Diritti

Autismo: quando la diagnosi arriva da adulti

Oggi è la Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo, un disturbo del neurosviluppo spesso associato all’infanzia ma che può essere scoperto anche molto dopo, come spiega la psicoterapeuta di Unobravo Valeria Fiorenza Perris
Credit: Tara Winstead
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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2 aprile 2023 Aggiornato alle 11:00

Il 2 aprile si celebra la Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo, istituita nel 2007 dall’Assemblea generale dell’Onu per richiamare l’attenzione sui diritti delle persone affette da DSA - Disturbi Specifici dell’Apprendimento - e sensibilizzare alla comprensione e accettazione delle neurodiversità.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che nel mondo circa 1 bambino su 100 ne sia affetto, ma i numeri potrebbero essere molto più elevati perché “la prevalenza dell’autismo in molti Paesi a basso e medio reddito è sconosciuta”. Le caratteristiche di questo disturbo del neurosviluppo che coinvolge principalmente linguaggio e comunicazione “possono essere rilevate nella prima infanzia”, spiega l’Oms, “ma l’autismo spesso non viene diagnosticato se non molto tempo dopo”. Di recente, un documentario della Bbc ha raccontato la storia della modella Christine McGuinness, a cui è stato diagnostico l’autismo all’età di 33 anni. Ma il suo caso non è una rarità.

Il servizio di psicologia online Unobravo, in occasione di questa giornata, ha dedicato un ampio approfondimento al tema ancora poco trattato dell’autismo negli adulti. Spesso, si tende a pensare automaticamente ai bambini, «dimenticandosi che i disturbi dello spettro autistico sono una condizione che, nella maggior parte dei casi, accompagna l’individuo durante tutto il suo ciclo di vita», spiega Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e clinical director di Unobravo. Ricevere una diagnosi e intraprendere un percorso di terapia è importante a ogni età.

Spesso ci si chiede se l’autismo possa manifestarsi in età adulta, la risposta è che, più che manifestarsi, può essere diagnosticato in età adulta, anche se solitamente i primi segnali ci sono già intorno ai 2-3 anni di vita. Può accadere, infatti, che «arrivino più in là rispetto al periodo precoce dello sviluppo o che, soprattutto nei casi di autismo lieve, passino in sordina e vengano, quindi, ignorati. - continua Perris - In età adulta non è semplice avviare un percorso di indagine diagnostica: spesso le caratteristiche sono diverse o meno evidenti, oppure l’individuo ha sviluppato capacità di masking che gli permettono di dare meno visibilità ai sintomi». Può accadere che alcuni elementi tipici della condizione autistica «vengano espressi esclusivamente in solitudine e risultino, per questo, poco visibili agli altri».

Il masking, anche noto come mascheramento o mimetizzazione, si verifica quando una persona autistica si mette, appunto, una sorta di “maschera” per nascondere i propri tratti autistici. Qualche esempio: imita i gesti e le espressioni facciali delle persone attorno a sé, forza il contatto visivo, prova delle conversazioni prima di un’interazione, sopprime gli stimming, quei movimenti ripetitivi come battere le mani o ripetere una parola o dei suoni. Oltre al masking, «molte persone autistiche adulte tendono a mettere in atto strategie compensatorie e meccanismi di coping al fine di celare eventuali difficoltà in pubblico», spiega Perris. Si tratta di meccanismi dissimulatori che comportano anche sforzi enormi e possono essere fonte di grande stress.

Può anche succedere che nell’adulto «i sintomi vengano confusi con diagnosi di altro tipo, come disturbi dell’attenzione e dell’apprendimento, dipendenza da sostanze, disturbo ossessivo compulsivo, psicosi, disturbi di personalità, bipolarismo, disturbi alimentari o depressione». Risulta più facile identificare l’autismo quando è accompagnato «da una grave disabilità intellettiva», mentre è più complesso individuarlo in chi presenta «livelli di funzionamento più elevati», continua Perris.

Secondo l’analisi di Unobravo, però, ci sono anche dei benefici nella diagnosi in età adulta: «Può, a esempio, permettere al soggetto autistico di avere una maggiore comprensione di se stesso e del proprio modo di rapportarsi al mondo, così come portarlo ad acquisire una prospettiva nuova sulla propria infanzia e a guardare alle esperienze passate sotto una luce diversa», spiega la dottoressa Perris. Per molti, avere una diagnosi formale può essere «un sollievo e un balsamo lenitivo per il senso di inadeguatezza esperito fino a quel momento».

Ma ci sono anche dei falsi miti da sfatare, come la tesi per cui i soggetti autistici non amino socializzare e stiano a proprio agio solo in solitudine: «In realtà, spesso vorrebbero creare nuove relazioni, ma trovano delle difficoltà nel farlo». Questo avviene, in particolare, nel periodo dell’adolescenza, «ma studi recenti hanno messo in luce che solo una minima percentuale di adulti con DSA vive in modo indipendente o semi-indipendente, è sposato o in una relazione sentimentale e ha almeno un amico e un lavoro». La diagnosi è importante a qualsiasi età proprio perché «può aiutare la persona a comprendere meglio le proprie difficoltà e, al contempo, imparare a sfruttare i propri punti di forza, qualità e abilità. Infine, essere consapevoli della propria condizione è indispensabile per poter individuare e richiedere il tipo di supporto esterno di cui si ha bisogno».

La condizione autistica, comunque, «non è una malattia, ma un modo peculiare di vedere, sentire, vivere il mondo e soprattutto vivere gli altri. - conclude Perris - Per questo non esiste una cura o un’unica terapia che possa sposarsi alle caratteristiche uniche di ciascun individuo».

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