Diritti

Stress da lavoro: nell’80% dei casi è per altri motivi

Solo il 20% dei pazienti che iniziano la psicoterapia per problemi legati alla propria professione riceve una diagnosi di conferma (il 67% è donna). In realtà, spiega Serenis, spesso esistono disturbi nascosti
Credit: Cottonbro studio
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
28 luglio 2023 Aggiornato alle 12:00

Non sempre lo stress da lavoro è quel che sembra. Spesso si tratta di disturbi di altro tipo, dati dall’ansia, dalla mancanza di autostima e dai problemi relazionali. È quanto emerge dall’indagine condotta da Serenis, la piattaforma che offre servizi di psicoterapia online, su un campione di oltre 3000 persone.

Secondo i dati raccolti, l’80% dei pazienti che iniziano un percorso di psicoterapia denunciando difficoltà correlate al lavoro non riceve una diagnosi di conferma. Del 20% rimanente, il 67% è donna: significa che per la popolazione femminile il lavoro è la vera fonte di disagio. La fascia d’età più colpita è quella compresa tra i 25 e i 35 anni (46%), mentre gli over 45 anni si presentano come i meno coinvolti, poiché solo il 9% dei partecipanti all’indagine manifesta disturbi in questo ambito. E per tutti gli altri di che cosa si tratta?

«Il posto di lavoro è il luogo dove passiamo la maggior parte del nostro tempo, circa 60.000 ore della nostra vita spese a lavorare in media, e spesso ci sottopone alle pressioni maggiori: è naturale quindi che faccia da trigger per altre difficoltà psicologiche», spiega Martina Migliore, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale di Serenis.

Insomma, molti dei sintomi segnalati agli psicoterapeuti della piattaforma che vengono collegati alle difficoltà correlate al lavoro, in realtà si possono ricondurre a problematiche diverse. Vale per chi ha un disturbo d’ansia (37%), per chi ha intrapreso un percorso legato alla crescita personale (22%), per chi manifesta una mancanza di autostima (19%) o vive problemi relazionali (17%).

Altri ancora fanno un percorso legato allo stress (8%), il 7% ha crisi esistenziali, il 6% lavora sull’assertività, il 5% ha problemi di coppia, il 4% ha un disturbo depressivo, il 3% inizia un percorso legato alla gestione dei conflitti e la restante parte prova disagi legati al lutto, a traumi, ai disturbi dell’umore, agli attacchi di panico, al comportamento alimentare, al sonno e non solo.

Secondo Migliore, da poco nominata direttrice Formazione e Sviluppo della piattaforma, il mondo del lavoro «sta cambiando a velocità sostenuta e spesso non si trova in linea con la preparazione accademica dei nostri pazienti. Questo può generare una confusione negli obiettivi e nelle prospettive, anche considerando il peso delle aspettative della famiglia, con le quali viene a crearsi inevitabilmente un gap molto ampio».

Per aiutare le persone a orientarsi all’interno di un panorama sintomatologico comune a diverse patologie, Martina Migliore elenca 5 disturbi che possono essere scambiati con patologie legate al mondo del lavoro e i segnali che possono creare confusione.

1. Sappiamo che il lavoro presuppone capacità organizzative e decisionali e i disturbi ossessivo-compulsivi, per esempio, portano le persone a sovrastimare il proprio carico di responsabilità e a temere le conseguenze che deriverebbero da un eventuale fallimento, percepite come catastrofiche.

2. Il perfezionismo patologico, poi, porta a fissare standard altissimi, quasi inumani, e a legare tutto il valore personale ai successi in termini di performance. Il valore personale, per chi è affetto da questa patologia, dipende da un singolo risultato o da un feedback negativo.

3. La depressione causa nelle persone una demotivazione generica e una stanchezza cronica, tra le altre cose. Per loro i ritmi lavorativi possono diventare facilmente insostenibili, anche se basici, e questo non fa che aumentare la loro percezione di non essere abbastanza e la sfiducia in se stessi.

4. La fobia sociale, invece, fa temere il confronto con l’altro, percepito come pericoloso e sempre pronto a dare un giudizio negativo. Al lavoro, salvo casi di isolamento sociale totale, dobbiamo avere a che fare con colleghi e superiori, cosa che può creare un disagio insostenibile in chi si sente giudicato e percepisce il minimo cambiamento nelle proprie reazioni corporee e nei segnali dell’altro.

5. Poi c’è il disturbo da deficit di attenzione: è una patologia spesso sottovalutata nell’adulto, ma l’ADHD causa un ventaglio di sintomi molto difficili da gestire e riconoscere, soprattutto se in assenza di una diagnosi e di un percorso psicoterapico infantili. Il lavoro implica organizzazione e rispetto delle scadenze e dell’opinione altrui. Tenere a mente tutto e frenare l’impulsività che spinge ad agire senza controllo, per loro può diventare complicato.

Ci sono anche casi in cui il vero colpevole è il lavoro: esistono dei campanelli d’allarme che possono aiutarci a capirlo? Per primi, spiega Serenis, tutti i casi di molestie e pressioni specifiche, ma anche la percezione oggettiva di un ambiente lavorativo malsano.

«Il problema esiste. Sicuramente il lavoro e l’iperproduttività costituiscono una fonte di pressione non indifferente, anzi a volte inneggiare al rallentamento delle attività, al valore della noia e allo staccare fa sentire ancora più inadeguato chi è abituato a vedersi sempre in corsa. Si ha un effetto treno a tutta velocità che finisce per deragliare alla prima curva o al primo sassolino sulle rotaie», spiega Migliore.

Che fare, allora? Il primo passo da compiere è cercare un consulto con uno specialista. Esistono, infatti, professionisti come gli psicoterapeuti, esperti anche di disturbi e patologie legate alla sfera professionale dell’individuo, capaci di fornire supporto, diagnosi e trattamenti ad hoc somministrati nell’ambito di un percorso di scoperta dell’origine del nostro malessere.

Leggi anche
Salute mentale
di Chiara Manetti 5 min lettura
Recensioni
di Costanza Giannelli 7 min lettura