e lavoro nei campi. Vivono in abitazioni di poche decine di metri quadri, spesso malsane e sovraffollate, generalmente isolati in veri e propri ghetti e senza spazi di socializzazione.

Ma a essere negato non è soltanto il diritto all’infanzia, come raccontano gli autori del report. A non essere rispettato è anche il diritto alla salute. I genitori senza permesso di soggiorno, infatti, faticano a ottenere i documenti necessari per accedere ai servizi essenziali, come il medico di base, e lo stesso si riflette sui figli.

Nonostante l’intervento di sindacati, cooperative, assistenti sociali e insegnanti, le denunce da parte delle persone sfruttate sono tuttavia pochissime. Il ricatto economico e la (mancata) promessa di messa in regola da parte dei caporali vincolano i braccianti allo sfruttamento. L’assenza di inserimento sociale, poi, li rende soggetti fragili: senza conoscere l’italiano e il sistema legislativo del Paese in cui vivono, non hanno la consapevolezza di avere dei diritti, sostiene Save The Children.

Il risultato è un perpetuarsi della loro condizione di sfruttamento, da cui anche le giovani generazioni difficilmente riescono a uscire.

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