Storie

Cinzia TH Torrini, “Sei nell’anima”: «Un modo per rendere Gianna immortale e raccontare me stessa»

La regista ha spiegato a La Svolta com’è nato il film biografico dedicato alla vita della rockstar senese: una storia di lotta, trionfo personale, emancipazione, ribellione, aspettative e scoperta della propria identità artistica
Cinzia TH Torrini, regista di "Sei nell'anima"
Cinzia TH Torrini, regista di "Sei nell'anima"
Tempo di lettura 8 min lettura
3 maggio 2024 Aggiornato alle 12:00

Disponibile su Netflix e tratto dall’autobiografia Cazzi miei (Mondadori 2017, 10,92 euro, 210 pagine), Sei nell’anima racconta la vita di Gianna Nannini nei primi 30 anni di carriera. Interpretato da Letizia Toni, il film è prodotto da Indiana Production, diretto e scritto da Cinzia TH Torrini e Cosimo Calamini insieme a Donatella Diamanti e alla stessa Gianna Nannini.

Una storia di emancipazione, resilienza, ribellione, pressioni, aspettative, performance, burnout, salute mentale e identità artistica. Un film su come Nannini sia riuscita a realizzare il sogno di diventare una rockstar nonostante gli ostacoli posti dalla famiglia, dalla società e dall’industria musicale.

La Svolta ne ha parlato con la regista Cinzia TH Torrini.

Perché un biopic su Gianna Nannini?

A parte il fatto che lei sia un mito per me, conosco Gianna da tanti anni, la nostra conoscenza è nata tramite le nostre madri che facevano parte di Aidda (Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti d’Azienda). Viaggiavano molto insieme ed erano disperate perché avevano rispettivamente una figlia che non voleva intraprendere il percorso aziendale della grande industria Nannini e l’altra che voleva andare via da Firenze per studiare all’Accademia di Cinema, in Germania. Questo film è una sorta di omaggio e una rivelazione: è, da una parte, la voglia di rendere Gianna immortale, dall’altra, un modo per raccontare me stessa perché siamo entrambe coetanee, siamo toscane, abbiamo esordito in Germania, abbiamo sempre cercato di risalire, di non arrenderci. Insomma, Gianna è una grande challenge per me. Guardarla è stato un continuo stimolo nella mia vita.

C’è qualcos’altro, nella vita della rocker senese, che l’accomuna alla sua da regista?

Beh, Gianna è una vera artista. Io la stimo moltissimo perché ha un dono incredibile: quello di riuscire a portare nelle parole, nelle frasi delle sue canzoni le sue emozioni, i suoi sentimenti. Perché sa anticipare i tempi. Cosa abbiamo in comune? Abbiamo fatto tutto da sole. C’è un mantra nel film di Gianna che dice: “Non comprometterti mai, sei tutto ciò che hai”. Entrambe abbiamo tenuto duro e, forse, questo è il segreto per riuscire a mantenere una carriera così solida, a lungo nel tempo. Per me, che sono un po’ ribelle come lei, è stato sempre importante riuscire a farcela da sola. Forse perché sono stata sempre una sportiva e perché so che quando cerchi aiuto poi devi pagare sempre il conto. Io, invece, ho sempre voluto la libertà di poter scegliere gli attori e le attrici che volevo, i lavori che volevo perseguire. Io mi sento libera e creativa anche nell’entrare nelle storie degli altri proprio perché, sin da ragazzina, il mio sogno era vivere tante vite e trovare un lavoro che mi desse questa possibilità, ho sempre cercato di raccontare me stessa nelle storie degli altri. Non ho mai usato la prima persona ma c’è sempre una parte di me nei film che faccio.

Essere donna, nella musica come nel cinema, può rappresentare un limite, in questa società?

Sì, soprattutto nel presente perché, purtroppo, questo limite non si supera mai. Forse, agli esordi della mia carriera, questo limite era minore. Certo, in Italia è sempre stato difficile, infatti i primi soldi li ho avuti dalla Germania che mi ha permesso di realizzare Giocare d’azzardo, il mio primo film per il cinema. Il mio secondo film per il grande schermo è stato Hotel Colonial, con John Savage, Robert Duvall e Massimo Troisi. Un film che in Italia fece clamore proprio perché, in quanto donna, ci si chiedeva come mai gli americani lo avessero finanziato. In Italia, funziona così: si sceglie un regista. Poi, se c’è una patata bollente, una sceneggiatura che nessuno vuole dirigere, allora si chiama “una” regista. Certo, anche io ho proposto miei progetti che alla fine sono riuscita a fare, ma la strada è sempre stata in salita.

Perché, tra 2.000 candidate, ha scelto Letizia Toni per interpretare Gianna Nannini e come è stato lavorare con lei?

Il film, su richiesta di Indiana Production, sarebbe stato messo in produzione solo quando avremmo trovato la protagonista. Lo scouting è stato molto lungo fino a quando non è arrivato un self-tape da parte di questa ragazza che aveva, già fisicamente, delle somiglianze con Gianna e che, dopo vari call-back, è entrata sempre di più dentro al personaggio. Poi ci siamo incontrate, abbiamo parlato a lungo e ho cercato di tirarle fuori la capacità di entrare dentro Gianna e non di imitarla. Il vantaggio è stato quello di lavorare con un’esordiente, non un’attrice famosa che arriva all’ultimo momento sul set perché è piena di impegni di lavoro, ma con una persona che si presenta con l’umiltà di fare lezioni di canto, di presenza scenica. Insomma c’è stata una grande collaborazione. Letizia aveva studiato recitazione, aveva fatto dei film indipendenti, ma non si era mai confrontata con una troupe di 60-100 persone. Io ho cercato di rasserenarla, di tranquillizzarla, di darle fiducia e, nel corso del tempo, l’ho vista entrare sempre più anche nella personalità di Gianna quindi, qualche volta, quando veniva la vera Gianna a trovarci sul set, io mi trovavo in mezzo a due Gianne. È stato molto bello vederla crescere, assistere a questa sua trasformazione anche nella voce. Pensa che qualcuno, quando ha visto il trailer, si è chiesto se l’avesse doppiata Nannini. Ebbene no, è stata proprio Letizia che è riuscita a mettere in atto questo straordinario transfert.

Gianna Nannini ha rivelato che la sua vita descritta nel film «Rappresenta una parte in cui lei è morta (il 3 luglio 1983) e che racconta, come tutti i biopic, la storia di un’artista che non c’è più». Ci aiuta a capire cosa intende?

Non voglio spoilerare troppo perché altrimenti toglierei qualcosa che Gianna ha tenuto dentro di sé per tutti questi anni e che è riuscito a venir fuori, come in una catarsi, proprio attraverso questo film. Gianna dice di essere nata nel 1983 e che rinascere è stato meglio che nascere. Io ho voluto fare questo film proprio perché, conoscendo questo aspetto di Gianna, per me e per gli altri sceneggiatori, Cosimo Calamini e Donatella Diamanti, era importante raccontare, anche attraverso le sue canzoni, come lei arrivi all’ispirazione, al momento creativo e come l’ispirazione non arrivi sempre. Il punto è che quando fai un primo successo e poi ancora altri, si mette in moto una macchina che ti stritola perché devi continuare a produrre. E produrre. E produrre. Ma la creatività non arriva a comando. Non ci si allena alla creatività come si fa per le prestazioni fisiche. La creatività arriva o non arriva. Gianna è stata incredibile perché non si è mai fermata, riuscendo a rinnovarsi sempre, anche musicalmente, attraverso un grande studio.

Nannini si è sempre ribellata: al destino scelto per lei dai genitori, al modo “ordinario” di interpretare la musica, alle scelte delle case discografiche, alle proposte di cantare in inglese o di andare a Sanremo. Perché è così importante promuovere chi sa dire di no?

In questa “promozione del no” c’è sicuramente una mia etica personale. I miei film devono avere dei messaggi, devono dare allo spettatore la possibilità di identificarsi e devono essere universali. Sei nell’anima uscirà in 190 Paesi e io mi auguro che la vita, la carriera di Gianna siano da esempio in tutti questi 190 Stati e che, anche chi non la conosce, riesca a trovarci qualcosa che l’aiuti a identificarsi nella sua storia. Saper dire no (come ha fatto Gianna rifiutando di andare a Sanremo o di diventare pop perché le cantanti rock in Italia non le voleva nessuno), non cambiare, saper dire “Io non sono così come mi volete” è importante per raggiungere il successo. È la cosa più importante, in generale, per me.

Perché Sei nell’anima è un film “coming of age” in cui Gianna Nannini non si fa etichettare?

In questo film non si parla di coming out, di etichette ma di un dato di fatto. Gianna ha sempre anticipato i tempi. Nel film non vedrete un racconto sulla sua relazione amorosa. C’è anche questa assieme a tanti altri temi. Ma la sua relazione, ormai, è sdoganata perché oggi non può più essere raccontata come qualcosa di straordinario.

Quanto è durata la pre-produzione di questo film e quanto ha influito l’intervento di Gianna Nannini nella sceneggiatura e nella colonna sonora?

Abbiamo iniziato a parlarne nel gennaio 2020. Poi è arrivato il Covid che, da una parte ci ha bloccato, dall’altra ci ha permesso di stare ore e ore via Skype o Zoom con gli sceneggiatori e Gianna che, in tempi normali, sarebbe stata sempre in giro a lavorare. Lei ci ha raccontato di tutto ed è stato molto importante entrare dentro di lei in questa lunga fase. Io volevo fare un film su di lei e quando lei mi ha chiesto di raccontare questo suo periodo nero e la sua capacità di uscirne io ho, chiaramente, accettato. Il suo intento era aiutare chi sta vivendo le stesse cose e, sicuramente, anche solo ascoltare le sue canzoni fa bene all’anima. Inoltre, nei titoli di coda del film è presente la hit 1983, una canzone senza genere e senza età, perché, come dice Gianna «La morte è inevitabile ma l’età è facoltativa».

Quale reazione ha avuto, Gianna Nannini, dopo la visione della prima?

Gianna ha seguito, ogni tanto, il montaggio però la parte finale evitava sempre di vederla perché la toccava troppo emotivamente. Quando ha visto il film completo al cinema, nel corso dell’anteprima, ha pianto, come tutto il pubblico in sala.

Leggi anche
podcast
di Chiara Bernardini 4 min lettura
Intelligenza artificiale
di Valeria Pantani 4 min lettura