Economia

Lavoro e maternità: il problema è anche geografico

Le persone intervistate da AdEPP hanno identificato il gap territoriale come uno dei (numerosi) fattori che ostacolano la carriera delle madri. A Nord, infatti, ci sono più asili e servizi
Credit: Yan Krukau
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28 luglio 2023 Aggiornato alle 07:00

Gli Italiani sono sempre più vecchi. L’età media della popolazione è di 48 anni. Il rapporto tra persone over 65 e persone in età lavorativa è del 37,5%, il più alto d’Europa.

In Italia non si fanno più figli. In media si diventa madri a 32 anni e mezzo e quando si fanno, se ne fanno meno: la media è di 1,25 figli per donna.

In Italia nel 2022 i decessi sono stati, secondo Istat, 713.000 mentre i nuovi nati 393.000. Un disavanzo di 320.000 unità.

Un problema che inevitabilmente pesa da un punto di vista sociale, politico ed economico sul nostro Paese; infatti, la presidente Giorgia Meloni definisce prioritario il problema natalità.

Forse, però, dobbiamo fare un passo indietro e capire le ragioni che si celano sotto questo fenomeno, perché avere un figlio oggi non è cosa da poco. Diventare genitori è senz’altro un evento che sconvolge la propria vita: aggiunge nuove emozioni, porta a nuove scoperte, ma obbliga anche la ricerca di un nuovo equilibrio tra vita professionale e gestione familiare.

Dopo la maternità, le donne hanno maggiori difficoltà a mantenere il proprio posto di lavoro e finiscono per essere meno presenti dei colleghi uomini. Secondo l’ultimo focus AdEPP (Associazione degli Enti Previdenziali Privati), il 59% dei lavoratori supera le 8 ore in ufficio contro il 40% delle donne, mentre a lavorare per un tempo compreso tra le 6 e le 8 ore sono il 33% di professioniste e il 25% dei colleghi uomini.

Nell’ultimo decennio, in Ue la percentuale di donne con contratto part-time è oscillata tra il 31% e il 33%, mentre rimane più o meno stabile la percentuale maschile fissa all’8%.

Preparare la colazione, accompagnare e riprendere i bambini a scuola, portarli ai controlli medici o a casa dell’amichetto o dell’amichetta per giocare. Fare la spesa, la lavatrice, stirare, cucinare, lavare i piatti. E lavorare. È tutto a carico delle donne.

Dall’indagine AdEPP si conferma un divario nelle faccende domestiche tra maschi e femmine. Alla domanda: “Chi si occupa maggiormente dei figli?” La risposta “Il coniuge” è stata fornita per il 55% da uomini e per il 17% da donne. Linda Laura Sabbadini, ex direttrice Istat, evidenzia come questi dati facciano emergere una realtà che accomuna molte donne lavoratrici: per loro, diventa difficile perseguire il proprio percorso lavorativo, o quanto meno nel modo da loro desiderato.

Il risultato è che «In Italia metà delle donne non hanno indipendenza economica e autonomia. Siamo il Paese che nella classifica europea è ultimo per tasso di occupazione femminile e il peso che ha una donna con o senza figli in Italia è maggiore rispetto a Germania e Francia ma anche alla Grecia» spiega Sabbadini.

Questo anche perché mancano servizi adeguati in grado di sostenere le famiglie, primi tra tutti gli asili nido. Nel 2002 erano stati fissati 2 obiettivi fondamentali: garantire entro il 2010 una copertura di assistenza all’infanzia pari al 90% nella fascia 3 - 6 anni e pari al 33% nella fascia 0 - 2 anni. Tuttavia, in Italia abbiamo raggiunto solamente il primo.

Tra il 2019 e il 2020 ad aver avuto accesso agli asili nido è stato il 26,9% dei bambini al di sotto dei 2 anni, con grandi differenze nelle varie aree della penisola. Solamente lo scorso anno nel Centro Italia e nell’area Nord Est sono stati raggiunti gli obiettivi target del 2002 (rispettivamente con il 36,1% e il 35%); si avvicina, invece, il risultato nell’area Nord-Ovest (30,8%), mentre al Sud e nelle Isole, nonostante un leggero incremento, la percentuale rimane comunque al di sotto del 16%.

Assenza di strutture e costi troppo elevati (un asilo pubblico in Italia costa in media 311 euro al mese) che si riversano irrimediabilmente sulle famiglie e che spingono verso una scelta: sacrificare il lavoro di un genitori. Scelta che, nella maggior parte dei casi, si basa su un criterio economico: mantenere l’entrata maggiore e più sicura. Entrata che, generalmente, coincide con quella maschile e che costringe le donne ad abbandonare il proprio posto di lavoro oppure a mantenerlo, accettando però orari ridotti e allontanando qualsiasi prospettiva di carriera.

Il focus AdEPP pone l’accento anche sul problema geografico. Essere genitori al Nord o al Sud non è la stessa cosa. A Settentrione ci sono più asili nido, ma è anche più facile trovare una baby sitter o centri ricreativi, mentre nel Meridione il carico si riversa quasi esclusivamente sulla famiglia. La maggior parte degli intervistati da AdEPP identifica, infatti, il gap geografico un problema urgente che necessità di essere affrontato con la massima priorità, perché senza una base unitaria da cui partire colmare il divario di genere rappresenta una sfida ancora più difficile.

I dati, però, ci dicono che questa sfida non può essere rimandata. Cambiare prospettiva e insistere sulle ragioni alla base del fenomeno, altrimenti come sottolinea la rettrice dell’Università La Sapienza di Roma, Antonella Polimeni: «Il problema della denatalità non lo affronteremo mai se non capiamo che il lavoro femminile è Prodotto interno loro».

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