Economia

Lavoro: i contratti collettivi garantiscono stipendi equi?

Mentre il dibattito attorno al salario minimo si infiamma, aumenta il numero dei “contratti pirata” sottoscritti da sindacati minori che riducono diritti e retribuzioni dei lavoratori
Credit: Wework.com
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24 luglio 2023 Aggiornato alle 10:35

Il tema delle retribuzioni lavorative è al centro del dibattito pubblico e politico e, nello specifico, della proposta per un salario minimo firmata dalle opposizioni (eccetto Italia Viva). L’idea è estendere a tutte le categorie di lavoratori un salario minimo lordo a 9 euro, per migliorare le condizioni economiche di 3 milioni di dipendenti e autonomi. Ma qual è la situazione reale?

Nel 2021 si contavano circa 1,9 milioni di famiglie in povertà assoluta in Italia. Oggi, stima Istat, 14,3 milioni di persone sono a rischio povertà o esclusione sociale (ovvero percepiscono meno del 60% del salario medio); i contratti con part-time imposto, che implicano salari più bassi, riguardano 5,2 milioni di persone.

“La retribuzione, che nemmeno raggiunge la somma netta di 1.000 euro, non è idonea a consentire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, che non deve risolversi in un mero diritto alla sopravvivenza”: è quanto si legge nella sentenza di condanna della Corte d’Appello di Milano alla cooperativa Sicuritalia, tenuta a versare 23.144,41 euro a un ex dipendente.

Spesso, però, questi contratti sono idonei, in quanto seguono i criteri dei Contratti Collettivi sottoscritti dalle Unioni Sindacali (Ccnl). Tuttavia, è importante evidenziare l’aumento dei cosiddetti “contratti pirata”, sottoscritti da sindacati minori e di poca rappresentanza, che riducono diritti e salari dei lavoratori. Maurizio Landini, leader Cgil, ha dichiarato a Repubblica che «Siamo passati in pochi anni da 200 a 1.000 contratti nazionali, di cui 800 pirata. Il lavoro povero nasce qui».

In Italia molti contratti non vengono rinnovati, alcuni anche da molto tempo, come per il caso della Pubblica Amministrazione, dove il 55% dei contratti depositati al Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) sono scaduti. E tra i lavoratori dello spettacolo, tutti i contratti sono scaduti da 20 anni.

L’ultimo rinnovo contrattuale della vigilanza privata, sottoscritta da Cisl, Uil e Cgil, prevede che l’aumento del salario orario lordo da 5 a 6 euro sarà raggiunto nel 2026. «Non la consideriamo una mediazione accettabile – dichiara il segretario della Uiltucs Paolo Andreani – ma il rinnovo ci permette di non fare degradare ulteriormente le retribuzioni».

«È comunque una ripartenza, cercheremo di promuovere condizioni migliori, ma anche la parte datoriale deve collaborare. Neanche il Governo ci aiuta, perché molte Pa traggono vantaggio dai contratti di appalto dei vigilanti, grazie a retribuzioni così basse», spiega Emanuele Ferretti della Filcams.

«Per arrivare a un salario un po’ più alto – aggiunge Francesco Fraschini, avvocato del lavoro – un vigilante è costretto anche a fare 120, 130 di straordinario al mese, peraltro tutte documentate in busta paga, saltando riposi e ferie. I magistrati quando c’è una vertenza fanno quello che possono: confrontano le retribuzioni con quelle dei lavoratori con mansioni simili, portinai o uscieri dei contratti multiservizi e proprietari di fabbricati, e condannano il datore di lavoro a pagare la differenza».

Nei Paesi dell’area Ocse, nel periodo post-Covid si è registrato, a fronte di un aumento dell’occupazione, un calo del numero di ore lavorative: rispetto al 2019, in Austria e in Portogallo l’orario medio di lavoro è diminuito rispettivamente del 5% e 4,6%, mentre in Germania del 2,5%. Dato da non sottovalutare: in un periodo in cui si discute di riduzione delle giornate lavorative, questo calo comporta stipendi più bassi e, quindi, maggiore esposizione all’aumento dell’inflazione.

In Italia il dato è in controtendenza, con un lieve incremento del numero di ore di lavoro. L’Employment Outlook stilato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, mostra come i salari reali siano calati il doppio della media (-7,6% a fronte di una media Ocse di -3,8%).

Insomma, si lavora molto per guadagnare poco, e lo si percepisce soprattutto in questo periodo, in cui l’inflazione è alta, i prezzi sono alle stelle, le tutele sono poche mentre la precarietà è alta, così come i costi del lavoro.

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