Diritti

Ritardare la menopausa: quali conseguenze?

C’è chi lavora per prevenire la fine del ciclo mestruale, per motivi di salute e di tutela della fertilità. Ma alcuni esperti avvertono: non è detto che sia la soluzione migliore
Credit: Camellia
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
23 agosto 2023 Aggiornato alle 07:00

“Immagina se le donne non raggiungessero mai la menopausa, quella temuta pietra miliare della mezza età, o potessero ritardarla o decidere quando averla”. Si apre così un lungo pezzo del Wall Street Journal in cui Sumathi Reddy si interroga sulla possibilità di prolungare la fertilità femminile oltre i limiti biologici e rallentare il processo di invecchiamento, che accelera grazie ai cambiamenti ormonali che la fine del ciclo mestruale porta con sé.

La maggior parte delle donne raggiunge la menopausa (definita come l’assenza di mestruazioni per oltre un anno) tra i 40 e i 50 anni (in media a 51). Prima, per un periodo che va dai 3 ai 10 anni, generalmente si sperimenta la perimenopausa, caratterizzata da mestruazioni irregolari e fluttuazioni ormonali.

Sebbene la menopausa sia considerata solo in ottica di fine della fertilità (una scadenza inderogabile, verso cui ci muoviamo progressivamente mentre l’orologio biologico ticchetta in maniera sempre più frenetica) un piccolo, ma crescente, gruppo di scienziati non la ritiene un rito di passaggio essenziale nella vita di ogni persona che mestrua o una parte inevitabile del processo di invecchiamento; ma come «il più grande acceleratore delle malattie dell’invecchiamento per le donne su tutta la linea, che si tratti di malattie cardiache e ictus, malattie autoimmuni, osteoporosi o declino cognitivo. È la fine della funzione di un organo chiave nel nostro corpo e non dovremmo normalizzarlo più di quanto normalizzeremmo la carie, l’artrosi o il declino cognitivo». A parlare è Piraye Yurttas Beim, fondatrice e Ceo della startup biotecnologica Celmatix, focalizzata su migliorare la salute delle ovaie.

Gli studi, infatti, mostrano che le donne che entrano in menopausa più tardi nella vita hanno rischi per la salute ridotti e vivono più a lungo rispetto a quelle che vi entrano in giovane età. Non solo: le donne hanno meno malattie croniche rispetto agli uomini, ma solo fino a quando non raggiungono la mezza età e la menopausa.

Nel 2005, uno studio sulla rivista Epidemiology ha mostrato che chi ha raggiunto la menopausa dopo i 55 anni ha vissuto in media 2 anni in più rispetto a chi lo ha fatto prima dei 40 e uno studio del 2021 sulla rivista BMC Cardiovascular Disorders ha rilevato che chi ha avuto la menopausa prima dei 50 anni aveva un rischio maggiore di ictus e morte. Una meta-analisi che ha esaminato 22 studi, infine, ha concluso che la menopausa tardiva era associata a un minor rischio di demenza.

Ma la maggior parte delle ricerche che si focalizzano sulla procrastinazione della menopausa e non lo fanno solo in un’ottica di conservazione della salute, ma anche della fertilità, per permettere alle donne di concepire anche in età più avanzata senza dover ricorrere a tecniche di Pma, come la fecondazione assistita o il congelamento degli ovuli.

La possibilità di rimanere incinta, infatti, “risulta massima tra i 20 e i 30 anni, subisce poi un primo calo significativo, anche se graduale, già intorno ai 32 anni e un secondo più rapido declino dopo i 37 anni”, spiega il Ministero della Salute. Rimandare la menopausa significherebbe rallentare o fermare l’orologio biologico, permettendo alle donne di “vivere i loro 30 anni in modo più simile agli uomini, in grado di perseguire la loro carriera e i loro hobby a pieno regime, senza la pressione di trovare un partner e avere un bambino prima della scadenza biologica”.

L’obiettivo, quindi, è rallentare la velocità in cui i follicoli (e, conseguentemente, gli ovuli) vengono persi: una velocità che dopo la pubertà naturalmente si attesta attorno a circa 1.000 al mese. Questo eviterebbe in brusco cambiamento ormonale che colpisce le persone che mestruano in corrispondenza della menopausa: le ovaie, infatti, invecchiano più rapidamente del resto del corpo e sono responsabili della produzioni di ormoni (estrogeni e progesterone) che “non solo regolano il ciclo mestruale e svolgono un ruolo importante in gravidanza ma aiutano anche a regolare altri sistemi sanitari, comprese le funzioni cerebrali e cardiache”.

È il caso di Gameto, azienda biotecnologica con sede a New York che utilizza l’ingegneria cellulare per “migliorare la salute delle donne senza prolungare la fertilità”, o delle startup biotecnologiche stanno lavorando con l’ormone AMH (detto anche antimulleriano), indicatore dello stato della riserva ovarica di una donna. Come Oviva Therapeutics, il cui obiettivo sarebbe «giocare in anticipo sui tempi della menopausa ritardandola quando raggiungi una soglia bassa» delle uova, afferma la Ceo e cofondatrice Daisy Robinton, il cui obiettivo è «dare alle donne il libero arbitrio sulla menopausa nello stesso modo in cui la contraccezione ha dato loro un maggiore controllo sulla riproduzione».

Ma siamo sicuri che rimandare, o annullare, la menopausa migliorerà la vita? Non proprio. La dottoressa Stephanie Faubion, direttrice della Mayo Clinic Women’s Health e direttrice medica della North American Menopause Society, ha messo in guardia contro la convinzione che eliminare la menopausa sia una panacea e, soprattutto, contro l’esagerazione delle prove addotte a dimostrare che la conseguenza sarebbe inevitabilmente uno stato di salute migliore.

Il fatto che entrare naturalmente in menopausa in un’età avanzata sia associato a un minor rischio di malattie cardiache, a esempio, non significa necessariamente che ritardarla artificialmente ridurrebbe il rischio. «È un bel salto affermare che dovremmo prevenire la menopausa e che così facendo cureremmo tutti i nostri mali», ha detto al Wsj.

Leggi anche
La fotografa Loredana Vanini è l'ideatrice del progetto "Una delle tante", in cui ha raccolto 100 volti di donne infertili
maternità
di Chiara Manetti 4 min lettura